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COLLANA
DEGLI , *
ANTICHI STORICI GRECI
• .*
. • *
VOLGARIZZATI.
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'\T_o 5*0
DELLA
ISTORIA ROMANA
DI
DIONE CASSIO
DAL LIBRO LX.° FINO ALL’ LXXX.°
EPITOME
DI GIOVANNI SIFILINO
BELLA QUALE SI SORO INSERITI IR CIASCUN LUOGO
I FRAMMENTI INTERI DI DIONE CHE SI SOWO RITROVATI
DI MUOVO TRADOTTA DAL GRECO E CORREDATA DI MOTE CRITICHE
DA LUIGI BOSSI
SOCIO DELL* I. R. ISTITUTO DEL REGNO LOMBARDO-VENETO
TOMO 4*° DI DIONE, I .° DI SIFILINO
MILANO
DALLA TIPOGRAFIA DE* FRATELLI SONZOGNO
l 823.
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NOTIZIE
5
DI GIOVANNI SI FILI NO
E DELLE DIVERSE EDIZIONI DELLA SUA EPITOME
DELLE ISTORIE DI DIONE.
I. L oche memorie trovami di Giovanni Sifilino,
ed il Nei maro stesso che tanto dottamente espose la
vita di Dione e ne annoverò tutte le edizioni, ap-
pena degnossi di fare alcuna menzione di quello scrit-
tore che compendiate ne aveva le istorie , e la di cui
epitome , fino ai giorni nostri conservata , riempie in
parte le lacune cagionale dalla perdita di molti libri
dell'opera originale di Dione medesimo. Gli altri
editori dell’ epitome di Sifilino , non eransi nè pur
essi mostrati solleciti di trasmetterci le notizie della
di lui vita.
II. Per quello che può raccogliersi dalla storia
letteraria di un epoca tenebrosa anche tra i Greci ,
benché la caligine della barbarie non avesse tra
essi prodotto tanto oscuramento dei lumi del sapere
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v
quanto se ne scorgeva nell ’ Occidente , certo Giovanni
Si/i lino , nativo di Trebisonda , era stato , come tutti
gli ecclesiastici greci di quella età , educato con gran-
dissima cura in un monastero ; e segnalato essendosi
non meno colla sua dottrina che colla sua pietà,
giunto era nell ’ anno 1 o64 dell’ era volgare al Pa-
triarcato di Costantinopoli. Occupò egli quell' altissi-
ma dignità fino all’ anno iojS, e lasciò, morendo ,
un nepote , da esso probabilmente educato ed istrut-
to , che pure Giovanni Sifilino al pari dello zio no -
minavasi ; e questo fu l’ epitomatone delle Storie di
Cassio Dione , il che dee attentamente notarsi , onde
non avvenga inganno per l’identità del nome dell’ mio
e dell’altro scrittore. Del più antico, o dello zio,
patriarca di Costantinopoli , non si è conservato se
non un Sermone , che pubblicato vedesi nella Biblio-
teca de ’ SS. Padri.
HI. L’ Epitome del Sifdino , giusta V avviso di
molti eruditi, massime del secolo sedicesimo , comin-
cia dal libro xxxir dell’ istoria Dioniana e dai tempi
di Pompeo il grande , e continua fino ad Alessandro
figliuolo di Mammea. Notarono alcuni critici più giu-
diziosi , che ben fatto era questo compendio quanto
alla istorica verità ed esattezza; ma che lo stile man-
cava di purezza e d' eleganza; forse la venustà della
elocuzione e la nitidezza dello stile non erano più
doti comuni degli scrittori greci di quell’ epoca , e il
Sermone che si legge nella citata Biblioteca de’ Pa-
dri , non annunzia che lo zio, forse migliore teologo ,
fosse più culto cd elegante scrittore che il nepote.
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IV. Altre osservazioni sortosi fatte dai critici intorno
1' indole ed il carattere del lavoro di Sifdino. Si ma-
ravigliano alcuni eh’ egli , sebbene cristiano , abbia
fedelmente trascritti tutti i prodigi ; dei quali libera-
lissimo mostrossi Dione nelle sue istorie. Altri lo
rimproverarono di avere quasi con affettazione , o
con predilezione estratte da quelle istorie originali
tutte le puerilità e le inezie , il che , dicono essi , non
ci porge grande idea nè del suo sapere , nè della
giustezza del suo spirito o della solidità del suo giu-
dizio. Jo ho già osservato che infelice era lo stato
della letteratura nel secolo undecimo anche Uà i
Greci, laonde ingiusto sarebbe il pretendere che Si-
filino con filosofico slancio sollevato si fosse al di
sopra della nazione e del secolo in cui viveva; da-
tosi egli a fare un compendio , corri era costume di
molti grammatici , cioè della maggior parte de’ lette-
rati di quella età , altro probabilmente non ebbe in
vista se non che di tutte accennare le cose , che nel
suo originale si trovavano , e di ridurle a maggiore
brevità ; e questa mia congettura rende ragione egual-
mente de prodigi eh' egli , benché cristiano , riferì ,
come delle frivolezze , eh’ egli , benché forse non in-
sensato, si credette obbligato a non omettere, perchè
nelle storie di Dione trovavansi.
V. Dee notarsi però , che sebbene da molti, come
si disse nel § III facciasi cominciare l’opera di
Sfilino dal libro xxxiv di Dione e dalle storie di
Pompeo , tuttavia i moderni critici pili avveduti e tra
gli altri il Beimaro , opinano che da Sfilino non
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sieno stati abbreviati se non gli ultimi fatti del li-
bro lx e tutti i seguenti , e che la epitome dal libro
ir fino al ix sia scritta di mano di tutt’ altro com-
pilatore. Il Valesio , seguito in questo dal Tillemont ,
dubitato aveva già prima , che i libri dal Liv al ixt
compendiali fossero da tutt’ altri che da Sfilino ;
oscuro essendo tuttora , diceva il Valesio , se quello
anteriore fosse o posteriore di età a Sfilino mede-
simo. Anche il Fabretti nelle sue osservazioni sopra
la Colonna Trajana, aveva annunziato come assai
dubbioso il punto , in cui terminasse la istoria di
Dione ed avesse principio il supplemento di Sifilino;
egli era però d ’ avviso , che lo scritto originale di
Dione avesse fine alt epoca del consolato di Claudio
imperatore e di Vitellio , nel che non consente il
He ù nato , appoggiato ai più solidi argomenti. Se dun-
que non il solo Sfilino , ma altri ancora si diedero
ad abbreviare le istorie Dioniane , io credo non ir-
ragionevole il dubbio , che non tutte a Sifilino possano
ascriversi le colpe e i difetti che nei diversi libri ad
epitome ridotti si ravvisano.
VI. Nella versione italiana che ora si presenta al
pubblico , si è adottato V ordine proposto e seguito
dal Reimaro nella magnifica sua edizione di Cassio
Dione , sebbene altro fosse quello serbato dagli an-
tichi editori di Sfilino , dei quali io esporrò breve-
mente la serie. Il primo che quella epitome pubblicò
in greco , fu Roberto Stefano , che il periodo indicò
nel titolo medesimo da Pompeo il grande fino ad
Alessandro di Mammea , come oggetto dell 1 epitome
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stessa , il che forse aveva egli trovalo in qualche
antico manoscritto. Quella edizione comparve in Pa-
rigi nell’ anno 1 55 1 in 4-° > e da essa pigliò norma
Guglielmo Le ~B lane , che sotto egual titolo una ver-
sione latina di quell’ opera pubblicò nell’ anno me-
desimo. Egli aveva però veduto , non già il codice
dello Stefano , ma altro clic trovato aveva in Roma
presso il cardinale di Armagnac , e sul quale comin-
ciata aveva la sua traduzione , finita da poi durante
una estiva villeggiatura col cardinale Jacopo Savelli.
Credette anzi il Leunclavio , che il Le-Blanc trovato
avesse in quel codice alcuni passi più comrfiuti , o
per meglio dire , meno mutili di quelli che veggonsi
in tutte 1’ altre edizioni. Quella versione fu ristam-
pata nell’ anno iò5j da Guglielmo Xilandro unita-
mente alla sua delle istorie di Dione.
VII. Alcune porzioni però della Epitome di Si/ilnio
erano state già da moli’ anni scoperte e tradotte da
eruditi italiani. Giorgio Menila , maestro di umane
lettere in Venezia ed in Milano, e morto in quest’ ul-
tima città nell’ anno 1 4 g 4 » aveva voltato in latino
sul testo di Dione le vite di Nerva , di Trajano , di
Adriano , e f incendio e l’ eruzione del monte Vesu-
vio , che tra gli scrittori della Storia Augusta furono
pubblicate da Aldo negli anni i5i6 e i5 ig, e quindi
riprodotte nelle successive edizioni di Colonia e di
Basilea. Ma il Merula stesso aveva pure tradotte le
vite dei dodici primi imperatori dall’ originale greco
di Siflino , e Gio. Ballista Pio nairava di averle
presso di sò , del che trovasi pure menzione ?iel Pr-
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pio d’Italia di Giovati Matteo Toscano e nel toni. 1 y.°
del Giornale de’ Letterati d’ Italia.
Vili. Il Fabricio ed il Falcone parlarono della
versione del Le-Blanc stampata col testo greco dello
Stefano, però separatamente, in Parigi nell' anno i55a.
11 testo greco di Sifilino colla traduzione suddetta
riveduta da Guglielmo Xilandro , comparve certa-
mente colle stampe di Enrico Stefano in Ginevra
nel! anno i5gs>. in fol. ; non porta però questo libro
altro titolo, se non quello di Istorie estratte da Dione
per opera di Giovanni SiGlino , ed Enrico Stefano
persuaso mostravasi di dare al pubblico alcuni estrat-
ti , piuttosto che una epitome. Lo stesso Sifilino però,
laddove si dichiara nepote per mezzo di un fratello
di Giovanni patriarca, e narra di avere scritto sotto
Michele figliuolo di Duca, il titolo di epitome attri-
buisce al suo lavoro. Fu parimenti stampato il testo
greco di Sfilino colla versione del Le-Blanc dallo
stesso Enrico Stefano nella sua edizione della Storia
Augusta dell' anno 1 564, e riprodotto fu nella edi-
zione del Silburgio degli Scrittori greci minori della
storia romana , fatta in Francoforte nell' anno 1 5go
in fol.
IX. In italiano fu voltata la epitome di Sfilino
da Francesco Baldelli e stampala in Vinegia presso
il Giolito nell’ anno 1 56-i ; probabilmente il Baldelli
si attenne alla versione del Le-Blanc , e quindi inti-
tolò l’epitome da Pompejo Magno fino ad Alessandro
figliuolo di Mammea. Dedicata è quella versione con
lettera data da Cortona al cardinale da Este , ed il
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1 1
Fabrìcio ed il Falcone ne rammentano una edizione
dell’ anno i585. Incerto è , se il De-Bandole , certo
Baldovino e il Dovila traducessero in francese Sifi-
lino , come il primo tradotto aveva certamente Dione,
non vedendosi rammentati il primo di que’ traduttori
se non dal Fabricio , i due ultimi soltanto dal Fal-
cone , il quale spesso ingannossi anche nelle notizie
bibliografiche. Il presidente Cousin pubblicò bensì in
Parigi nell' anno j 678 la storia romana scritta da
Sfilino j da Zonata e da Zosimo , tradotta , come
porta il titolo, su gli originali greci; e quell' opera
fu riprodotta ad Amsterdam ed all' Aja nell' anno
1 685. Il Fabricio ha pure menzionato la traduzione
inglese di Sfilino del Manning, e forse una versione
tedesca fatta aveva dello stesso autore, come pure
del Dione , lo Sticgehause , nominato con lode dal
Beimaro.
X. Bimane ora solo a parlare brevemente dei fram-
menti interi di Dione che si sono ritrovati ed in varj
luoghi inseriti , tanto nella edizione Beimariana ,
quanto in questa versione italiana. Già di que' fram-
menti si è parlato altrove , e quelli per opera di En-
rico Valesio raccolti in seguito agli estratti Peire-
sciani , sono stati per intero esposti in fronte alla
Istoria di Dione. Ma questi non appartengono se non
ai primi xxxiv libri, e giungono tutt’ al più., seb-
bene con qualche disordine , all' anno 685 di Boma.
Altri frammenti sono stati raccolti dalle istorie di
Zonara , di Cedreno , di Costantino Porfirogcnito e
di altri a corredo della Epitome di Sfilino ; ma ,
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come io stesso ho potuto chiarirmi colla ispezione di
diversi antichi codici, i frammenti inseriti, e che si
trovano d’ ordinario nel testo del Beimaro chiusi tra
due uncinetti ( uncinulis , com’ egli dice ) , sono di
due classi ; alcuni sono tolti , come già si notò , da
altri istorici , che i libri interi di Dione ebbero tra
le mani, altri conservati furono da Sfilino medesimo,
il quale o per la importanza della materia , o per
essere Dione in que ’ luoghi abbastanza conciso , o
per risparmio di fatica , o per altra qualsiasi ragio-
ne , non giudicò opportuìio di abbreviare , ma le pa-
role stesse dell’ originale ritenne , tra gli uncinetti
chiudendole. Si troveranno dunque frequentissimi quei
segni diacritici , del che è d' uopo che il leggitore sia
prevenuto, perchè spesso essi ricorrono , quasi direb-
besi , a contrattempo , e non tutti cadono forse esat-
tamente secondo la serie istorica , siccome io ho al-
cuna volta nelle mie note avvertito. In queste però io
mi sono studiato di serbare una discreta sobrietà , e
mi sono proposto pià che altri , di rischiarare , ov era
d’ uopo , il testo ; di confermare le asserzioni del
compilatore delC istoria , o di assegnare i motivi ra-
gionevoli che muovono a dubitarne ; finalmente di
giustificare in qualche luogo il mio dissenso dalla tra-
duzione , d’ ordinario accuratissima e non inelegante ,
del Beimaro.
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DELLA
. ISTORIA ROMANA
*
n i
DIONE CASSIO
a*
COMPENDIATA
DA GIOVANNI SIFILINO
LIBRO LNI.
* . ,
SOMMARIO
Nerone assume l imperio: cap. i e a. — Da princi-
pio seconda i consigli della madre, la quale però
Seneca e Burro allontanano dalla cura de’ pubblici
affari: 3 . •— Libidine e prodigalità di Nerone.
Morte di Silano : 4 * 6 . — Amori di Nerone con Atte ;
Britannico ucciso; discordia con Agrippina: 7-8. ■ —
Come Nerone cominciasse a dar segni di pazzia: 9 -
Dei vizj e delle libidini di Seneca il filosofo: io.—
Sabina da Nerone amata, Agrippina uccisa: 11-16.-
Uccisione di Domizia. Spettacoli. Nerone suonatore
di cetra: 17-21.
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PERIODO DELLA ISTORIA.
*4
Anni deH Era
Anni
Anni
volgare.
di Roma . di Nerone .
54 •
807. Consoli. -M. Asinio Marcello
e Manio Acilio Aviola -
I. i 3 Ottob.
55 .
808. Nerone Cesare Augusto e Lu-
cio Antistio Vero.
II.
56 .
809. Q. Volusio Saturnino e Pub-
blio Cornelio Scipione.
III.
5 j.
810. Nerone Cesare Augusto IL*
volta , e L. Calpurnio Pi-
sone. 1
IV.
58 .
81 1. Nerone Ces. Aug. III.* volta.
>
e M. Valerio Messala.
V.
5 g.
8in. C. Vipstano Aproniano e C.
Fonteo Capitone.
VI.
6o.
81 3 . Nerone Ces. Aug. IV.o volta.
e Corn. Lentulo Cosso.
VII.
I. Dopo
la morte di Claudio , doveva
Britannico
di buon diritto succedere all’imperio (i), perchè ge-
nuino era figliuolo di quello , e perchè atante era
della persona più assai che l’ età sua non compor-
tava (ss). Giusta il diritto civile però anche a Nerone ,
per motivo della adozione , l’ imperio apparteneva (3).
(i) Volontà era questa del padre, manifestata nel suo testamento
da lutti i magistrati suggellato. In alcune medaglie 9 non latine, ma
degli Alabandesi e degli Idicsi , Britannico era già stato appellato
Cesare. '
(a) Liebe nella Gotha Pfumaria osservò, che anche nelle medaglie
Britannico veniva rappresentato più alto di statura che Nerone, ben-
ché maggiore fosse questi di tre o quattro anni di età.
( 3 ) Nerone figliuolo di G. Domizio Enobarbo e di Agrippina , e
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Ma alcuu diritto non vale in realtà, guanto possono
le armi (i). Imperciocché , come alcuno è potentissi-
mo, così tutto quello ch’egli dice e fa, giustissimo
apparisce. Nerone adunque , tolto di mezzo il testa-
mento di Claudio (a) , non pago di assumere da solo
l’ imperio , Britannico ancora e le di lui sorelle (3)
mandò a morte. E invero a che giova il deplorare
anche le altrui calamità ?
II. Ma a Nerone già era stato da prima in questo
modo annunziato l’ imperio. Conciossiachè i raggi ,
mentre al primo lume uscivano verso 1’ aurora, senza
alcuna manifesta apparizione del sole lo circondaro-
no (4). Per la qual cosa , e per l’ osservazione del
corso delle stelle e della loro congiunzione in quel
punto , certo astrologo due cose predisse ad un
tempo , eh’ egli regnato avrebbe , e mandata a morte
la madre. Il che udito avendo Agrippina , cominciò
allora pazzamente ad esclamare: « Sì, mi uccida, pur-
nominalo egli stesso Domiiio EnobarHo , in forza della adozione di
Claudio assunto aveva il nome di Claudio Nerone Germanico.
L'adozione fu celebrata sotto il consolato di C. Anlistio e M.
Suilio.
(i) Allude forse Io Storico alle armi de’pretoriani e di Burro pre-
fetto del pretorio , che Nerone condusse alla coorte dalla quale fu
salutato imperatore.
(a) Sospetta il Reimaro , che più diffusamente parlato avesse di
quel testamento Dione. Tacilo nota solo che non fu pubblicato, af-
finché tumulto non nascesse nel popolo.
(3) Antonia figliuola di Petina , ed Ottavia di Messalina , che fu
altresì moglie di Nerone, giacché altre non erano superstiti.
(4) Svelonio dice che nato essendo Nerone in Anzio, fu tocco dai
raggi dei sole nascente, pria che illuminata ne fosse la terra.
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chè egli regni!» Ma doveva essa da poi grandemente
pentirsi di quel voto. Imperocché giungono taluni a
siffatto grado di stoltezza, che , se alcuna cosa utile
sperano di acquistare , la quale congiunta sia con
altra dannosa , accesi di cupidigia degli eventi favo-
revoli , sprezzino gli avversi ; e venendo poi il mo-
mento delle avversità tanto gravemente ne sieno af-
flitti che nè pure vorrebbero aver goduto giammai
delle cose più. prospere. Sebbene la nequizia e la
lascivia di Nerone preveduta aveva di già il di lui
padre Domizio , non per alcun vaticinio , ma bens 1
i costumi suoi osservando e quelli di Agrippina <s).
« Imperciocché , diceva egli , avvenire non potrebbe
*► in alcun modo che da me e da quella un buon
» uomo nascesse ». Ma col progresso del tempo ,
le spoglie di un serpente trovate presso la cervice
di Nerone T diedero campo agli indovini di annun-
ziare eh’ egli da qualche veochio sarebbe stato di ,
grande potenza rivestito ; perciocché è volgare opi-
nione che i serpenti colla spoglia loro la vecchiezza
depongano (a).
(i) Svetonio nota che Domitio Enobarbo, consolo nell* anno 785,
era in ogni parte della sua vita detestabile. Delle arti meretricie
osate da Agrippina con Claudio aveva già parlato Dione nel libro
xnv ; Tacilo nota gli incestuosi di lei amori col fratello Cajo, lo
«opro da essa sostenuto con Lepido in età giovanile , le sue dis-
solutesi con Pallante e con Tigilliuo, e le infami di lei libidini col
figliuolo, anche da Svetonio rammentate. Dione già l’aveva dipinta
come un mostro di perfidia e di crudeltà-
la) Plinio accenna il costume de’ serpenti di deporre le spoglie ,
lib. vii cap. , cd altrove nota, che i gamberi al cominciare
della primavera depongono la vecchiessa a similitudine de' serpenti.
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*7
III. Trovavasi nell 1 anno diciassettesimo dell’ età
sua allorché cominciò a regnare (i) ; entrato allora*
nel campo , dopo di avere recitata la allocazione che
Seneca scritta aveva (a)., ai soldati tutto quello pro-
mise che Claudio loro dato aveva (3). Tali però fu-
rono le parole, scritte dal medesimo Seneca, ch’egli
lesse nel Senato , che per decreto del Senato stesso
si scolpirono in una colonna d’argento, e si ordinò
che lette fossero ogni anno, allorché i nuovi consoli
la magistratura assumevano (4). £ veramente i sena-
tori questo facevano, come se l’imperio di un buon
principe , quasi per cedola da esso scritta, si ripro-
mettessero ( 5 ). Agrippina però , ( che carnale con-
dal che venne in uso presso i Ialini di applicare alla membrana dei
aerpenli il nome di aeritela o sententi.
(1) Nato era Nerone il giorno i5 dicembre dell’anno 790 di Roma,
nove mesi dopo la morte di Tiberio.
(2) A Nerone dopo la adesione era stato dato Seneca come pre.
cettore, non di filosofia, ma di eloquenza Ialina, giacché nella greca
era stato istruito da Berillo. Può credersi che tutte da Seneca scritte
fossero le orazioni , che Tacito rammenta recitate da NerouC ancora
giovanetto nel Foro e nel Senato , giacché quello storico medesimo
nota , che nell’ orazione funebre di Claudio i senatori più anziani
osservato avevano, che Nerone abbisognava della altrui facondia.
(3) Il primo fu Claudio , che, secondo la frase elegante di Sve- 1
Ionio, la fede del soldato pigliò in pegno col donativo.
(4) Questo erasi fatto anche colle 61 azioni di Augusto e di Tiberio,
non che con quella di Caligola ; era però stato vietato da Claudio,
il quale bastante diceva io incidere quelle parole su le colonne.
(5) Da principio cominciato aveva Nerone un lodevole’ reggimento,
il che è notato anche da Tacito, da Aurelio Vittore e da Svelo-
nio ; e forse a quel periodo si riferiscono le lodi date da Seneca
alla di lui clemcuza , che dirette furono a Nerone nell'anno deci-
monomi dell’ età sua.
Vioiit, tomo IV, I.° 01 Situino. a
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euetudine aveva con Pallante (i) , uomo agli altri
molesto ed angoscioso), da principio in luogo di Ne-
rone prese ad amministrare le cose tutte che al
principato appartenevano ( 2 ) : di casa uscivano am-
bedue insieme , e spesso portati erano in una stessa
lettiga ; sebbene quella portare'-facevasi il più delle
volte , e questi soleva seguirla : essa rispondeva ai
legati , e lettere spediva ai popoli , ai principi ed ai
re. 11 che continuando a farsi per lungo tempo , co-
minciarono a provarne gran pena Seneca e purro ,
qotnini prudentissimi e sommamente autorevoli trn
quelli che presso Nerone trovavansi (3). Di questi
1’ uno era prefetto dei soldati pretoriani, 1’ altro era
( 1 ) Era slato questi servo di Antonia madre di Claudio , poi li-
berto di Claudio stesso , e consigliato aveva le di lui none con
Agrippina , a la adozione di Merone. Tacito deplora la di lui trista
arroganza e la dì lui superbia j ora egli però stato da Claudio de-
corato d^lle insegne di pretore.
(a) Già era accostumala quella donna a dominare sotto Claudio }
quindi Augusta madre di Augusto fu uomioata nelle medaglie , e
jl primo giorno del suo regno , Merone non altro motto diede alla
guardie se non quello di ottima madre. Vcggonsi pure soventa
riunite nelle medaglie le teste di Merone e di Agrippina.
(3) Tacito, narrando l’uccisione di Giunio Silano proconsolo del-
1’ Asia e del liberto Marcisso ordinala da Agrippina all’ insaputa di
Merone sul principio del suo regno, soggiugne , clic si prt- cedeva
«Ile stragi ,- se opposti non si fossero Burro e Seneca, i quali, con-
cordi nella società del potere, con diverso artificio distinguevansi, il
primo col governo della milizia e polla severità dei costumi, il se-
condo coi precetti dell’eloquenza e con onesta cortesia , e 1’ uno s
1’ altro lottavano congiuutamente contro la- ferocia di Agrippina.
Questa aveva eletto Burro solo prefetto del pretorio invece di due^
cioè di Lnsio Gela e dj Bufo Crispino.
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'D
il precettore di Nerone medesimo. Colta avendo essi
adunque opportuna occasione , posero fine a quel-
l’ ordine di cose. Imperciocché, venuti essendo legati
dagli Armeni , e volendo Agrippina introdursi nel
tribunale, dal quale Nerone ad essi parlava, vedendo
quelli che già al figliuolo awicinavasi, insinuarono a
quel giovanetto che da prima scendesse egli stesso,
e incontro si facesse alla madre , quasi bramoso di
venire con essa a colloquio. Il che fatto essendosi ,
neu solo più non tornarono allora nel tribunale ,
simulata avendo altra cagione , affinchè ai Barbari
manifesta non si rendesse quella debolezza dell’ im-
pero ; ma si ottenne ancora in appresso che più ad
essa alcuna cura delle cose pubbliche non si con-
cedesse (i).
IV. Questo avendo essi conseguito , lutto il reg-
gimento dell’ imperio assunsero , e con grande studio
in maniera ottima e giustissima lo amministrarono.
Imperciocché Nerone, nemico anche in addietro delle
pubbliche cure , dilettato erasi dell’ ozio , [ e per
questa cagione anche da prima avverso mostrato
«rasi alla madre , ed allora godeva , che menti ’ 1 egli
nei piaceri saziavasi , le cose dell 1 imperio punto non
peggiorassero. Ma quelli , venuti essendo tra di essi
ad accordo , molte delle cose eh 1 erano state stabi-
lite , in parte emendarono, in parte tolsero di mezzo
• 1
(i) Dione aveva già narrato ebe anche sotto Claudio , Agrippina
assisa sul trono riceveva le ambascerie. I legati degli Armeni venuti
erano in quell' epoca in Roma, perchè caccialo avevano il ro Rada-
misto , e devastata era quella provincia dai Parti.
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20
interamente , altre leggi a (Tatto nuove promulgando J
Essi iutanto lasciavano che Nerone ai piaceri si ab*
bamlonasse 3 affinché saziato una volta senza grave
danno della repubblica delle sue cupidigie, il teuore
della sua vita cambiasse 3. ignoravano essi apparen-
temente che l 1 animo giovanile a sè stesso abban-
donato , e senza alcuna riprensione educato nei pia*
ceri e nelle dissolutezze , non solo non può saziar*
sene , ma molto più ancora ne rimaue corrotto. E
di vero Nerone da prima banchettava , empivasi di
cibi , ubbriacavasi , amoreggiava. Ma posciachè niu-
no trovossi che lo ammonisse , nè peggio tuttavia
le cose pubbliche amministravansi 3 eredette egli di
far bene così operando , e di potere in seguito pro-
cedere a maggiore rilasciamento. [ Tutte queste cose
adunque cominciò a praticare più apertamente e con
maggiore ardore , e se detto gli avessero cosa alcuna
o quelli esortandolo , o la madre ammonendolo , re-
verenza mostrava ad essi , mentre presenti erano , e
di emendarsi prometteva 3 ma tosto che volte avevano
le spalle, la sua cupidigia secondava, ed a coloro che
il contrario gli suggerivano , siccome quelli che a)
precipizio traevanlo , ubbidiva j. Laonde cominciò da
indi iu poi a sprezzare in parte gli avvisi , massi-
mamente che spesso udiva dirsi dai domestici : « Que-
sto adunque tu soffri ? Tu temi quelle persone ? E
non sai che sei Cesare , e che tu hai podestà sopra
di essi , nou l 1 hanno essi sopra di te ? (1) » In parte
(1) Tauio approfittò Nerone di quei perfidi suggerimenti, che, al
dira di Sveiouto , andava ripetendo , uon avere mai conosciuto al-
cun principe quello che lecito gli fosse.
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Cominciò ancora più ambiziosamente a contendere ,
onde nè alla madre nel potere , nè a Seneca e Burro
nel senno , inferiore apparisse, ’
V. Mostrossi egli finalmente a viso scoperto , e
rigettati avendo e conculcati tutti i loro precetti , si
diede a seguire le pedate di Cajo. E dachè pigliato
ebbe una volta ad imitarlo , giunse ancora a supe-
rarlo , giudicando proprio essere questo della potestà
imperatoria j che alcuno superiore non vi avesse nè
pure nelle pessime cose. [ Per le quali cagioni , ac-
colto essendo colle lodi dell 1 infima plebe, e colle
acclamazioni alla adulazione disposte , non ebbe da
ultimo alcun riguardo nè pure alla propria dignità.
Imperciocché da prima nel suo palazzo e alla pre-
senza de 1 soli domestici a que’ disordini abbandona-
vasi ; poi palesi a tutti li fece , cosicché non solo il
nome romano coprì di grandissima ignominia , ma
gravissimi danni ancora gli arrecò. La violenza di
fatto , e gli stupri , le uccisioni e le rapine , tanto
da esso , quanto dai suoi favoriti , in gran numero
si esercitavano , e , come venir dee di necessaria
conseguenza da que’ vizj ], molto danaro si consuma-
va , mollo ingiustamente se ne esigeva , molto colla
forza rapivasi. Conciossiachè non era altronde Nerone
scarsamente liberale (i). Del che fa argomento il ve-
(i) Cosi io traduco un passo che non fe ben chiaro net greco ori-
ginale. Il Reimaro , per servirsi di una frase di Cicerone, tradusse;
erat . ... haudquaquam angustnc libenilitatis. Diligente c parco
disse in vece Zonata quell’ imperatore nelle largùioni e nelle spese.
Svekonio attribuisce a Nerone il detto, che le riccheere e il danaro
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dere , che avendo egli ordinato che centomila »e-
sterzi dati fossero a Doriforo , referendario dello
suppliche , ed ammucchiato avendo Agrippina in un
solo luogo tutto il danaro, affinché Nerone veden-
dolo della largizione di somma così grande si pen-
tisse , domandò a quanto arrivasse il danaro nume-
rato, e conosciutane la quantità, ordinò che raddop-
piata fosse. « Perciocché io non credeva, diss’ egli ,
di avere fatto così piccolo donativo (i) ». Per il che,
esauriti avendo ben presto egli colla grandiosità delle
spese da esso fatte i tesori nel regio fisco (a) trovati,
ed abbisognando tosto di nuovi mezzi di raccogliere
danaro ; non solo imponevansi insoliti tributi , ma
• * *
falle non erano che per essere profuse ; che sordidi erano coloro
i <juali tenevano conio delle spese , magnifici coloro che dal danaro
abusavano o lo gettavano .
( i ) Alcuni * posttori credettero quel Doriforo un soldata pretoriano.
Ala come mai , dice il Reimaro , sarebbero stati ad esso affidati
ri t?s ip % Jr fiifix/tc , o quelli che Tacito appella commentario t
principale t ? A dir vero , io ho tradotto contro mia voglia referen-
dario delle suppliche , seguendo ii Reimaro stesso che tradusse gai
a libellis erat, solo perchè non avrei saputo come italianamente ren-
dere conto della incombenza di quel liberto, giacché anche quella
frase di Tacitò ha imbarazzato i suoi volgarizzatori. Uu Doriforo
altronde versato nelle lettere trovasi nelle antiche iscritioui, e forsa
è quello stesso che presso Nerone trovavasi . allorché una supplica
gli presentat a certo Montano , che nelle tenebre percosso lo aveva ,
il che servirebbe a confermare la traduzione mia consentanea alla
Reimariana.
Alcano degli sposilori ha portato quella somma a dieci milioni d(
sesterzi .
(a) Dione nomina talvolta il fìsco del principe , il fisco regio ed.
anche F avvocato del fisco .
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62 facevano altresì curiose indagini sulle facoltà di
coloro che alcuna cosa possedevano , e queste tolse
Nerone a molti ingiustamente , t alcuni di essi inoltre
mandò a morte. [ Sospettando altresì che avversi a
lui fossero alcuni i quali , sebbene non doviziosi ,
chiari erano per la loro virtù , e per lo splendore
del loro lignaggio , gli odiava e li toglieva dai vivi ].
VI. Ma poiché giunse Nerone a tanto di pravità ,
rimane a dirsi paratamente di quello eh’ egli fece.
Egli dunque tra le prime cose tanto delle gare dei
cavalli dilettatasi , che per questo motivo i cavalli
insigni per vittorie riportate e già per ■Vecchiezza
Cadenti (l) , fino della «tela forense , non altrimenti
che se uomini fossero , adornava , e per titolo di
alimenti ^noravali con assegno pecuniario. Per la
qual cosa montati essendo in superbia , e protervi
mostrandosi verso i pretori ed i consoli , coloro che
i cavalli nutrivano , non meno che i loro agitatori 5
Aulo Fabricio pretore non volle di essi servirsi ,
giacché di gareggiare per giusta mercede ricusavano,
ma in vece di cavalli introdusse cani , assuefatti a
tirare i carri. Il che fatto essendo , coloro che colla
(■) Ammettevansi i cavalli a gareggiare nel circo, al dire di Plinio,
non minori di cinque anni, e all’età di. venti si dedicavano all’uf-
fizio di stalloni. Osservano però Bulengero e Spanemio, che anche
i cavalli per debolezza divenuti inetti al corso;, col danaro pubblico
si nutrivano. Fra gli eccessi adunque di Nerone dovrebbe annove-
rarsi quello soltanto della stola ai cavalli imposta , che Ottavio Fer-
rari interpreta per toga. Forse non era se non la penula forense ,
la quale aperta davanti a guisa di manto, serviva ancora di coperta
ai dormienti- ....
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veste bianca o bruna distinguevansi (i), tosto coi loro
carri uscirono , e comparsi essendo nel circo anche
i verdi e i turchini , Nerone stesso i premj ai coni"
dori propose , e così celebraronsi i giuochi circeusi.
[ Agrippina intanto di compiere studiavasi fatti di
altissima importanza , cosicché a morte trasse M.
Giunio Silano, mandato avendogli il veleno mede-
simo col quale spento aveva il marito Claudio.
Era Silano proconsole dell' Asia , non inferiore
per i costumi suoi al suo lignaggio , per la qual cosa
diceva Agrippina di averlo mandato a morte , affin-
chè anteposto non fosse a Nerone , che vita tanto
sordida menava (a). Del rimanente nulla aveva Agrip-
pina che venale non fosse, e dalle minime cose e
dalle più sordide guadagno ritraeva.
Leliano , che era stato nell' Armenia spedito in
luogo di Politone , era stato veramente prefetto dei
(i) Quattro erano le laiioni o le compagnie dei condottieri dei
carri nel circo , che dal colore diatinguevauti ; i colori erano il
bianco , il bruno rossiccio, il verde ed il celeste o turchino. I Verdi
erano detti prasini , veneti i turchini, e cosi è scritto nel testo.
Salmasio nota che il veneto è un color Verde pallido , tendente al
colore dell 1 acqua marina ; Vegeiio però c’ insegna che di quel
colore facevansi gli attrezzi deile navi esploratorie , perchè con-
fondendosi col colore del cielo , più diffìcilmente scoprivano. — -
HI. Antonino scrive >ipx<na>oi e fitttljxti'i : sarebbe mai da questo
vocabolo derivato col solo cangiamento di una lettera il colore
berelliuo dei Veneziaui ?
(a) Non è d’ accordo Tacito su i meriti da questo isterico attri-
buiti a Silano ; nata ansi che Csjo Cesare soleva appellarlo una
pecora d’ oro , siccome quello che prive d' ingegno e di virtù , re-
putato era soltanto per le sue riccheue-
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25
vigili , del resto in alcuna parte non migliore di
Pollione (i). Perciocché qnanto questo per dignità
superava , tanto maggiormente ardeva egli di insa»
aiabile cupidigia di lucro ].
VII. Intanto mal solTriva Agrippina , principalmente
per cagione di Atte , che non più alle faccende del
palazzo essa presiedesse. Era stata nell’ Asia compe»
rata Alte, per la quale Nerone tanto amore conce-
puto aveva , che nella famiglia di Attalo avevaia in-
trusa , e molto più cara la teneva della moglie sua
Ottavia (a). Per questa principalmente e per altre
cagioni accesa di sdegno Agrippina, cominciò da
prima ad ammonire Nerone , ed a correggere in
parte colle battiture , in parte ad allontanare coloro
che con esso si trattenevano. Vedendo da poi che
nulla per questo mezzo otteneva , più ancora mo-
strassi offesa j ed a Nerone « io , disse , io ti
feci imperatore ; » quasi in potere di lei fosse ri-
togliergli il principato. Ignorava essa in vero, -che
il supremo imperio, dacché è stato da un privato
(i) Questi, come Tacito narra nal lib. sii, con somma scel-
leralena tradito aveva Mitridate re dell' Armenia , alleato del po-
polo romano.
' (a) Al dire di Svelonio poco mancò, che Nerone con legittime
none non si congiugnesse colla liberta Atte , trovato avendo uomini
consolari , i quali con manifesto spergiuro nata di regia stirpe la
asserivano. Doloroso riesce il vedere, che il filosofo Seneca fu con-
sapevole e anche mediatore di quegli amori , il che forse , secondo
Tacilo , egli fece affine di trovare un rimedio alle incestuose solle-
citaiioni di Agrippina. Credette alcuno dei Padri della Chiesa, che
quella Atte conferito avesse con s. Paolo , e na fosse stala istruita
Bel cristianesimo.
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ad alcuno deferito , cessa subitamente in quello die
10 deferì , e si trasferisce iu quello che lo ottenne y
11 potere contro il medesimo che lo diede. Allora Ne*
rone dolosamente Britannico spense col veleno (i)y
c veduto avendo il di lui volto livido tutto e per
la violenza del farmaco deformato , volle che intona-
cato fosse di gesso; ma portandosi il corpo con fu-
nebre pompa attorno al Foro , avvenne che caduta
essendò grandissima pioggia , il gesso che ancora
umido era , fu sciolto e dileguossi , affinchè quella
nefanda scelleragginc non solamente fosse da tutti
udita , ma esposta altresì agli occhi di tutti. [ Dopo
la morte di Britannico , e Seneca e Burro molto
minore cura della repubblica pigliarono , contenti di
prestare mediocre attenzione alle cose del defunto ,
se le loro medesime ponevano al sicuro. Per questo
Nerone apertamente e con estrema licenza si abban-
donò ad ogni genere di libidine. E giunse ancora
palesemente a tal grado di demenza , che non ar-
rossì di mandare all’ ultimo supplizio Antonio cava-
liere romano per titolo di veneficio, e di far gettare
pubblicamente i veleni al fuoco. E di questo ancora
sommamente gloriavasi , p così pure di avere puniti
i rei di frode in un testamento introdotta; agli altri
tutti però somministrò ampia materia di riso , sic-
(i) Il veleno fu preparato dalla celebre avvclcnatrice Locusta e
mescolato con uno bevanda fredda , infusa in altra caldissima. Non
sussiste adunque il detto di Eliano » che Britannico fosse stato av-
velenato nel cibo , sebbene Filostrato narri che Nerone i maggiori
suoi nemici col lepre marino attossicava.
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a 7
come quello , che le sue medesime scelleratezze negli
altri puniva.
Vili. Nerone intanto soleva .cosi in casa , siccome
nella città , di notte e anche nel giorno , nascosta*
mente il più delle volte rubare ; entrare nelle laver*
ne , e girare dovunque vestito da privato ; per la
qual cosa a molli ferite ed ingiurie frequenti erano
inferite. E quella viziosa pratica giunse fino a 1 teatri,
giacché i partigiani degl 1 istrioni e degli attori , più
non temevano nè rispettavano i soldati , nè tampoco
i consoli ; ma, o essi medesimi divisi tra di loro tu*
multi suscitavano , o pure altri al partito loro trae*
vano , mentre Neroqe non solo non contencvali ,
almeno colla voce , ma altresi maggiormente gli ec*
citava. Imperciocché di queste cose egli pigliava di*
letto , facendosi in lettiga portare di nascosto nel
teatro , e da un luogo , ove dagli altri non potesse
vedersi, tutto quello che si faceva, riguardando (i).
Che anzi ai soldati soliti ad avere stazione pvunque
avesse luogo concorso di popolo , vietò dopo quei
fatti che colà accorressero ; in apparenza perchè di*
ceva egli dovere soltanto i soldati occuparsi nelle cose
militari (a); ma in fatto affinchè maggiormente libero
fosse il tumultuare a chiunque voleva. Dello stesso
pretesto usando verso la madre , ad essa ritolse le
(i) Svetoaio aggiugne , cbe alle sedizioni dei pantomimi dalla
parte superiore del proscenio Nerone assisteva, come capo ai tempo
stesso e promotore , e come spettatore.
(a) Dice Tacito che altro pretesto da Nerone adducevasi , cioè
perchè maggiormente liberi fo-sero gli spettacoli , e perchè il soldato
corrotta non fosse dalla leatrala licerli a.
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a8
guardie militari , allegando per motivo che alcuno
dai soldati non doveva essere custodito a riserva del-
l’ imperatore (i); il che fatto avendo, la inimicizia
che contro la madre esercitava, a tutti rendette ma-
nifesta). Essendo egli adunque anche apertamente ed
in palese alla madre avverso , da questo procedeva
che molte cose , le quali essi ogni giorno l’ uno con-
tro ]’ altro quasi a vicenda dicevano o facevano T
fuori del palazzo si pubblicavano, sebbene non tutto
si divolgasse , ma altri diverse congetture su quei
dissidj formassero , e quindi diversi romori si spar-
gessero. Gonciossiachè a cagione della loro impro-
bità e della loro libidine , e quelle cose che potevano
essere avvenute , come avvenute comunemente dice-
vansi, e quelle che propalate grandissima apparenza
di verità avevano , si ritenevano come vere. Molti
adunque allora, Agrippina vedendo priva di guardie,
cominciarono ad usare precauzione , non trattenen-
dosi a parlare con essa , qualora la incontrassero.
Che se alcuno per accidente in essa avvenuto si fos-
se, senza fare parola, benché minima, tosto si allon-
tanava.
IX. Fu verso quel tempo esposto uno spettacolo ,
nel quale uomini a cavallo i tori uccidevano , inse-
guendoli (2)5 poscia dalle guardie a cavallo del cor-
(i) Tacito riferisce questo fatto all’ epoca della morte di Britan-
nico ; tanto egli quanto Svelonio, fanno menzione della guardia dei
Germani , mentre i Baiavi e i f risii la guardia formavano di Nerdne,
come provò il Falcetti nella illustrazione delta Colonna Trajana e
belle Iscrizioni.
ai Era questa la caccia detta dei cavalieri Tessali) già esposta da
Giulio Cesare e da Claudio.
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po di Nerone trafitti furono colle lance quattrocento
orsi con trecento lioni , e trenta cavalieri della mi-
lizia pugnarono tra di loro alla foggia dei gladiatori.
Mentre però queste cose faceva Nerone palesemente,
di nottetempo occultamente per tutta la città imper-
versava ; le donne e i fanciulli stuprava , e quelli
spogliava che gli si facevano incontro , li percuote-
va , li feriva , gli uccideva. E nel far questo , cre-
deva egli di rimanere celato, cosicché alcuno di lui
non si avvedesse , perciocché di varie vesti taceva
uso .e di chiome posticcie ; ma dal suo seguito e dai
fatti facilmente conoscevasi. Nè in vero osato avreb-
be alcuno di commettere con sicurezza taute e cosi
grandi scelleratezze. Imperciocché nè pure nella pro-
pria casa sicuro poteva dirsi alcuno , entrando Ne-
rone ad insultare anche nelle case e nelle botteghe.
Per questo il senatore Giulio Montano (i) , per ca-
gione della moglie acceso di sdegno , contra Nerone
scagliatosi , di molte percosse gli diede , cosicché per
molti giorni , affinché livido non si scorgesse il viso
per le ricevute battiture, in pubblico non comparve.
La qual cosa per sé stessa a Montano alcun danno
non arrecò. Percioccbè Nerone , il quale per caso
iortuito (a) offeso si reputava, alcuno sdegno conce-
(i) Secqndo Svetonio e Tacilo sarebbe stalo Montano non sena-
tore , ma semplice luliclavio , giacché ai iìgliuoli dei senatori con-
ceduto era di {tonare la toga virile, il laloclavo , e di iuiervenirn
alla Curia , benché aucora senatori non fossero.
(3) O piuttosto uou credeva di essere stato conosciuto. Questa
h il vero senso del testo , come si raccoglie da alui slotici e da
alcuni passi di Sìfiliuo medesimo.
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3o
puto non avrebbe, «e Montano stesso chiesto non
avesse per lettere il perdono. Le quali lettere vedute
avendo Nerone , cosi rispose : « Colui adunque che
percosse Nerone , già si è tolta da sè stesso la vi-
ta (i)?*» Avendo però Nerone esibiti alcuni spettacoli
in certo anfiteatro (a) , ed essendo stato questo al-
1’ improvviso empiuto ci’ acqua marina , nella quale
pesci e balene nuotavano (3) , una battaglia navale
dispose dei Persiani cogli Ateniesi (4); sottratta quin-
di P acqua subitamente , ed asciugato il suolo , co-
mandò che a battaglia venissero molti fanti , non
solo in singolare certame , ma anche uniti in drap-
pelli di numero eguale da ambe le parti.
X. A queste vennero in seguito le lotte giudizia-
(i) Credo il Reimaro cbe io questo lungo manchi alcuna cosa,
che peto trovasi nei Frammenti Peiresciani , nei quali si parla di
Doriforo , che veduta aveva la supplica di Montano , laonde il Rei-
maro nou dubitò di uomiuarlo referendario dei libelli.
(a) fiel testo originate si k scritto teatro invece di anfiteatro , il
che fatto vedesi auche alcuna volta da Dione e da altri scrittori di
quella età. Non poteva essere questo 1’ anfiteatro di legno costruito
nella regione del Campo Marzio nello spazio di un anuo , del quala
parla Svelonio. Probabilmente era un anfiteatro lapidea, che inco-
minciato da Cajo , Nerone aveva ridotto a compimento.
(3) Il lesto porla antri) , cbe il Reimaro ed altri tradussero bel-
lua e , appoggiali ad uu passo di Svetonio. Io amo meglio di adot-
tare la lezione già ammessa dal Silburgi? di altri! in vece di arare;
e panni cosa assai migliore il tradurre balene invece di belve , cha
nuotalo non avrebbero nell' acqua marina, sebbene Marziale parli di
fiere ignoti a Tcti ed a Galatea.
(4) Questa era già stata altre volte esposta; Augusto aveva fatto
combattere le navi persiane colle cecropicbe, Claudio le siciliane
colla rodiensi.
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3i
pie, nelle quali ancora molti furono esiliati i altri man*
dati a morte. In queste Seneca fu chiamato reo, sic*
come di altri delitti, così pure di avere tenuto carnale
commercio con Agrippina (i). Perciocché non contento
dell’adulterio commesso con Giulia (2), nè fatto più pre-
dente per lo sofferto esilio, attaccossi anche ad Agrip-
pina, femmina di siffatti costumi e che siffatto figliuolo
aveva]. Nè in questo soltanto , ma in molt’ altre co-
se, sembrava egli operare tutto al contrario di quello:
che filosofando insegnava. Perciocché menti-’ egli la
tirannide riprovava , precettore era del tiranno ; ©
mentre inveiva contra coloro , che coi principi si
trattenevano , egli dai palazzo non si partiva. E que-
gli che gli adulatori di continuo rimproverava , egli
stesso Messalina e i liberti di Claudio coll’ adulazio-
ne blandiva , cosicché un libro pièno delle lodi loro
dall’ isola mandato aveva , che poscia , spinto da ver-
gogna , colla parte opposta dello stilo cancellò. I ric-
chi riprendeva quel desso , le di cui ricchezze ascen-
devano a tre milioni di sesterzj , e quegli che il lusso
degli altri condannava , cinquecento tripodi aveva di
(1) Sotto quest’ epoca non registra Tacito alcuna accasa a Seneca
iateoiata , e soltanto fa menzione in appresso della invettiva di P.
Suiìio contro Seneca , dalla quale forse Dione trasse queste accuse,
non senza esagerarle. Intorno alia animosità da Dione mostrala cen-
tra quel filosofo , seggasi la vita di Dione medesimo , da me pre-
messa alia istoria g xiv.
(a) Questa è Giulia iìglinula di Germanico , che Messalina accasò
d' adulterio e trasse a morte , per la qual cosa Seneca mandalo in
esilio, fu .poscia richiamalo da Agrippina.
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legno di cedro (i) coi piedi d’avorio , tutti perfetta-
mente simili, coi quali banchettava. Dalle quali cose
tutte facilmente possono inferirsi quelle ancora con-
sentanee alle medesime , eh’ egli libidinosamente fa-
ceva. Contratte avendo egli di fatto le nozze con
femmina sommamente illustre (a) , dilettavasi di al-
tre vilissime , e a queste pratiche istrutto aveva Ne-
rone ) sebbene foss’ egli da prima di tale severità di
costumi , che ad esso chiedeva perfino di non ba-
ciarlo e di non assidersi nò pure insieme in occasione
della cena. [ Ed a questo in vero poteva assegnarsi
un apparente motivo , affinchè più liberamente alla
filosofia attendesse , non distratto dai regali conviti ;
io non posso tuttavia immaginare per quale cagione
con cura sì grande il bacio evitasse. Che se alcuno
sospettare potesse per avventura questo solo , eh’ egli
dare non volesse un bacio a bocca impura , falsa si
proverebbe la supposizione colle pratiche da esso te-
nute con fanciulli corrotti (3). Per quei delitti adun-
que e per quello dell’ adulterio , chiamato Seneca in
giudizio , allora veramente anche avanti l’ istituzione
(i) Questi tripodi erano tavole , e non è strano che fossero in
si gran numero , perchè ciascuno dei convitati aveva la propria
mensa ■
(s) Sposala egli aveva Paolina , figliuola secondo alcuni , secon-
do altri sorella, di Pompeo Paolino duce degli eserciti nella Germa-
nia inferiore.
(3) Passo difficilissimo a tradursi. Il Reimaro tradusse putrì a
meritarli». Io ho adottalo una frase più consentanea ai nostri co-
stumi.
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dell’ accusa fu assoluto , e gli uffizj suoi interpose
per Pallaute e per Burro ; ma poscia fu a pena as-
soggettilo (i) J.
XI. [ Nerone però , la verità non udendo da alcu-
no , e vedendo che le cose da esso fatte da tutti
ricevute erano con applauso , avvisava che nascoste
fossero le sue scelleratezze , o ancora che rettamente
fossero quelle cose da esso operate. Divenuto quindi
assai peggiore , passò con nuovo ardire ad altri di-
sordini. Perciocché tutte le cose che lecite gli sem-
bravano , rette egli credeva altresì, e l’orecchio por-
geva a coloro che alcuna cosa dicevano per timore
o per adulazione , come se il vero gli dicessero. E
fino» a quel punto veramente era egli stato trattenuto
da qualche timore e da qualche turbamento } ma da
che molte cose udì dai legati delle straniere nazioni,
studiate a bella posta per compiacenza o per adulazio-
ne, più audace diventò]. Con Nerone poi per grande so-
miglianza di costumi e società di scelleraggini congiun-
to era M. Salvio Ottone, che a Nerone stesso diceva
(i) Ed’ uopo ricordare in questo luogo al lettore che questi fre-
quenti segui o uncinelli, come il Rei maro gli appella , indicano non
gii , parentesi, o separazione del discorso , o altra simile avvertenza
dello scrittore, ma hensi i passi , che sono di Dione stesso e non
dell’ ahbrevialore Sifilino ; il che serve a rendere I’ opera assai pii
pregevole , riguardare potendosi quei passi come altrettanti fram-
menti del testo originale delle istorie di Dione. — Burro c l’aliante
erano stati accusati di volere sollevare all’ imperio Cornelio Siila ,
genero di Clandio. l’aliante fu trovato innocente; Burro, benché
reo , riuscì a far condannare 1’ accusatore. Così Tacito l. xui ;
il quale però non parla dell’ intervento di Seneca io quel giudizio.
Viotti, tomo iV, 1 . 0 o/ sinuto. 3
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talvolta : « Cosi ini vegga tu Cesare ! » Il qual «letto
non gli nocque ; solo gli rispose allora Nerone : « Te
però non vedrò nè pur console ». A quello diede in
moglie Sabina (i) , di famiglia patrizia oriunda , e
tolta al marito suo , colla quale per alcun tempo
avevano 1’ uno e 1’ altro carnale commercio. Per la
qual cosa temendo Agrippina che sposa quella dive-
nisse di Nerone , ( perciocché cominciato egli aveva
ad amarla grandemente ), osò tentare nefanda scelle-
ratezza. Conciossiachè quasi non bastasse lo avere
essa con certi prestigi (a) , con libidinosi sguardi e
baci indotto ad amorose pratiche Claudio suo zio ,
tentò in egual modo di assuggettire Nerone alla sua
podestà j il che non oserei asserire se avvenuto sia
realmente (3) , o immaginato siasi per cagione de 7 co-
stumi dell 1 uno e dell’ altra ; perciocché quelle cose
(i) Questa è Sabina Poppea, frequente nelle medaglie, moglie da
prima di Rufo Crispino al quale partorito aveva un figliuolo , dive-
nuta poscia l’amante di Ottone e di Nerone.
(a) Credettero alcuni, che questi fossero ammaliamenti , e Tri-
stano fognò perfino una pietra coperta di magiche figure , Giovanni
Antiocheno un farmaco. Ma non vi aveva bisogno di questo , c
Dione stesso altrove parlando di Cleopatra dice che essa aveva af-
fascinalo Antonio. Egli è per questo che io ho tradotto prestigi il
vocabolo greco, ebe altri interpretò per incanto.
(3) Non cosi dilicali si mostrano Tacito e Svelonio , il primo dei
quali narra che Agrippina 6lessa offerivasi alla libidine di Nerone te-
mulento, il seconda dice in un luogo ebe Nerone bramoso del com-
mercio colla madre, si trattenne per timore che essa piò polente e
piò feroce per quell’ atto divenisse ; altrove però accenna avergli
Atte rinfacciato che divulgato era l’incesto $ che di quello la madre
gloriavasi, e che i soldati l’ impeto di un principe profano non era-
no per tollerare.
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10 riferisco che da tutti sono come vere riconosciute,
cioè che certa meretrice , ad Agrippina somigliante ,
era stata per questa stessa cagione sommamente da
Nerone amata ; alla quale alludendo , e la stessa ad
altri mostrando , diceva di avere avuto colla madre
carnale commercio.
XII. Questa cosa scoperta avendo Sabina , a Ne*
rone insinuò di togliere di mezzo Agrippina , dicen-
do che da questa insidie ad essa si tendevano. A
questo misfatto , come da moltissimi degni di fede
è stato riferito , anche Seneca incitollo ; sia che il
delitto che ad esso imputavasi , bramasse di avvol-
gere in una specie di caligine ; sia che condurre vo-
lesse Nerone a quella nefanda uccisione , affinché
ben presto abbandonato fosse dagli Dei e dagli uo-
mini alla sua rovina. Il qual delitto però temendo
essi di commettere palesemente , nè potendo di na-
scosto spegnerla col veleno , ( giacché da lutti gelo-
samente essa guardavasi ) , avvenne che vedendo nel
teatro scomporsi da sè stessa una nave , e dopo di
avere mandato fuori alcune fiere , ritornare intera e
solida , vollero che una nave a quella simile si edi-
ficasse. Il che fatto essendosi , Agrippina cominciò
ad essere da Nerone grandemente corteggiata e in
qualunque cosa esso poteva favoreggiata , affinchè
più cauta per qualche sospetto non diventasse. Ma
non osando egli tentare alcuna cosa in Roma, onde
11 misfatto non si divolgasse , andò lungi nella Cam-
pania, e pigliata seco la madre, in quella stessa nave
con somma magnificenza ornata navigò , affinchè la
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brama in lei destasse di far uso per sempre di quel
naviglio.
XIII. Venuto essendo poscia a Bauli (i), per molti
giorni celebrò suntuosissimi conviti. In questi la ma-
dre amichevolmente accoglieva , e grandissimo do-
lore simulava per la di lei assenza * presente poi
teneramente baciavala ? e la sollecitava a chiedere se
alcuna cosa bramata avesse ; molte cose ancora non
richiesto le accordava. Condotta essendo a questo
punto la faccenda , dopo la cena , verso la mezza
notte egli l’ abbraccia , e stretta tenendola contro il
suo petto j e gli occhi e le mani baciandole , dice :
«• Madre mia , possa tu essere sana e salva ; quanto
a me , certamente in te vivo e per te regno ». Con-
segnala quindi al liberto Aniceto , non altriménti
che- se questi condurla dovesse alla di lei casa nella
nave che apparecchiata si era. Ma il mare non sop-
portò la tragedia che sopra di esso compiere dovevasi ,
nè pigliare volle sopra di sè la menzogna che di quel-
1’ orrendo delitto sparsa si sarebbe. Imperciocché
sciolto essendosi il naviglio } Agrippina cadde bensì
nel mare , ma non per questo perì. Perchè , sebbe-
ne nelle tenebre si aggirasse e ridondante fosse di
vino j e tanto coi remi si adoperassero i marinai
contro di essa , che Acerronia Polla di lei compa-
gna in quella navigazione uccisero , non pertanto
giunse essa a salvamento. Dacché fu pervenuta alla
(1) Era questa uua villa situala tra il promontorio Miseno ed il
lago o il seno di Baja. Alcuni moderni la collocano tra il Miseno
e r A verno al di sopra del bagno detto di Salviati.
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sua casa , tutto dissimulò , nè mostrò di avvedersi
dell’ insidie , che anzi al figliuolo spedì con celerità
un messo , e il caso espose , come se per ventura
fosse avvenuto , e in somma lieto annunzio gli inviò
della sua salvezza. Queste cose udite avendo Nerone,
con impotente animo il messo punì, come se venuto
fosse per ucciderlo. Comandò quindi ad Aniceto che
unitamente coi marinai contro la madre si recasse.
Perciocché non volle questa uccisione commettere ai
soldati pretoriani. Tosto che Agrippina vide Aniceto
e la sua comitiva , intese per qual cagione venivano;
e quindi alzandosi dal letto , squarciata la veste e
nudato il ventre , disse : « Questo ferisci , o Anice-
to ; feriscilo pure , giacché Nerone partorì (i). »
XIV. Così dunque Agrippina , figliuola di Ger-
manico , nepote di Agrippa , pronepote di Augusto ,
fu mandata a morte dallo stesso suo figliuolo , al
quale il regno deferito aveva , e per di cui cagione,
oltre molt’ altri , anche lo zio aveva fatto perire. Ne-
rone , poiché gli fu annunziato eh’ essa era morta ,
non prestò fede a quell’ avviso ; giacché la diffidenza
nacque in esso per l’ enormità del temerario mis-
fatto. Bramò dunque di vedere egli stesso il delitto
consumato , e quasi nuda la vide ; contemplando al-
lora le di lei ferite , proruppe finalmente in detti
più ancora nefandi che stata non era la stessa ucci-
sione : « Io non sapeva , diss’ egli , di avere sì bella
(i) Tacito narra che ano dei satelliti di Aniceto percossa da pri-
ma Agrippina con un bastone sul capa , e che soltanto dopo questo
primo assalto essa il ventre espose alle ferite.
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madre (i )». Danaro distribuì quindi ai soldati preto-
riani , affinchè brama in essi si destasse di vedere
rinnovate molte di quelle scelleratezze ; e scrisse
lettere al Senato , nelle quali mentre tutte le altre
nequizie di Agrippina , delle quali egli era consape-
vole , rammentava , diceva altresì essergli state dalla
medesima tese insidie , e che sorpresa essa in quel-
l’atto , data si era da sè stessa la morte. Questo
scrisse egli veramente al Senato , ma però nella notte
turbato era da così grave timore, che repentinamente
balzava dal letto. Spaventato era talvolta dal suono
delle trombe che alla battaglia chiamava con grandis-
simo tumulto, il quale udire gli pareva da quel luogo
stesso , dove sepolte erano le ossa di Agrippina (a) j
per la qual cosa risolvette di recarsi altrove. E sic-
come colà pure lo stesso gli avveniva , atterrito , di
nuovo in altro luogo recavasi.
XV. Queste cose annunziate essendo in Roma ,
gli altri tutti, ( benché sdegno ne concepissero), gioi-
ti) Svetonio soggiogne che alcune parti censurò, altre lodò, e
che in quel frattempo sete provando , chiese da bere ; Tacito però
nota che asserivano bensì alcuni , altri negavano il fallo che ve-
duto avesse Nerone la madre estinta e lodale le bel lesse del di lei
corpo .
(a) Fu essa al dire di Tacito bruciata nella notte medesima su dì
una mensa destinata ai conviti e con vili esequie. Seppellita quindi
e coperta di sola terra , fiochi Nerone regnò , poscia per cura dei
suoi domestici ottenne picciolo mon-; mento presso la via di Miseno
e la villa di Cesare dittatore.
Quanto alle lettere scritte al Senato, sembra doversi preferire l’opi-
nione di Dione, ebe quelle scritte fossero avanti ]a di lui partensa , al
detto di Tacilo, che da Napoli le suppone mandala al Senato.
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vano , perchè reputavano che per questa cagione
sarebbe Nerone certamente perito. Tutti però i sena»
tori di queste di lui opere mostravano di rallegrarsi,
eoa esso si congratulavano , e molte cose ordinava-
no per decreto , nelle quali credevansi di fare ad
esso cosa grata. Il solo Pubblio Trasea Peto venne
bensì nel Senato , ed udì la lettura dell’ epistola ;
ma levossi avanti che proposta fosse alcuna delibe-
razione , e uscì fuori , perciocché dire non poteva
quello eh’ egli voleva, nè dire voleva quello che po-
teva. L - ' altre cose tutte operò con eguale avvisamen-
to. Conciossiachè soleva egli dire : « Se Nerone me
solo fosse per uccidere , facilmente perdonerei a co-
loro che tanto lo blandiscono : ma poiché tanti egli
fece perire, ed è ancora per togliere di vita di colo-
ro dai quali sommamente era lodato , che giova il
morire servilmente , turpe condotta tenendo , mentre
lecito è tuttora pagare il debito alla natura , la libertà
conservando ? Perciocché di me , diceva egli , vivrà
un giorno qualcae memoria, non già alcuna di quelli,
se non forse della loro uccisione ». Tale fu Trasea ,
e seco stesso cosi ragionare soleva : « Può Nerone
uccidermi ; offendermi non può certamente (i)».
XVI. Venuto essendo Nerone nella città dopo la
(■) Trasea ara genero di Cecina Pelo e di Arria, notissimi nella
storia, massime per il dello della seconda la quale pugnendosi colla
siilo, disse al marito : u Questo non fa dolore». Stoico era Trasea,
nomo grave, costante, intrepido v che scritta aveva la vita di Ca-
tone Ulicense. Fedele all’ insegnamento dagli stoici , non reputava
egli doversi tra i mali la morte annoverare.
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uccisione della madre , tutti pubblicamente lo corteg-
giavano ; ma in privato , ogni qualvolta liberamente
parlare potevano , senza esporsi a pericolo , con rim-
proveri violentissimi lo laceravano. Conciossiachè an-
che il culeo a certa di lui statua nella notte sospe-
sero , quasi indicare volendo che cacciare dovevasi
Nerone nel culeo (i). Esposero altresì un bambino
nel Foro , con cartello appeso , nel quale era scrit-
to : « Non ti raccolgo , affinchè la madre tu non
uccida ». Scritto leggevasi parimenti in molti luoghi,
Nerone , Oreste , Alaneone , matricidi.
Udito avresti ancora comunemente in bocca di molti
il detto : « Nerone uccisore fu della madre ; » per il
che molti delatori facevansi di altri , piuttosto ad
oggetto di apporre quel delitto a Nsrone , che di
procurare a questi la perdita. Laonde niuna di que-
ste accuse egli ammise , sia perchè la fama in que-
sto modo non si estendesse col ragionare tutti di
quel fatto , sia perchè già disprezzasse i discorsi
che di quello facevansi (a). Del rimanente in mezzo
(i) Era i! calco, come ad ognuno i noto, un sacco di cnojo ,
nel quale per legge delle XII tavole cucito era il parricida col capp
coperto e gettato nell' onde ; si aggiunse da poi 1’ unione nel sacco
medesimo di un cane , di un gallo , di una scimia e di una vipera.
Raro quel supplizio , come pure il delitto di parricidio , nei primi
secoli di Roma, divenuto era frequente al tempo di Claudio.
(a) Anche Svelonio notò la tolleranza grandissima di Nerone a
fronte dell» contumelie ( confida it malcdicla ) , eh* contro di
esso lanciavano.
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«
4 *
ai sacrifizj che per Agrippina facevansi per decreto
del Senato , il sole si oscurò totalmente t cosicché
apparvero le stelle (i) j gli elefanti inoltre che at-
taccati erano al carro di Augusto , entrati essendo
nel circo e giunti fino ai sedili dei senatori , fer-
maronsi , nè più vollero avanzarsi ; e quello che più
di tutto può congliietturarsi essere per opera divina
avvenuto, fu che in qualche occasione la cena che
a Nerone portavasi , tutta fu incendiata dal fulmine,
non altrimenti che se una qualche arpia i cibi gli
rapisse (a).
XVII. [ Del resto Nerone trasse a morte col ve-
leno anche Domizia sua zia , la quale non altrimenti
che la madre diceva da sè venerata , nè tampoco
aspettar volle un breve spazio di tempo , giacché per
vecchiezza mancata sarebbe ; ma ad essa affrettare
volle la morte per cagione dei possedimenti , che
essa godeva a Baja e nella campagna di Ravenna (3).
Nei quali egli poi costruire fece magnifiche case di
(i) Questa eclissi del sole viene menzionala anche da Tacito
sotto l’anno 8ia di Aoma , 5p dell'era volgare. Plinio pure ne
parla sotto 1’ anno medesimo, cioè sotto il consolato di Vipsanio •
Fonico. Essa dovette accadere tra le ore ] e 3 pomeridiane del
giorno 3o di aprile ; ma il Petavio mostrò che non poteva essere
totale.
(a) Tacilo disgiugne que* prodigi , riuniti soltanto da Filostrato e
da Sifìlino ; secondo quello storico avvennero coll’ intervallo di un
anno. Tacilo e Seneca parlano ancora di nna cometa , che si vide
risplendere per lo spazio di sei mesi.
(3) Era Domizia sorella di Gueo Domirio Enobarbo , che alcuni
suppongono essere stala moglie del celebre oratore Crispo Passiene.
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delizia] che ancora all’ età nostra sussistono (i). Per
cagione della madre celebrò giuochi grandiosi e sun-
tuosissimi ; perciocché in cinque o sei teatri ad un
tempo , molti giorni con feste solennizzò (a). Nella
quale occasione anche un elefante , innalzato al di
sopra della volta del teatro , di là , portando un
uomo assiso , scese per una fune (3). Fu però cosa
sommamente turpe reputata , e a molti grandemente
dispiacque , che gli uomini e le donne non solo del-
1’ ordine equestre , ma ancora del senatorio , tanto
(i) Siami permesso l’allontanarmi anche in questo dal dottissimo
Reimaro. Il vocabolo ìflirnft* , che trovasi nell’originale, egli
interpretò come ginnasj , contro I’ opinione del Valesio , fondandosi
sul costume di Nerone , che ginuasj all’ uso dei Greci e dei Napo-
letani istituiti avea in Roma. Essere non potevano, die’ egli , al-
berghi, o case di riposo, come il Valesio opina, perchè quell’ epi-
teto di magnifico ad un albergo applicare non si potrebbe. Ma a me
sembra che troppo si doni all'indole di Nerone, supponendolo fondatore
di giunasj per l’esercizio della gioventù , in qualche numero ed in
regioni tanto lontane. Amaena dwersoria tradussero alcuni , allon-
tanandosi da Svida ; ed io ho creduto di adottare la espressione di
caie di delitia , che maggiormente sembrami convenire al fasio ed
alla lussuria di Nerone.
(a) Scritto avevano alcuni interpreti che que’ giuochi dati eransi
da Nerone ad onore della madre. Meglio è assai il leggere per ca-
gione della madre , giacchi può intendersi che Nerone que’ giuochi
celebrasse per essersi sottratto alle di lei insidie.
(3) Questo elefaute funambolo ha dato motivo a molli ragiona-
menti , tra gli altri di certo Groddeck, che ha scritto una lunga dis-
seriazione sui funamboli. Nulla però di plausibile emerge da tutte
quelle ricerche. Svelouio dice che 1’ elefante montato era da un ca—
valiero romano , e nomina la fune catadromo. Ma questo era un
piano inclinato ; nè siamo tenuti , cred’ io , a pigliare alla lettera la
fune, dal solo Sifilino nominala, con che sparirebbe qualunque dif-
ficoltà.
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nel circo quanto nel teatro , s’ introdussero nell 1 or-
chestra non altrimenti che le persone più vili , ed
alcuni di quelli diedero fiato alle trombe , danzaro-
no , tragedie e commedie rappresentarono , esercita-
ronsi a cavallo , fiere uccisero e pugnarono alla fog-
gia de 1 gladiatori ; le quali cose molti fecero di buo-
na voglia , molti con grandissima repugnanza. Si vi-
dero allora antiche ed illustri famiglie , i Fnrii , i
Fabii , i Porci! , i Valerii , e 1’ altre tutte delle quali
si ammiravano i trofei e i templi , quelle funzioni
adempiere da un luogo inferiore , che nè pure ese-
guite da altro genere di persone degnavansi di ri-
guardare. Per questo gli spettatori l’un l’altro a
dito se li mostravano , e dicevano da prima i Mace-
doni : « Questo è il nepote di Paolo ; » poi i Gre-
ci : « Quello è di Mummio ; « e i Siciliani dicevano
allora: « Vedete Claudio ; » quindi gli Epiroti, « Non
è egli questo Appio ? » Gli Asiatici Lucio mostrava-
no , gli Spagnuoli Pubblio , i Cartaginesi l 1 Africano,
e i Romani tutti i loro duci additavano. Impercioc-
ché Nerone volle far pompa di questi tirocinj della
sua turpitudine ( 1 ).
XVIII. Tutti coloro altresì che di senno erano for-
niti, gemevano per l’eccessivo dispendio. Perciocché
(1) Si allude in questa scandalosa enumerazione a L. Emilio Paolo,
vincitore dei Macedoni e dei Persiani, a M. Claudio Marcello,
domatore della Sicilia , a L. Mummio , distruttore di CoriDto e di
Tebe, a Scipione Africano , e forse ad Appio Glaudio Crasso, ebe
la pace impedì con Pirro intavolata.
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Nerone per mezzo di alcune tessere (i) donava le vi-
vande più squisite e più laute , delle quali possano
gli uomini cibarsi , e tutte l 1 altre cose più preziose ,
siccome cavalli , schiavi , carri o vetture , oro , 'ar-
gento e toghe variegate. Gittava di fatto al popolo
piccioli globetti , dei quali ognuno conteneva uno
scritto indicante alcuna di quelle cose, e questa do-
nata veniva a norma della tessera che ciascuno
aveva potuto raccogliere. Per la qual cosa reputava-
no le persone bene avvedute , che colui il quale ia
cose turpi sì grandi spese profondeva, in alcun mo-
do dalle più indegne trattenuto non si sarebbe , affi-
ne di ottenere qualche guadagno. Verso quel tempo
medesimo , veduti essendosi alcuni portenti (a) , ri-
sposero gli aruspici che per mezzo di quelli annun-
ziavasi la morte di Nerone ; e il consiglio gli die-
dero che sopra di altri di quel pericolo si scaricas-
se ; per la qual cosa molti avrebb’ egli allora man-
dali a morte , se a lui Seneca detto non avesse :
« Abbenchè moltissimi tu faccia perire , non puoi
tuttavia dar morte al tuo successore ». Allora però
molti sacrifizj egli fece , siccome diceva , per la sal-
vezza sua , e il foro delle vivande , ( che ora dicesi
il macello ) , dedicò.
(i) Mittilia le chiamavano i Latini, perchè si gettavano al po-
polo. Laddove in seguilo si parla di globetti, l’originale porta sfere,
il che può applicarsi , secondo alcuni interpreti , anche a piccioli
dischi, nei quali scritto fosse il nome dell’ oggetto destinato al
possessore della tessera.
(a) Questi pure riducevansi ad una stella crinita o ad una cometa,
ed alla caduta di qualche fulmine.
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XIX. Dopo di questo celebrò egli solennità di al-
tro genere, dette Giovcnali (i). Queste feste date
furono per cagione della di lui barba , che per la
prima volta era stata rasa , i di cui peli in un glo-
bo d’ oro raccolti , consacrò a Giove Capitolino (a).
In questi giuochi veramente varj spettacoli espo-
sero tanto alcuni dei nobili primarj , quanto altre
persone. Della qual cosa si trae argomento dall’ avere
in quell’ occasione danzato Elia Cutella , femmina
che primeggiava per lignaggio e per ricchezze , e
già provetta di età , ( perciocché contava non meno
di ottant’ anni ) ; gli altri che per vecchiezza o per
malattia nulla fare potevano che segnalato fosse , col
suono le danze accompagnavano. Imperciocché cia-
scuno addestrava si in quell’ esercizio , e in quel mo-
do eh’ egli poteva ; ed eransi a questo fine scuole
nel circo istituite , le quali uomini chiarissimi , don-
ne , fanciulle , giovinetti , vecchierelle e vecchi fre-
quentavano. Che se alcuno non poteva altrimenti
contribuire allo spettacolo , mettevasi a parte nei
cori 5 e siccome molti dalla vergogna indotti , ma-
scherati a quelle funzioni prestavansi , affinchè co-
nosciuti non fossero 5 Nerone , a richiesta del popolo,
r
(i) Opportunamente distingue l'autore le feste Giovenali dalle
quinquennali colle quali erano state confuse da Svetonio. Le prime
non si celebravano nel pubblico teatro , ma presso un bosco ebe
circondato era da uno stagno nel quale entrare potevano le navi , il
Che era stato fatto per comando di Angusto.
(a) La barba deponevasi , o si radeva la prima volta con grande
solennità , e soleva a qualche nume consacrarsi. Nerone era giunto
allora all’ età di 3t anni.
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tolse loro le maschere , e a viso scoperto mostrolli
a quei cittadini , sopra i quali essi poco prima eser-
citati avevano gli uffizj de’ magistrati. Quegli allora
e gli altri tutti , i trapassati dicevano essere felicis-
simi. Poiché in quell’ anno gran numero dei primari
cittadini era stato mandato a morte , dei quali al-
cuni . accusati di avere tramate insidie a Nerone , era-
no stati dai soldati lapidali.
XX. £ siccome degno era che a quelle cose che
si facevano , un fine illustre si dovesse imporre (i),
lo stesso Nerone ancora usci fuova nel teatro , per
nome preconizzato da Gallione (a) , e presentos-
si Cesare sulla scena vestito da citaredo (3). Che
(i) Imporre Colofone pori» il lesto, e cosi tradusse il Reimaro.
Ma questo è un greco proverbio , che ludica terminare bene o de-
gnamente o nobilmente alcuna cosa , e ebe i latini adottarono ; e
quindi io ho creduto di non potere altrimenti tradurre, se non
italianameate interpretando il vero senso dell’ Autore.
(3) Era costume presso i Romani, che i citaredi ansiosi di ga-
reggiare tra di loro, scrivere facessero i loro nomi in un foglio;
qua’ nomi poscia da un’ urna si estraevano a sorte , e da un bandi-
tore si pubblicavano , onde il certame avesse luogo cou ordine. Ne-
rone si era già Ritto iscrivere , come 8vetonio narra , nel catalogo
degli atleti.
(3) Citarista era quello che semplicemente toccava la cetra; cita-
redo Ricevasi quello che il suono accompagnava col cauto. Questi
compariva sulla scena sbarbalo , cou chioma lunga e inanellala,
con corona sul capo d' oro c di gemme talvolta risplendente , eoa
veste purpurea variegata , con touaca talare fornita di ampie ma-
niche , clamide allacciata sugli omeri con una fibbia , e la cetra
sostenuta da una fascia riccamente ornata. Oiselio e Tristano hanno
esposto medaglie di Nerone sotto la forma di Apollo citaredo, dallo
quali si è inserita la figura nella lav. I.
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anzi 1’ imperatore stesso, « Signori miei , disse , con
n bontà ascoltatemi ; » ed Augusto cantò certa At-
tide e le Baccanti (i), avendo all’intorno gran nu-
mero di soldati , e davanti a tatto il popolo assiso
per quanto i sedili lo ammettevano *, sebbene, (come
fu detto ) , di tanto esile e non ben chiara voce for-
nito ei fosse (a) , che il riso e il pianto insieme in
tutti eccitava. Ad esso assistevano Burro e Sene-
ca (3) , siccome maestri , che alcuue cose gli sugge-
rivano j e tosto eh’ egli aveva qualche canto com-
piuto , le mani battevano e le vesti agitavano , e gli
altri a questo fare inducevano. Perciocché aveva egli
altresì istituito certo corpo parziale di soldati , por-
tati fino a cinque mila , i quali nominati Augusta-
ni (4) j cominciavano ad esaltarlo colle lodi y dopo
(i) Nelle gare dei citaredi riunite dovevausi il suono, la poesia
e la musica. Per questo Nerone cantò poemi, o canzoni da se com-
poste, censurate poscia da Persio. Della favola di Altide ragiona
Pausania lib. ni , cap. 17.
(a) Esigua e fosca appella Svelonio la voce di Nerone, Filostrato
la asserisce rauca ed oscura. Nel libro De natura deorum annovera
Cicerone i diversi generi di voce coi loro contrapposti , il canoro e
il fosco , il leggiero , ( o piuttosto dolce ) , e 1’ aspro , il grave e
l’acuto , il flessibile, o atto alla modulazione e il duro.
( 3 ) Maestro di Nerone nella musica era stato veramente il cita-
redo Terpno. Forse Burro e Seneca suggerivano i versi, mentre il
Fonasco, (che noi diremmo maestro di cappella ), dirigeva le modu-
lazioni delia voce. — Costume era poi de’ Romani quello di agitate
le vesti e le toghe in segno di applauso.
( 4 ) Scelti erano questi, in numero di oltre cinquemila, tra i gio-
vani tanto Dobili quanto plebei, e questi bene stipendiali , nei di-
versi modi di applaudire istruivansi. Gli applausi erano aneli’ essi
sottoposti a certe regole e quasi modulati,* si alternavano a vicenda
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questi gli altri tutti , anche non volendo , costretti
erano ad applaudire , eccettuato il solo Trasea Pe-
to , che mai nou volle adularlo ; gli altri , e tra
questi i nobili principalmente , con grande affetta-
zione insieme raccolti , non perù senza gemere, qua-
lunque loda quegli Augustani esternavano , essi pa-
rimenti , ilarità simulando , acclamavano. Uditi gli
avresti dir quasi : « oh bellissimo Cesare ! oh Apoi-
» lo! oh Augusto ! oh quasi il solo Pizio ! niuno ,
» per te , Cesare, il giuriamo, niuno ti supera ! » Il
che fatto avendo , Nerone un banchetto diede al po-
polo nella Naumachia , là dove da Augusto era stato
esposto un navale combattimento. Quindi verso la
mezza notte per la fossa nel Tevere navigò.
XXI. Queste cose fatte furono per solennizzare la
deposizione della barba di Nerone j poscia per la
salvezza e lunga durata del suo imperio, (così alme-
no pubblicò per editto), istituì il certame quinquen-
nale (i) , al quale il nome egli diede di feste Nero-
nie 5 in quella occasione anche il ginnasio edificò (a),
da una specie di cori nei «pali erano distribuiti in numero eguale »
plaudenti. Di applausi e di acclamazioni musicali o cantate, parlano
Dione stesso, Svetonio, Tacito e Plinio; la plebe ancora imitava
quegli applausi modulati ; ma se qualche persona rossa turbava quel-
I’ armonia , percossa era sovente dai soldati.
(i) Dati veggonsi molti nomi a que’ginochi quinquennali ; ISeronii
sono detti da Dione e da Svetonio , da quest’ ultimo ancora certame
o agone JVeroneo , da Tacito giuoco quinquennale , o certame lu-
strale , il che torna al medesimo. I giuochi quinquennali non erano
però una nuova istitusione di Nerone ; per decreto dei senato erano
stati celebrati ad onore di Giulio Cesare.
(a) Tacito riferisce la dedicazione di quesLo ginnasio all' anno Si 4.
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nella di cui dedicazione l’olio gratuitamente ai senatori
ed ai cavalieri distribuì. Allora senza alcun certame la
corona ottenne dei citaredi, rimandati essendosi tutti
gli altri, siccome della vittoria indegni; [e subitamente
entrato essendo nel ginnasio colla stola citaredica ,
nel catalogo dei citaredi fu descritto ]. Ad esso adun-
que mandavansi da poi da qualunque certame tutte le
altre corone dei citaredi , come se degno fosse egli
solo della vittoria.
Sembra però die nell’ anno seguente incendiato fosse da un fulmine,
e conte scrive Tacito stesso, la statua di Nerone liquefatta ridotta
fosse in una massa di bronzo informe, e quindi rifabbricato fosse
nella ricorrenza dei giuocbi quinquennali medesimi verso l'anno 818.
Piove, tomolV, X.* ut Striavo,
A
5y
DELLA
ISTORIA ROMANA
n i
DIONE CASSIO
COMPENDIATA
DA GIOVANNI SJFILINO
LIBRO LXII.
SOMMARIO
Della strage dei Romani nella Britannia fatta da
Bunduica : cap. i - 7. — Paolino ritornato dopo
la conquista dell’ isola Mona , guadagna una bat-
taglia: 8-13 — Nerone uccide Ottavia Augusta e
Burro , poscia Plauto e P aliante : 1 3 - 1 4 - — Con-
vito sordidissimo apprestato da Tigellino in occa-
sione de’ giuochi: i 5 . — Come Nerone la città in-
cendiasse: 16-18. — Valore di Corbulone ; di lui
fatti contea Vologeso e Teridate: 19-30. — Cosa
mal fatte da Peto : Vologeso viene a patti con Cor-
bulone : 21-33. Seneca , Sorano, Trasea, Sabina
vengono mandati a morte: Musonio e Cornuto rele-
gati : 24-39. ' •
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5i
PERIODO DELLA ISTORIA .
Aaui dell Era
Anni
Anni
volgare.
di Roma
di
Nerone.
60.
8 ( 3 .
Consoli. - Nerone Angusto per
la quarta volta , e Cornelio
Cosso Lenlulo figlio di Cosso.
VI».
61.
814.
Cesonio Pelo , e P. Petronio
Tnrpiliano.
IX.
6a.
8 i 5 .
P. Mario Celso, 0 L. Asinio
Gallo.
X.
63 .
816.
C. Meninolo Angolo, e L. Ver-
ghilo Rufo.
XI.
64.
817.
C. 0 Q. Lecanio Basso, eM.
Licinio Crasso Frugi.
XII.
65 .
818.
A. Licfhio Nerva Siliano, e
M. Vestine Attico.
XIII.
I.JVIentjie così in Roma giuoclii celebra va n si , gra-
ve sciagura avvenne nella Britannia , essendo state
espugnate due città , uccisi ottantamila dei cittadini
romani e dei loro alleati , e tutta l’ isola sottratta al
romano dominio. La quale disfatta fu al popolo ro-
mano cagionata da una donna , affinché maggiore ad
esso ne tornasse la ignominia , e quella era stata da
prima dagli Dei annunziata. Perciocché dalla Curia
in tempo di notte udito èrasi un mormorio barbari-
co mescolato col riso, e da! teatro un tumulto con
ululali , mentre alcuno colà non vi aveva che par-
lasse o gemesse. Inoltre alcune case eransi vedute
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Sa
entro le acque del fiume Tamigi. Finalmente l'Ocea-
no tra quell' isola e la Gallia sorse , in occasione
del flusso , sanguinolento.
II. Cagione di quella guerra era stato il condona-
mene del pubblico danaro , cbe Claudio ai primi
tra essi fatto aveva (i) , il quale tributo, come dice-
va Io stesso Deciano procuratore di quell' isola ,
avrebbe dovuto condonarsi. Si aggiunse ancora che
avendo Seneca ai Britanni non consenzienti, colla lu-
singa di grossissime usure, prestati quattro milioni di
sesterzi , tutta quella somma ad un tempo e con
grandissima violenza esigeva. Ma quella che più di
tutti gli eccitò , e loro persuadette che apertamente
venissero a guerra coi Romani , fu Bunduica , fem-
mina Britanna, da regia stirpe descendente ; la quale
non solo si pose alla testa loro con grandissima di-
gnità , ma tutta la guerra altresì diresse , maggiore
spirito nutrendo di quello che aspettare potevasi da
una donna fa). Perciocché raccolto avendo un eser-
(1) Cioè tra i [ir imi Britanni Soggiogati, affine di conseguire la
pace ed il trionfo , dopo di che si vollero esigere gravissime impo-
sisioni , come appare dalla seguente allocazione di Bunduica.
(a) Il solo Tacito la chiamò Boodicia o Boodicea o anche Voa-
dicà , il che avveuuto crede il Heimaro per trascurala dei librai
o dei copisti. In una medaglia presso lo Spauemio, viene pare no-
minata Bootica. Essa era stata moglie di l'rasutago re degli lceni ,
vinti e soggiogali al tempo di Claudio, il quale ricchissimo essendo.
Cesaree le due sue figliuole istituiti aveva eredi, credendosi in questo
modo di procurare la salvezza del suo reguo e della sua famiglia.
Ma lutto il contrario avvenne , ai dire di Tacito , perchè Boadicia
fu da prima dai Bnmaui assoggettila alle battiture* poscia stuprala
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cito numeroso di centoventimila uomini , salì su di
un tribunale, fatto all’ uso dei Romani di zolle pa-
lustri 5 donna di statura molto elevata , di aspetto
assai truce , e ferocissima di volto , di voce aspra ,
i di cui capelli foltissimi e -di color giallo intenso
fino alle natiche scendevano (i). Portava essa pure
una grande collana d’oro e vestita era di una stola
screziata di varj colori e stretta al seno , sopra là
quale gettava una densa clamide annodata con una
fibula. Del quale vestimento anche fuori del .campo
servendosi di continuo , impugnata avendo allora al-
tresì 1’ asta , onde tutti atterrisse , in questo modo
prese a parlare ;
furono le duo donzelle , privali gli Iceni dei loro possedimenti , e i
parenti del re traili in dura schiavitù.
(i) Gli antichi le chiome lunghe e sciolte non tanto come digni-
tose e belle riguardavano , quanto come indizio di fierezza , che
massimamente conveniva nella guerra. Anche le femmine dell’isola
di Mona , al dire di Tacito , si fecero incontro a Paolino colle chio-
me sparse al vento e le faci nelle mani, a guisa di furie. Non è
meraviglia che i Britanni di celtica origine avessero chiome rossicci)-,
che proprie erano dei Celti , degli Sciti , e specialmente dei Caie-
doni : suppose alcuno dei critici che se non dato dalla natura, pro-
curato fosse coll'arte quel oolore. - Comune era poi presso i Uiitanm
1’ uso delle collane , il che fa dubitare che ingannalo si sia il Leigli,
il quale nella storia naturale della provincia di Lancasler sospettò che
a Bunduica- appartenere dovesse una collana d' oro trovata nella
contea di Stafford nel mese di aprile deU'auuo 1700. -Le stole va-
riegate erano in uso presso i Galli , i Belgi , i Lusitani ed i Britan-
ni. Bunduica probabilmente la strigneva al seno con una ciulura ,
e forte non ad altro fine se non per serrarvi il lepre , del quale si
parlerà in appresso. La clamide , al dire di Dione medesimo , era
ampia a guisa di paludamento o di pallio , e probabilmente allac-
ciatasi vi gli omeri.
54
III. a Io veramente reputo clic colla esperieaza
vi siate persuasi di quanto la libertà sia alla schia-
vitù preferibile. Se dunque alcuno di voi ignaro di
questo , seducendolo le promesse dei Romani , si
lasciò ingannare j ora , provato avendo l 1 uno e l’ al-
tro stato , tutti poteste avvedervi quanto grave sia
stato il vostro errore nello anteporre ai costumi ed
alle istituzioni della patria uno straniero dominio
spontaneamente abbracciato. Ben intendeste certa-
mente . quanto più pregevole sia una libera povertà
delle ricchezze che nella servitù si posseggono. Co-
s 1 avvi di fatto di più turpe , cos’ avvi di più mole-
sto agli uomini , ( ditelo , ve ne prego ) , che a noi
accaduto non sia dacché i Romani videt-o la prima
volta la Britannia? Non .siamo noi forse spogliati
quasi interamente di moltissimi ed amplissimi posse-
dimenti ? Non paghiamo forse i tributi per quelli che
ci rimangono (i)? Forse, oltre il pascere e l’arare,
(i) Crede il Reimaro , appoggialo ad un passo di Salviano dì
Marsiglia , che il teslaiico per i defunti si esigesse dai loro eredi ,
come se vivi fossero tuttora , il che nasceva forse dall’ incertezza ,
in cui gli «attori trovavansi, mancando di registri dello stato civile,
o di esatte anagrafi, che il movimento della popolazione indicassero.
Un tributo annuale aveva Cesare imposto ai Britanni, come appare
dai suoi commcnlarj e da alcuni passi di Plutarco , di Eliodoro Si-
culo e di Dione medesimo ; sembra però che dopa Cesare quel tri-
buto più non si esigesse j o almeno non più di quello che pagavasi
per i possedimenti , e che ora direbbesi imposta prediale. Credono
alcuni, che al tempo di Claudio i tributi cominciassero di nuovo a
gravitare sopra i Britanni , sebbene d« prima , come si è accennato
nella noia I.* di questo libro , Claudio slesso molto danaro ai Bri-
tanni avesse liberalmente conceduto.
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il tutto per servigio de’ Roniaui , anche de’ nostri
cadaveri medesimi nou paghiamo annuale tribu-
to (i)? Ma quanto meglio non sarebbe il ven-
derci una volta schiavi ad alcuno , che sotto il
vano nome di libertà essere costretti ogn’’ anno a
redimerci? Quanto meglio non sarebbe l’essere uc-
cisi e il perire, che il portare attorno le nostre teste
tributarie ? Sebbene, a che rammemoro io la morte,
mentre non è lecito neppure il morire senza multa
presso i Romani ? Giacché tutti ben sapete quali e
quante gravezze noi paghiamo in' nome dei defunti.
E mentre la morte’ presso le altre nazioni libera co-
loro che nella schiavitù vivevano , al solo popolo
romano i morti sopravvivono , in quanto che anche
da questi guadagno si ricava. Anzi se alcuno di noi
non trovasi avere danaro , ( e come in fatti e d’ on-
de ne avrebbe ?) spogliati siamo e snudati non altri-
menti che quelli che si uccidono. £ quale modera-
zione attenderemo noi in avvenire da coloro , che
da principio tanto illiberalmente ci trattarono ? Seb-
bene generalmente gli uomini anche le fiere e le belve,
pigliate di recente , sogliono con carezze addolcire. »
IV. « Ma noi stessi ( per dire il vero ) , autori
fummo di tutti quei mali , noi che ai Romani tutti
permettemmo di mettere il piede in quest’ isola.', che
tosto non li cacciammo , come fatto erasi di quel
Giulio Cesare j che ad essi non mostrammo, mentre
ancora lontani erano , come Augusto e C. Caligola ,
{ I ) Veggasi la nota antecedente.
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pericoloso essere il solo tentativo di questa naviga-
zione (i). Noi adunque , abitatori di un’ isola tanto
grande , o piuttosto di un continente circondato in
qualche modo dall 1 acque , o di nn mondo quasi se-
parato ; e tanto dalle altre nazioni disgiunti per
mezzo dell 1 Oceano , che in altre terre e sotto altro
cielo vivere sembriamo , cosicché ai più sapienti
tra i Romani noto non era abbastanza nè pure di
queste terre il nome ; ora sprezzati e conculcati
siamo da coloro ; che altro non sanno se non avi-
damente aspirare al loro guadagno. Per la qual co-
sa , o cittadini, amici e congiunti, ( giacché noi tulli
congiunti io reputo , poiché la stessa isola abitia-
mo , e comune abbiamo il nome ) , ora certamente ,
mentre ancora sussiste memoria della nostra libertà,
all 1 uffìzio finora negletto corriamo , affinchè non il
solo nome , ma la libertà stessa trasmettere possia-
mo ai posteri. Che se noi dimentichi ci mostriamo
totalmeute della felicità, nella quale siamo /stati edu-
li) Due volte Augusto aveva desiderato di passare Della Britan-
nia , ma trattenuto fu la prima volta da uaa ribellione insorta nella
Pannonia e nella Dalmazia , la seconda da un’ ambasceria ad esso
spedila dai Britanni medesimi.. Ma a Bunduica tornò opportuno lo
interpretare che questo avvenuto fosse per solo timoro dai Romani
conceputo. Claudio stesso presso Svctonio dice la Britannia non
tentata dopo G. Cesare , il che avvalora l'opinione del Cambdeno,
che Augusto mai non ponesse piede in quell’ isola. Alcuni critici
ingannali furono dalle frasi ampollose de’ poeti, i quali le ambasciate
ai Romani spedile , rappresentarono come vittorie c trionfi dei Bri-
tanni riportali. Caligola poi non fece che un ridicolo teutalivo, come
Dione stesso altrove lo descrive , e da quella spedizione noti riportò
sa non malte conchiglie raccolte sul liti» della Galli*.
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5 n
cali , che spereremo noi mai che far possano i po-
steri , siccome nella schiavitù nudriti ?>*
V. « Nè già queste cose da me diconsi , affinché
odiare dobbiate il presente vostro stato , ( che già
pigliato lo avete in odio ) , nè affinchè temere dob-
biate le cose che a noi sono per avvenire , { per-
ciocché già le temete ) ; ma bensì affine di lodarvi ,
perchè da voi medesimi le cose necessarie a farsi
vi determiniate a fare , e per rendervi grazie della
prontezza , colla, quale a me ed a voi stessi accor-
rete a prestare ajuto. Non debbono però da voi pa-
ventarsi i Romani , che più numerosi , nè più forti
di noi non sono. Argomento ne forma il vedere che
essi coperti sono di elmi , di corazze , di gambiere ,
e inoltre muniti di vallo , di 'mura , di fosse , affin-
chè danno loro più non avvenga per ostilé incursio-
ne (1). Amano essi in vero di far uso di questi presidj
per la paura, anziché di speditamente alla maniera no-
stra alcuna cosa contro il nemicò intraprendere. Per-
ciocché tanto noi di forza abbondiamo , che le ten-
de nostre più sicure dei loro muri , e gli scudi no-
stri migliori di qualuuque loro armatura reputiamo.
Per la qual cosa se nostra sarà la vittoria , facil-
mente noi potremo pigliarli ; se colla forza essi ci
respigneranno , noi fuggiremo. Che se di ritrarci in
alcun luogo stabiliremo, ci nasconderemo in sì fatte
(i) Tacito nota, che presso i Britanni alcun riparo non vi aveva
di elmi o di loriche. Le armi loro non eraoo che lo scudo , 1’ asta
corta e la spada. Le città e le fortezze dei Britanni erano i sull
Boschi, dove in mezzo ad ampie recinto le loro case ponevano.
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paludi e montagne , che da essi non possiamo essere
trovati nè presi giammai. Quelli all’ incontro dal peso
delle armi loro trattenuti, nè inseguire potranno al-
cuno , nè darsi essi medesimi alla fuga. Che se per
avventura via corressero , e ai loro ripari già pre-
parati fuggissero , chiusi saranno in quei luoghi me-
desimi , come nelle caverne delle fiere. Nelle quali
cose essendo quelli a noi di molto inferiori , massi-
mamente che la fame , la sete , il freddo , il caldo ,
non possono al pari di noi sopportare ; di ombra ,
di coperture , di frumento macinato , di vino , di
olio per tal modo abbisognano, che se alcuna di
queste cose loro manca , periscono. Per noi in vece
qualunque erba o radice è cibo ; qualunque succo è
olio ; qualunque acqua è vino ; qualunque albero è
casa(t). Oltreciò questi luoghi sono a noi invero fa-
miliari , e quasi compagni nel fare la guerra , a
quelli incogniti e minici ; nudi noi valichiamo i fiu-
mi a nuoto , essi nè pure colle navi facilmente li
tragittano (a). Adunque con fausti e felici auspici ,
(i) Straberne rappresenta i Britanni come abitatori delle selve, non
(Stralli nella cui tara de' campi e degli orti, e tanto semplici che di
latte abbondando, fabbricare non sapevano il cacio. Dione soggiugne
altrove, che vivevano di frutti silvestri e di cacciagione, non man-
giavano pesci , e nelle selve spesso cibavansi di radici e di corteccie
degli alberi. Una favola dee credersi, il detto di quello gprittore ,
ebe essi certo genere di cibo si preparassero , del qnale mangiando
soltanto un pezzetto della grandezza di una fava, più fame, nè
sete non soffrivano.
(a) La stessa cosa osservata avevano i- Britanni al tempo di Clan-
‘dio; laonde Plauzio nell’esercito' introdusse Celti o Galli, i quali
armali tragittavano a nuoto i burnì più rapidi.
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pieni di fiducia portiamoci contro i Romani , e mo-
striamo ad essi che mentre lepri sono e volpi , in-
vano si sforzano di ottenere impero sopra i cani e
i lupi (l)w »
TI. Queste cose dette avendo Bunduica, dal seno
mandò fuori un lepre , affine di pigliarne augurio ,
il quale essendosi felicemente con rapido corso al-
lontanato , tutta quella moltitudine con animo lieto
proruppe in acclamazioni. Allora Bunduica , le mani
stendendo al cielo , « Ti ringrazio-, disse , o Adra-
ste (a), e te donna, io pure donna invoco , non do-
ti) La timidità del lepre era in proverbio presso gli antichi, nè
è d’ uopo ricorrere , come fa il Reimaro , alla suppostone che i
cani Britanni, celebrati da Strabone, il lepre fuggito dal^ seno di Bun-
duica inseguissero. Egli però osserva opportunamente , che queste
simboliche rappresentazioni, come immagini delle cose tutore, mollo
accette erano agli antichi , ed a queste forse si riferiscono molte
azioni simboliche dei profeti ebrei.
Strano riesce il vedere questa lunghissima orazione di Bunduica da
Dione inserita, che alcuna dei Romani non udì, che alcuno dei Britanni,
rozii ed ignari totalmente delle umane lettere non trasmise , e che
trovasi anche in aperto contrasto colla rozzesza di quel popolo , e con
quella altresi della regina medesima, rappresentata come donna di sel-
vaggi costumi. Nella vita di Dione § xm io ho accennato il costume
di quello storico di inserire sovente allocuzioni da esso composte ad
imitazione di Tucidide e di altri greci scrittori. Io trovo però deguu
di lode Dione , perchè seppe quel discorso vestire di tutti gli orna-
menti , o per dir meglio , di tutti i caratteri , che alla nazione dì
quella palatrice convenivano. Conobbe egli stesso, come vedrassi
nel capitolo seguente , che male in bocca di Bunduica suonavano le
erudite allegazioni di Nitocri e di Semiramide ; per questo inserì ia
ftase , che quelle notisie ricevute avevano i Britanni per tradisione
dai Romani.
(a) 11 Bocarto, il Marsham ed il Seldeno sembrane confondere
Adraste o Andrastc con Astarle, dea della Vittoria.
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6o
minatrice dei portatori Egizj , come Nitocri (i), non
dei mercanti Assii j , come Semiramide (a) , ( giacché
queste notizie dai Romani ricevemmo )} non dei Ro-
mani medesimi, come poco prima Messalina , poscia
Agrippina ed ora Nerorie., il quale un nome d 1 uo-
mo portando , realmente nou è che una donna ;
il che può facilmente intendersi al vedere eh’ egli
canta e suona la cetra ^ e che a .guisa di femmina si
adorna } ma te invoco, reggitrice dei Britanni , i quali
non impararono a coltivare i campi, non à divenire
artefici, ma bensì ottimamente a guerreggiare} i quali
come l’ altre cose tutte , così le mogli e i figliuoli
comuni reputano tra di loro (3) , e per ciò anche
(i) Questa regina fece erigere la lena piramide , e per questo
gli Egiaj sono qui detti portatori, perchè oltre gli altri pesi costretti
furono a portare su gli omeri i mattoni- Io ho dato loro il nome
di portatori, più conveniente a mio credere di quello di facchini
ad essi dato dal fìeimaro; questi sarebbono indicati col simbulo di
fintici, d’onde venne l’odierno veneziano di bastasi.
(a) Questa regina molte città fabbricale aveva su P Eufrate e so!
Tigri, dove stabiliti- erano grandi emporj di mercatantie , e molto
contribuito aveva a promuovere il traffico e la navigasione ; per
questo gli Assirj sono qui detti mercatanti, fors’ anche perchè il nome
degli Assirj stendet esi qualche volta ai Fenici , tra i quali nata era
Semiramide.
(!) Anche Cesare detto aveva , che tia dieci o dodici le mogli
comuni avevano e massime se fratelli o congiunti erano fra di loro. I
figliuoli tuttavia nati da quelle mogli cotanti', si attribuivano a quello
ch^ sposata aveva da prima uua vergine. Il Seldeno non raostravast
di questo fatto persuaso ; e forse i Romani, vedendo molti nomini e
donne con tutta la famiglia insieme raccolti in un tugurio, sema
(he l’uno dell’altro si vergognasse di usate del matrimonio, cre-
dettero stortamente che comuni fossero le mogli.
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6i
su queste donne tieni l’ imperio , che coi maschi ri-
valgano nel valore. Regnando io adunque su questi
uomini e queste femmine , le mie preci li indirizzo ’
e ti chieggo vittoria , salvezza e libertà contro uo-
mini ingiusti, iniqui, insaziabili, scellerati ; se uomini
pure appellale si debbono , che nell’ acqua calda si
lavano , di vivande squisite si cibano , beono vino ,
a' impiastricciano d’ unguenti , mollemente si sdraja-
no , coi fanciulli ed anche già adulti corromponsi ,
c servitù prestano ad un citaredo e questo pure tri-
stissimo (i). Non a me , te ne prego , non a questo
mio popolo comandi più in avvenire questa Neronia o
pure Domizia ; domini cantando sul popolo romano;
perciocché degno è bensì di servire questa donna ,
la di cui tirannia da tanto tempo sopporta. Da te
chieggo , signora nostra , che a noi sola sempre im-
peri. »
VII. Queste ed altre simili cose dette avendo Bun-
duica nella sna allocuzione , centra i Romani av-
viossi con tutto 1’ esercito. Mancavano essi» in quello
istante di duce, perchè Paolino comandante loro, l’e-
sercito condotto aveva nell’ isola di Mona , vicina
alla Britannia (?). Per la qual cosa Bunduica due
città del popolo romano espugnò (3) e- saccheggiò ,
(t) Il lavarsi nelle terra* anche presso i Romani indicava mol-
lezza e corruzione, e Dione stesso in un frammento che ci è stato
conservato , nota che i Cimbri , dacché l’ uso adottalo avevano delle
terme, pih deboli divenuti erano d’animo e di corpo.
(a) L' odierna isola di Anglesey , non quella di Man, menzionala
da Plinio.
(3) Cioè Canaeloduno e Vcrulamio.
I
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Gì
cd infinita strage , siccome ho detto, produsse. Non
fuvvi poi orribile crudeltà , che contro i Romani
presi non venisse esercitata. Più di tutto' però parve
crudele ed atroce , che femmine nobilissime ed one-
stissime , nude i Britanni sospendessero , e le loro
mammelle recise alle loro bocche cucissero , quasi
in atto fossero di mangiarle ; e quindi quelle stesse
donne per tutta la lunghezza del corpo loro trafig-
gessero , facendovi passare pali acutissimi. E queste
cose tutte facevano , riti sacri insieme celebrando , e
banchettando e schiamazzando con petulanza, tanto
in altri loro templi, quanto in quello principalmente
di Àndrasle (i); perciocché con questo nome essi la
Vittoria appellavano , e con grande studio la vene-
ravano.
Vili. Paolino che già soggiogata aveva Pisola di
Mona , non sì tosto udì la strage dai Britanni ca-
gionata ‘(a) , che da Mona nella Britannia rinavigò.
(i) Non 9» intendere come il Reimaro abbia in questo luogo la-
sciato correre nel testo, ed anche tradotto Andata, dacché già fatta
crasi menzione di Àndrasle (o Astarte ) dea della Vittoria. E troppo
manifesto che lo scambio di Àndrasle in Andate non era che la slor»
ditesza di qualche copista , e di fatto i migliori codici portano in
questo luogo Asàfifif.
Qualche critico ha supposto che quella mescolanza di crudeltà
c di religione, (uon incognita in altri tempi e presso altri popoli ) ,
concerna i sacrificj di vittime umane, ai Galli ed ai Britanni altri-
Uniti. Io sono di contrario avviso, e mi appoggio ad un passo di
Tacito, nel quale il barbaro costume di spaigere sugli altari il san-
gue de' prigionieri e di consultare gli dei colle fibre degli uomini ,
viene attribuito ai soli isolani di Mona.
(a) 11 lesto dice: la strage britannica , il che tradotto Ietterai —
meule , potrebbe produrre equivoco.
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Questi la sorte della guerra che coi barbari ardeva,
arrischiare non volle all* istante , perchè la moltitu-
dine loro e la loro disperazione paventava , pur tut-
tavia , mentre differire voleva a tempo più idoneo la
pugna, allorché cominciò ad essere travagliato dalla
mancanza del frumento , attorniato e stimolato dai
barbari, forzato fu contro il suo volere a venire con
essi a battaglia. Bund^ica , che già trovavasi alla
testa di un esercito di dugentotrentamila soldati (i),
portata essa medesima su di un carro , tutti in or-
dine particolarmente schierava (a). Paolino , che nè
di stendere osava contro di quelli la sua falange ,
( perciocché i Romani , anche ad uno ad uno dis-
posti in schiera , non potevano la fronte dei nemici
uguagliare in lunghezza , tanto erano di numero in-
feriori ) ; nè tampoco pugnare coi suoi soldati stretti
in un solo drappello, affinchè circondato, non fosse
tagliato a pezzi j in tre corpi le sue truppe divise ,
affinchè simultaneamente in varj luoghi pugnassero ;
e le singole schiere addensò, onde facilmente rotte
(l) Vero è che al suo corpo riuniti erausi i Trinobanti; ma io
porto avviso- che nè pure quella regina conoscesse precisamente it
numero de’ suoi soldati; che nella Britannia , " allora in gran parte
paludosa e deserta, -non si riunisse in quell’ epoca un’armata tanto
numerosa , e che i Romani , i quali arrivavano appena al numero
di 10,000, affiue di magnificare il loro valore ed estenuare la ver-
gogna delle loro perdite , straordinariamente ingrandissero il numero
de’ loro nimici , il che fatto vedesi sovente dai' loro istorici.
(a) Tacilo narra che tanto i Britanni esultavano per la. vicjuu
pugna , che fino le mogli loro condotte avevano , affinchè testimouj
fossero della vittoria , e che Bunduica sul carro portava innanzi a
sé le sua figliuole.
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non fossero. Mentre intento era ad istruirle e a col-
locarle ne 1 posti assegnati, così prese ad esortarle:
IX. u Coraggio , mici commilitoni ; coraggio , o
Romani ; a queste pesti mostrate quanto noi anche
nell’ avversa fortuna siamo ad essi superiori. Percioc-
ché vergognoso sarebbe quello ora perdere ignomi-
niosamente , che poco dianzi avete col valor vostro
acquistato. Più volte voi messimi , mentre più po-
chi di numero eravate che ora non siete , nimici
molto più numerosi vinceste , e questo fatto fu so-
vente anche dai vostri maggiori. Non vogliate adun-
que dalla loro moltitudine concepire spavento, o dei
tentativi eh’ essi fanno affine d’ introdurre nuovo or-
dine di cose; poiché inermi inferociscono per insen-
sata temerità. Nè punto vi commuova lo avere essi
alcune città incendiate , giacché questo non fu da
essi colla forza , o pure combattendo, eseguito ; ma
P una fu presa per tradimento , 1’ altra ad essi ce-
duta (i). Che anzi voi ora quegli eccessi punire do-
vete , affinchè coi fatto intendano essi a quali uo-
mini abbiano siffatta ingiuria arrecata »-
X. Questi avendo in tal modo esortati, recossi presso
gli altri, ai quali disse: « Questo è il momento , o
miei commilitoni , in cui fa d’ uopo -della vostra ri-
soluzione , della vostra audacia ; se uomini forti vi
mostrerete in questo giorno , anche le cose perdute
(i) Credono alcuni spositori che questa fosse Londra, ceduta da
Paolino medesimo , affìue di salvare il restante delia provincia ; altri
opinano con migliore fondamento che questo passo riferire dehhasi
a Verulamio, che Tacilo accennò essersi in egual modo arresa.
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recuperare potrete; data questa sola battaglia, e sta-
bilito sarà solidamente il nostro dominio , e il rima-
nente della* provincia soggiogherete. Dovunque sa-
ranno gli altri soldati , il vostro valore emuleranno,
e i nemici saranno colpiti dal terrore. Essendo adun-
que in mano vostra , o 1’ assicurare l’ imperio sopra
tutte quelle terre che a voi lasciarono i vostri mag-
giori, o che voi stessi avete conquistate, o pure l’es-
sere di tutto spogliati ; tra di voi medesimi risolvete
6e meglio per voi sia il godere libertà, imperio, ric-
chezze , felicità, o pure vilmente operando il soppor-
tare ogni sorta di avversità».
XI. Parlato avendo in questo modo a un di presso
al secondo drappello , al terzo ancora con queste
parole si presentò : « Le cose udiste , o piuttosto
in gran parte ancora vedeste, che quei Barbari scel-
leratissimi a nostro danno osarono di operare. Ri-
solvete adunque se le stesse ingiurie vogliate voi
pure sopportare , e la Britannia perdere interamente,
o invece , la vittoria riportando , non solo pigliare
vendetta di coloro che trucidati furono , ma ancora
lasciare agli altri tutti un esempio, tanto dell’equità
c dolcezza verso gli obbedienti , quanto del neces-
sario rigore contra i novatori. Io però nutrisco som-
ma fiducia che noi riuscire dobbiamo superiori , col-
1’ ajuto da prima degli Dei immortali, che più sovente
soccorso prestano a coloro che ingiustamente sono
oppressi; poi coll’avita nostra fortezza, giacché Ro-
mani siamo , e tutte le nazioni sotto il nostro po-
tere abbiamo col valore ridotte; a norma dell’anda-
Cw*t, tomo ir, /.♦ vi Siriano. S
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mento stesso delle cose , avendo noi vinti e soggio-
gati quei medesimi che ora ci stanno a fronte per
combattere ; e finalmente a norma della dignità no-
stra , poiché non con alcuna sorta di avversar) , ma
cogli schiavi nostri combatteremo, che noi già supe-
rammo , mentre liberi erano tuttora ed investiti dei
loro diritti (i). Che se a noi cosa alcuna avvenisse
alle sperarle nostre contraria , ( il che io non ricu-
serò di accennare ), molto meglio sarà per noi il mo-
rire , coraggiosamente combattendo , che presi essere
posti in croce , o vedere le viscere nostre strappate
e lacerate , che 1’ essere trapassati con pali infuocati
e con acqua bollente essere consumati e perire, co-
me se caduti fossimo tra fiere belve che alcuna leg-
ge , alcuna religione non curano. Per la qual cosa,
o saremo noi prevalenti , o se qui la morte incon-
treremo , chiarissimo monumento avremo pure la
Britannia , la quale , se ancora gli altri Romani tutti
perduta avessero , noi colle spoglie nostre perpetua-
mente conserveremo ».
XII. Queste cose ed altre di egual genere a un di
presso dette avendo , il segnale innalzò della batta-
glia , dopo di che dall' una e dall’ altra parte comin-
ciarono ad azzuffarsi , i barbari con grandi clamori
(i) la Catte le antiche -versioni per viziala lezione del testo si era
tradotto: ai quali conceduto avevamo di essere liberi e di vivere se-
condo le loro leggi. Ma questa lezione sarebbe in aperto contrasto
col precedente vocabolo di schiavi , e col testo intero di Dione,
perchè la Britannia ridotta a provincia, non solo tributaria era di-
chiarata, ma sottoposta alle leggi romane, ai magistrati romani
ubbidiva.
v
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e canti minacciosi , i Romani con silenzio e con or-
dine , finché giunti fossero a portata delle freccie.
A quel punto , avvicinandosi di passo veloce la turba
dei nimici , mosse ad un sol tempo giusta il conve-
nuto tutte le insegne , contro di essi con grandissi-
mo vigore si slanciano , e le loro schiere al primo
impeto turbano facilmente ; poi dalla moltitudine cir-
condati , vengono tutti insieme a conflitto ' da ogni
lato , e colà vario certame avviene. Cominciarono
dall’ una parte e dall’ altra i soldati di lieve arma-
tura ad offendersi coi dardi , a resistere a vicenda
i soldati di armatura pesante , i cavalieri ad azzuf-
farsi coi cavalieri , i romani arcieri a combattere coi
carri de’ barbari (i) ; questi coi carri loro a fare
impeto contro i Romani e rovesciarli j essi a vicen-
da , siccome di corazza non muniti , ad essere colle
saette respinti ; i fanti ad essere oppressi dai caval-
li , i cavalli turbati dai fanti ; molti insieme stretti
a combattere contro i carri , molti ad essere dai
carri medesimi dispersi , altri a volgere in fuga i
saettatori che più vicini facevansi , altri a guardarsi
da lontano dai medesimi. Le quali cose non in un
luogo solo , ma in tre ugualmente facendosi ad un
tratto, lungamente da ambe le parti con pari vigore
(i) Pugnare solevano dai loro carri i Baiavi, i Galli, i Brilanni,
come si raccoglie da varj passi di Cesare, di Strabene, di Dione
slesso e di Tacito. Coi carri chiudevano altresì que' popoli il loro
campo , e ne formavano nna specie di fortezza , plaustri! in modum
castrorurn circumstructis , scrive Orosio , col quale concorda anche
.Vegezio.
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ed audacia fu combattuto. Assai tardi finalmente
i Romani fatti superiori , dalla pugna si ritrasse-
ro , molti uccisi avendo nel combattimento me-
desimo , molti presso gl’impedimenti (i) e verso
la selva, molti finalmente pigliati vivi. Fuggirono
molti , i quali a nuova pugna si disponevano j ma
intanto da malattia fu spenta Bunduica (a) , ed essi
grandemènte la compiansero , e magnifica sepoltura
le diedero (3) ; e quindi non altrimenti che se al-
lora soltanto fossero stati al fine veramente supe-
rati , in varie parti si dispersero. Fin qui però delle
cose britanniche. ■ •
XIII. In Roma poi Nerone repudiò da prima , poi
diede a morte Ottavia , per cagione di Sabina con-
cubina sua (4) J abbencliè Burro ad esso opposto si
(i) Impedimenti diccvansi i carri, nei quali le donne e le mas-
serizie si collocavano.
(a) Tacilo dice apertamente, clie Bunduica lini la vita col veleno.
(3) Sei miglia lungi da Salisbury esiste, come, in altri luoghi
dell’Inghilterra, una massa di grandi pietre, che da alcuni si crede,
forse sul fondamento di una semplice tradizione, il monumento di
Bunduica. Ne parlano il Keysler nelle antichità settentrionali e cel-
tiche e l'autore delle aggiunte al Cambdeno.
(4) Ottavia accusala di adulterio con uno schiavo alessandrino,
suonatore di tromba, detto Eucero, fu da prima relegata nella Cam-
pania sotto militare custodia , poi richiamata affine di acquetare il
tumulto nella plebe insorto, nella quale occasione furono altresi at-
terrate le immagini di Poppea ; poi per nuova accusa di adulterio
con Àniceto, fu relegata nell’isola Pandataria, dove tagliate le furono
le vene, e quindi fu soffocala col vapore di un bagno caldo. Cre-
desi spenta Ottavia nel giorno 9 di giugno dell’anno 8i5 di Roma,
e secondo Tacito trovavasi in età di veni’ anni. Nerone sposò Sa-
bina dodici anni dopo il repudio di Ottavia. Le medaglie di Nàtone
e Sabina , o di Nerone e Poppea coniate in onore di quelle nozze tro-
vatisi presso il Tristano, il Morellio, il Mezzabarba, lo Spr.nemio ec.
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%
fosse , e dal repudio trattenuto lo avesse , dicendo-
gli talvolta : « A lei rendi adunque la dote , » ( cioè
il principato ). Perciocché Burro di tanta libertà fa*
ceva uso nel parlare , che interpellato essendo alcu-
na volta da Nerone delle cose medesime , sulle
quali già aveva il suo sentimento esposto , rispon-
deva apertamente : « Non m’ interrogare delle cose
che una volta,, avrò dette ». Nerone la vita ad esso
tolse col veleno (i) , e capo diede ai soldati preto-
riani Sofonio ' Tigellino , uomo, che facilmente tutti
superava aij^età sua per petulanza e per omicidj con
fraudo commessi (a) ; [ il quale con siffatti costumi
Nerone ligio si fece ed il collega Rufo in alcun conto
non tenne ]. Contro di questo proferito credesi quel
detto di Piziade. Perciocché, mentre tutti i familiari
di Ottavia, la sola Piziade eccettuata, uniti con Sa-
bina , gli indizj contra Ottavia medesima cumulava-
no , perchè questa nello stato di x depressa fortuna
sprezzavano, quella per cagione del potere suo adula-
• ■ » a
(i) Tacito nota, che Burro mori, ma che incerto era tuttora so
perito fosse di malattia o di veleno. Svelonio narra, che attossicato
fu da Nerone con una medicina ad esso mandata per una malattia
alle fàuci.
(a) Secondo Io stesso Tacilo, Tigellino nato di oscuri parenti, osceno
nella pueritia , nella vecchiezza impudico, la prefettura delle guardie e
del pretorio, ed altri premj della virtii conseguili aveva , perchè
velocemente iniziato nei vizj esercitato aveva la crudeltà da pri-
zna , poi l’avarizia e tutte le umane scelleratezze. Feuio Bufo col-
lega suo , favoreggialo dal volgo, perchè 1’ amministrazione de’ grani
sostenuta aveva senza lucro, ebbe egli in dispregio; vatidior Tif-el-
tinus , snggiugne lo 'stesso Tacilo, in animo ftrincifiis , ex inliiuit
libidiniius atsuinptut .
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vano ; la sola Piziade , comecché sottoposta ad acer-
bissime torture, non volle con menzogne aggravarla;
e insistendo finalmente Tigelfino con maggiore vio-
lenza , essa gli sputò nel volto e disse : « Più pure
sono , o Tigellino , le parti femminili della mia pa-
drona che non la tua bocca ».
XIV. Nerone però le sciagure de’ cognati in riso
perfino ed in giuoco volgere soleva. Perciocché man-
dato avendo a morte Plauto (i) , allorché vide il di
lui capo che ad esso si recava ; « non sapeva , dis-
s’ egli , che quest’ uomo avesse naso al grande ; »
come se disposto fosse stato a perdonargli , se da
prima saputo lo avesse. Nerone intanto, mentre tutta
quasi la vita menava nelle taverne , vietò tuttavia
che agli altri nulla in quelle si vendesse fuorché er-
baggi e polte ( 2 ). Mandò pure a morte Pallante ,
perchè grandi ricchezze possedeva , che si facevano
ascendere a quattro milioni di sesterzj ; e perchè
tanto era schivo di parlare e tardo , che nè coi
servi , nè coi liberti faceva parola , ma scrivere so-
leva sui fogli tutte le cose eli’ egli da essi voleva ,
o che ad essi comandava (3).
( 1 ) C. Rnhellio Plauto, per errore da alcuni nominato Planco ,
era nato da Giulia figliuola di Druso Cesare e per ciò prouepote di
Augusto. Era questi già stato accusato insieme ad Agrippina, poscia
da tutti preconizzato imperatore per I’ apparizione «li una cometa
nell’anno di Roma 8i3, che segnale repulavasi di una mutazione
d' impero , passò colla moglie nell’ Asia , ma finalmente accusato
essendo da Tigellino, si spedi un centurione ad ucciderlo.
(a) Legumi o erbaggi, dice Svetoaio. Anche Claudio vietalo aveva con
editto che alcuno non vendesse carni lessale o acqua calda, forse brodo.
(3) Questo è quel Pallante , che già vedemmo rimosso dalla cura
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7 1
XV. Tanto però proterva era la condotta di Ne-
rone che fino pubblicamente i carri condnceva. Al-
cuna volta dopo uccise le fiere , e tosto fatta scorrere
l’ acqua nell’ anfiteatro } navale combattimento dispo-
se j poi mandata fuori di nuovo 1’ acqua , espose un
conflitto di gladiatori ; finalmente allagata un’ altra
volta 1’ arena , in pubblico banchettò con cena son-
tuosa (i). A questa cena preposto era Tigellino 1 , e
magnifico era l’ apparato della cena medesima in
questo modo disposta. In mezzo all’ anfiteatro e nel-
4’ acqua erano stati da prima collocati grandi vasi
viuarj di legno , e sopra di essi fissate le tavole j
tutto all’intorno edificate erano taverne e lupanari’
e mentre Nerone e Tigellino coi convitati il luogo
<li mezzo occupavano , e sopra tappeti purpurei e
• > I ■ r
dei pubblici affari sotto Agrippina. Secondo Tacito e Svetonio, egli
era un computista delle pubbliche rendite , e tante ricchezze accu-
mulate aveva con Narciso, che pubblicamente dicevasi , che dovi-
zioso sarebbe stato il fìsco , se entrato fosse in società con due li-
berti. Tacito nota , che ucciso fu appunto , perchè grandissima copia
di danaro tratteneva, continuando a vivere lungamente.
(l) Questa cena fu data nell'anno di Roma 817, non uell’anfìteatro,
come dice Sifìlino, ma più probabilmente nello stagno di Agrippa ,
come Tacito asserisce. Nerone già aveva dato un simile banchetto al
popolo nei giuochi giovenali, dei quali si è altrove parlato, e questo
6u le navi nel luogo, ove Augusto disposta aveva una naumachia.
Coi vasi vinarj insieme collegati con catene e un tavolato al diso-
pra, formate si erano le mense , e Tacilo ha dato a quel congegno
il nome di zattera. Già si erano dai Romani adoperate le otri, e i
vasi viuarj per valicare i fiumi , ed Erodiano e Vegezio parlano di
vasi voti o di coppe collcgale aU’istanle , alle quali travi sovrap-
ponevansi per lo passaggio. Quel costume Nerone dai ponti degli
eserciti trasportò ai conviti.
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7 2
molli cuscini banchettavano , gli altri nelle taverne
al capriccio loro abbandonavansi , nei lupanari en-
travano , e promiscuamente con tutte le femmine 7
che colà trovavansi , senza pudore si mescolavano (i).
Perciocché presenti erano bellissime e ragguardevoli
ancelle, donne libere, meretrici} vergini., mogli di
molti cittadini , non solo plebee r ma nobilissime al-
tresì zitelle c matrone ; libero era a ciascuno il go-
dere di quella che ad essd piaceva ; alcuna ricusare
non .poteva , cosicché la moltitudine , siccome la
feccia della plebe , bere poteva a sazietà ad un tem-
po , e libidinosamente dare sfogo alla lascivia. Con-
ciossiachè allora il servo ebbe commercio colla pa-
drona , presente il padrone medesimo , il gladiatore
con nobile vergine , veggente, il di lei padre. Segui-
vano quindi gli sconci trambusti di coloro che si
urtavano , percosse e tumulti , da que’ medesimi pro-
dotti non solo che si sforzavano di entrare , ma da
quelli altresì che stavano di fuori all’ intorno. Per
le quali cagioni molti uccisi furono , molte donne ,
quali soffocate , quali lacerate. [ Imperciocché periti
essendo moltissimi, che ad Anzio ridotti si erano (a),
(i) Nota Tacito, che nei varj seni dello stagno trovavansi lupa-
nari pieni di femmine illustri.
(a) Prediligeva. Nerone il luogo di Ansio , perchè colà era nato ,
e in esso espose cothballimenti di gladiatori , come Plinio narra , e
i giuochi circensi in occasione del puerperio di Poppea. Ma farsa
in questo luogo è mancante il testo originale, nel quale probabil-
mente si parlava delle feste di Anzio e del concorso straordinario
del popolo a quella celebrità.
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7 3
Nerone questo reputò contribuire alla celebrità della
festa]. ,
XVI. Pose animo da poi a distruggere, mentre vi-
veva , la città e l’imperio, il che sempre aveva 'in
addietro desiderato (i). Per la qual cosa in vero di-
ceva egli ancora Priamo essere stato maravigliosa-
mente beato , perchè la patria insieme col regno
aveva veduto perire. Alcuni uomini adunque , non
altrimenti che se ubbriachi fossero , o per altra ca-
gione alcun male facessero , spedi nascostamente in
varie parti della città. Questi cominciarono a dar
fuoco ad uno e ad altro luogo, o a più luoghi-, altri lo
stesso fecero altrove, cosicché i cittadini ridotti erano
ad estreme angoscie ; giacché nè trovare potevano il
principio del male , nè la (ine procurarne , > e . molti
insolenti attentati vedevano ed udivano. Perciocché
lecito non era vedere se non molti fuochi ardenti,
come nei campi , nè altro udire dagli altri, se non
se « questo o quell’ ediGzio è in fiamme ; dove ? in
(i) Non consente in questo il Reimaro , il quale dice non potersi
immaginare si grande delirio di volere distrutta la città e l’ imperio;
il volgo , die’ egli , su i cattivi principi forma sospetti che sorpas-
sano 1’ umana malizia. Tacito difetti parlando deH’ incendio di Ro-
ma, lascia incerto il lettore, se questo per caso, o per iniquità del
principe avvenisse, sul qual passo fondato il Tillemont, persuaso si
mostra che i soldati un'ordine dell'imperatore fingessero, onde piò
liberamente darsi alla rapina. Il Rcimaro all'. incontro opina, chete
Nerone l'incendio di Roma ordinò, peraltro fine noi fece, se non per
rifabbricarla in forma piò splendida. La città difetto dopo l'incendio
de’ Galli, era stala in fretta c malamente costrutta, e le vie diritte
non erano. Forse volle ancora Nerone la sua casa dilatare coll’ in- ’
eeutlio delle vicine.
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<jual modo ? da quale mano ? ajutateci ». Grandissimo
era dunque da ogni parte l’ universale turbamento ;
tutti qua c là attoniti correvano; a molti , mentre
ad altri ajuto prestavano , si recava l’ avviso che
nelle case loro tutto incendiavasi ; molti le case loro
già consumate reputavano dalle fiamme, pria che le
udisseio invase dall’ incendio ; altri dalle case usci-
vano nei viottoli , affinché per di fuori soccorso alle
case medesime prestassero ; altri dalla via nelle case
correvano , onde alcuna cosa al di dentro operas-
sero. Grandissime erano le strida e gli urli dei fan-
ciulli , delle donne ; degli uomini , dei vecchi , co-
sicché nulla per cagione del fumo vedere si poteva,
nulla udirsi per cagione dello strepito e delle grida;
molti , come se muti fossero , taciti rimanevano ;
molti intanto le masserizie loro trasportavano, molti
rapivano le altrui , e qua e là in confusione scorre-
vano , e nelle suppellettili si ingannavano , nè dove
fossero ben sapevano o dove andassero ;' quindi gli
uni spingevano ed urtavano gli altri ed urtati erano
a vicenda , rovesciavano ed a vicenda erano rove-
sciati ; molti soffocati erano , molti oppressi ; per
ultimo nulla vi aveva di male che avvenire potendo
in siffatta calamità agli uomini , allora non avve-
nisse. Nè poteva, alcuno agevolmente cercare altrove
lo scampo, perciocché, se alcuno salvo dalla presente
sciagura usciva , tosto in altra ricadendo , periva.
XVH. Queste cose fatte non furono già in un sol
giorno , ma in egual modo per più giorni e più
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7 5
notti (i) ; molte case abbandonate da coloro che
ajuto prestare potevano , perirono totalmente ; molte
incendiate furono dalle mani di que 1 medesimi , che
dovevano portare soccorso , perché gli altri soldati ,
e specialmente le guardie notturne , intenti alle ra-
pine , non solo l’ incendio non estinguevano , ma
più ancora contribuivano ad infiammarlo. £ mentre
quei varj fatti in varie parti accadevano , il vento
finalmente le fiamme sollevate a tutti insieme gli
altri luoghi portò. Il che avvenuto essendo , più non
si ebbe cura alcuna delle suppellettili nè delle case;
ma tutti coloro che rimasti erano , da alcuni luoghi
sicuri come molte isole o città ad un tempo infiam-
mate riguardavano ; nè già più alcuno per cagione
delle cose sue attristavasi ; soltanto la cosa pubblica
piangeva ciascuno , e rammentavasi che la maggior
parte della città una volta incendiata dai Galli ? era
divenuta in egual modo preda delle fiamme.
XVIII. Mentre gli altri tutti di queste cose occu-
pavansi e molti da gravissimo dolore commossi nel
fuoco stesso lanciavansi , Nerone ascese alla sommità
del palagio (a) , d’ onde una gran parte degli incendj
(i) Variano gli storici su la dorata di quell’ incendio; terminalo
lo dice Tacito nel sesto giorno; Svetonio narra che durò sei giorni
e sette notti. Un'antica iscrixione presso il Grutero porla che ai
tempi di Nerona la città arse per nove giorni.
(a) Si ride il Reimaro di qaesto racconto. Tacito di fatto non
parla del canto di Nerone nel tempo dell’ incendio se non come di
cosa sparsa nel volgo. Svetonio narra come vera la cosa , ma dice
che l'incendio guardò dalla torre di Mecenate, e mentre il primo
fa deplorare a Nerone la pubblica calamità, il secondo lieto lo rap-
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vedere potevasi ; e colà assunti gli ornamenti di ci-
taredo , cantò , coni 1 egli stesso diceva , l 1 eccidio di
Troja , o quello piuttosto della città di Roma che
innanzi agli occhi aveva. Cadde adunque la città in
quel tempo in sì grande calamità , che mai da prima
nè poi , a riserva della Gallica , una eguale ebbe a
sostenere. Imperciocché tutto il monte Palatino ed
il teatro di Tauro e 1’ altre due parti della città ab-
bruciate furono , e uomini innumerabili perirono (i).
Allora cominciò il popolo ad imprecare tutte le scia-
gure a Nerone , non già che il di lui nome pronun-
ziasse , ma sibbene coloro esecrava che la città in-
cendiata avevano. Tutti principalmente commoveva
la ricordanza di un oracolo , che decantato erasi ai
tempi di Tiberio , ed era come segue
, * * \
Trascorso in poi di trecent' anni il giro
Fia da sedizion Roma distrutta.
presenta per la belletta delle fiamme. L’ osservatone piti giusta dei
critici è quella , che Nerone in quella occasione in Roma non tro-
vavasi , ma bensì ad Ansio, il che viene da Tacilo messo in chiaro.
Giunse egli bensi in Roma , ma su la fine dell' incendio , allorché
questo avvicinavasi al palazzo ed agli orti di Mecenate , nè certa-
mente agio aveva allora di cantare. I suoi versi su 1’ eccidio di
Troja non furono da esso recitati se non nell’ anno seguente.
( 1 ) Delle regioni della città quattro intere rimasero, tre intera-
mente distrutte, nelle altre sette pochi vestigi rimasero de’ tetti laceri
e metto abbruciati. Cominciato era 1’ incendio nella parte del circo
contigua ai monti Celio e Palatino, e fini alle Esquilie. Perirono
allora , oltre un infinito numero di case , il tempio della Luna fab-
bricato da Servio Tullio, il tempio di Ercole, quello di Giove
Statore consacralo da Romolo, la reggia di Numa , il delubro di
Vesta.
«
\
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77
E siccome Nerone , affine di confortare il popolo ,
que’ versi diceva non essersi in alcun luogo ritrovati ,
altro oracolo, come vero Sibillino si cominciò a
cantare : r •
Della stirpe cC Enea
E ultimo , imperator , la madre uccide
I , . * -.1 * : * ■' . *
Il ebe avvenuto era , sia che veramente predetto
fosse da divino oracolo , sia che allora 'dalla plebe
sullo stato presente delle cose si pronunziasse. Per-
ciocché 1’ ultimo fu egli che regnò della famiglia di
Giulio che' da Enea discendeva. Nerone esigere volle
allora sotto il pretesto di quell’ incendio grande quan-
tità di danaro dai privati e dal popolo , parte colla
forza cioè , parte da coloro che volontarj contribui-
vano , e allo stesso popolo romano tolse la distribu-
zione , che fare solevasi , del frumento (i).
XIX. Le quali cose mentre da Nerone facevansi ,
giunse dall 1 Armenia un messo , e di nuovo fu ad
esso recato 1’ alloro per la vittoria riportata. Imper-
ciocché Corbulone , ^accolte avendo in un sol corpo
le legioni in addietro disperse , ed esercitate aven-
1 *••. • i. u: i .. < • . ’ ■ 1
(i) Si allude ad una gratuita largizione, che faccrasi ai piti po-
veri del popolo; altra pure frumentaria ve ne aveva, che a tutta la
plebe coucedevasi , diminuendosi il prezzo del pane. Tacito di fatto
«ola, che Nerone il prezzo del frumento diminuito aveva dopo l’in-
cendio, e Seneca accenna che anche da prima soleva darsi il fru-
mento pubblico, che il ladro, lo spergiuro, lo adultero egualmente
ricevevano. Alcuno degli storici non parla di questa pubblica libe-
ralità da Nerone abolita.
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«Iole , mentre da prima si trascuravano , col solo
annunzio del suo arrivo atterrì Vologeso re dei
Parti (i) e Teridate principe dell’Armenia. Quel duce
non solamente per lo splendore della stirpe e per
la robustezza del corpo , ma anche per la prudenza
dell’ animo sempre a sè stesso presente , coi princi-
pali tra i Romani paragonare potevasi , e con gran-
dissima fortezza della giustizia e della fede faceva
uso, non solo coi soldati suoi, ma ancora coi nimici.
Per la qual cosa Nerone come legato suo spedito
avevaio a quella guerra , e tante truppe affidate gli
aveva , quante mai non eransi date ad alcuno , per-
suaso essendo che i barbari parimenti superato avreb-
be , e nella fede sua rimasto sarebbe perpetuamente,
nell’ una e nell’ altra delle quali cose non andò fallita
la di lui opinione. Ma Corbulone in questo solo gli'
altri mortali offese , che la fede a Nerone serbò.
Perciocché tanto già desideravano di averlo impera-
tore in luogo di Nerone , che da questa parte al-
meno ( cioè per la mancanza di fede ) tristo il vo-
levano (2).
{ 1) Vologeso I. re dei Parti , cacciato avendo Radamisto , data
aveva I’ Armenia a suo fratello Teridate. Corbulone spedito a di-
fendere l’Armenia nell’anno 810 di Roma, assalita aveva Artaxata
situata presso il fiume Arasse, ed essendosi la città arresa, distrutta
la aveva col fuoco, dopo di che spedito aveva per la prima volta
1 ’ alloro a Nerone. Quindi fu Nerone onoralo con archi trionfali e
con stame, e in alcune medaglie si trova coll’ epiteto di Armeuiaco,
in altra dei museo Arschotauo vedesi 1 ’ arco in quella occasione in-
nalzato .
(a) Gneo Domizio Corbulone nato era da Vestilia , alla quale
veggousi da Plinio attribuiti ire mariti , Erdicio , Pomponio ed
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XX. Quel Corbulone adunque prese Artaxata
senza far uso della forza , e quella città smantellò j
poi drizzossi a Tigranocerta , alle regioni perdo-
nando di tutti coloro che volontari si arrendevano ,
e i campi e le città devastando di coloro che oppo-
nevano resistenza. £ siccome molt’ altre imprese con
gloria e splendore compiute aveva , così allora Vo-
logeso, benché sommamente formidabile, ad alleanza
condusse per decoro del popolo romano (i). [Per-
ciocché udito avendo Vologeso come Nerone ad altri
distribuita aveva P Armenia , e come Tigrane l’Adia-
bene devastava (3), disposto erasi veramente egli stesso
ad una spedizione nella Siria contro Corbulone , e
mandato aveva poi nell’ Armenia il re degli Adiabeni
Orlilo; non può dunque accertarsi quale di questi fosse ii di lui padre»
Certo è che sorella ebbe Cesonia moglie di Cajo Cesare. Fu Corbulone
pretore , quindi consolo nell’ anno ;ga ; sotto Claudio comandò gli
eserciti nella Germania , ed un canale apri tra il Reno e la Mosa ;
da Tacilo e da Giovenale si raccoglie , che grandissimo e robustis-
simo era della persoua ; Tacito e Plinio rammentano ancora i com-
mentarj da esso scritti.
(1) Quello che segue chiuso tra gli uncini , è un frammento di
Dione tratto da Teodosio, che il Reimaro opportunamente inserì in
questo luogo, giacché malamente era stato premesso dal Leuncla-
■vio. Sembra che Dione abbia voluto tornare brevemente su i fatti
antecedenti di Corbulone, per venire quindi alla pace conchiusa coi
Parti. Sebbene però meglio in questo luogo , che nou altrove sia
collocato quel frammento , la serie de’ fatti presenta qualche con-
fusione, perchè dopo la notula della pace suddetta si ragiona di
cose, che avvenute erano da prima.
(a) Nerone da prima conceduta aveva l’Armenia al solo Tigrane.'
Era questi tra i primari nobili della Cappadocia, nepote del re Ar-
chelao, vissuto coinè ostaggio per lungo tempo iu Roma , e quindi
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8o
s Motiobazo , e Mottese Parto (i). Questi Tigrane rin-
chiusero in Tigranocerta (a). E siccome in quell’ as-
sedio non solo alcun danno ad esso non gli arreca-
vano , ma ancora qualunque volta lo assalissero , o
da esso respinti erano o dai Romani che egli con
seco aveva ; e Corbulone la Siria con diligente cu-
stodia e presidio difendeva ; cominciò Vologeso tra
sè stesso a dubitare , e il bellico apparato pose da
parte , e spediti avendo suoi messi a Corbulone (3),
ima tregua a queste condizioni impetrò. Che legati di
nuovo invierebbe a Nerone , leverebbe 1’ assedio , dal-
l’ Armenia le sue truppe ritirerebbe. Nerone però ; nè
pure allora alcuna cosa prontamente nè chiaramente
rispose j ma Lucio Cesennio Peto mandò nella Cap-
nelP Armenia spedito. Tacito gli assegna per padre Alessandro fi-
gliuolo di Erode il grande. Occupata era all' arrivo di lui l’Armenia
da Corbulone , il quale passato era nella Siria j ma Tigrane dal—
l’Armenia uscito, devastala aveva 1’ Adiabene , del die gravi la-
gnanze al re dei Parti portate avevano Monobazo reggente di quella
provincia, e Tendale profugo del regno.
(i) Di Monobazo re degli Adiabcni , che sorella e moglie aveva
al tempo stesso certa Elena, parla Giuseppe Ebreo nelle antichità
giudaiche. Di Mouese fa menzione Tacito, dicendo che questi era
un nobile, che la cavalleria del re de’ Parti comandava.
(a) Era questa una città vastissima, cima di valide mura , e ba-
gnala in gran parte del suo circuito dal fiume Niceforio. Corbuloue
aveva colà spedite in ajuto due legioni.
(3) Tacito narra all'incontro, che Corbulone spedi un centurione
detto Casperio a Vologeso, per querelarsi della violenza fatta alla
provincia , c dell’ assedio tentato contra un re amico ed allealo dei
Romani ; per intimargli adunque di togliere tosto quell’ assedio »
altrimenti sarebbe egli venato a porre presso di lai un campo ostile.
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padocia , affine di prevenire qualunque nuovo movi-
mento presso gli Armeni] (i).
XXI. [ Avvicinandosi però Yologeso a Tigranocerta,
Peto respinse che venuto era a recare ajuto agli as-
sediali j ed inseguito avendolo nella fuga, tagliò a
pezzi il presidio da esso nel monte Tauro lasciato ,
e Peto stesso in Randea presso il fiume Arsania si-
tuata rinchiuse ; e non pertanto -tolto avrebbe l’ as-
sedio , perchè nè da vicino accostarsi poteva ai luoghi
muniti } siccome mancante di soldati di grave arma-
tura , nè copia aveva di viveri , tanto per altre ca-
gioni , quanto perchè venuto era colà con grandis-
simo numero di soldati senza provvigione di vitto-
vaglie 3 se Peto stessb che la forza temeva dei dardi
(i) Corbulone aveva scritto all’imperatore, che l’ Armenia ab-
bisognava di an comandante proprio che ia difendesse ; fu dunque
spedito Peto nell’ anno 8t5 di Roma , e date gli furono forze copiose;
quel Pelo era stato consolo nell’anno precedente. Si trasse tristo
augurio di quell’ impresa dal vedere che net passaggio dell’ Eufrate
il cavallo che le insegne consolari portava , spaventato fuggi all’ in-
dietro. Quel duce di fatto espugnate avendo alcune fortezze al di
là del monte Tauro , scrisse a Roma , che finita era la guerra ,
laonde archi e trofei furono nella città innalzati. Mostrò quindi di
voler combattere coi Parti , che si avvicinavano, ma perduto avendo
un centurione e pochi soldati , che spediti aveva innanzi , pieno di
timore si ritrasse. Ma inseguito da Vologeso, lasciò 3ooo soldati
scelti sul monte Tauro, perché al passaggio de’ nemici s’oppones-
sero, e questo è il presidio che Dione narra taglialo a pezzi. Tacito
nota che un solo centurione, detto Tarquizio Crescente, osò difendere
ia torre su quella eminenza costrutta. — Il fiume Arsauia , che se-
condo Plinio shoccava nell’ Eufrate , nelle antiche edizioni di Tacito
viene detto Arsamele , il che corretto fu come errore da Giusto
Lipsio.
. Viant, toma IP, /.* di Sinuno. $
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ostili , che fino al di lui campo giugnevano , e la
cavalleria che da ogni parte appariva , mandati non
avesse alcuni de’ suoi a trattare di pace , e concliiusa
non 1’ avesse , promettendo con giuramento eh’ egli
avrebbe 1’ Armenia tutta abbandonata , e che Nerone
conceduta 1’ avrebbe a Tcridale. Di queste condizioni
contento il Parto, siccome quello che il possedimento
della provincia goduto avrebbe senza fatica, e grande
vantaggio disposto era ad arrecare ai Romani ; udito
avendo al tempo stesso che anche Corbulone, chia-
mato in ajuto da Peto pria che circondato fosse dai
nimici, lontano non trovavasi, Peto stesso lasciò an-
dare, pattuito avendo da prima altresì che sull’Arsania
gli costruissero i Romani un ponte ; non che di ponte
egli avesse d’uopo, ( che a piedi valicato aveva quel
fiume ) , ma perchè ad essi mostrare voleva essere
egli di forze supcriore. In vero non passò egli nè
pure allora per il ponte , ma il fiume tragittò por-
tato da un elefante , e gli altri il valicarono come
fatto avevano da prima (i).
(i) Corbulone al dire di Tacito, non era più lontano dall'ar-
mata di Pelo se noti che di tre giornate di cammino. Abbondava
Pelo di viveri, ne mancava Vologeso , il che perù tratto avendo
Tacilo dai commentar] di Corbutoue medesimo, dubita che scritto
fosse unicamente per aumentare 1' infamia di Peto. Certo & che i
Parli non portavano seco loro alcuna sorta di provvigiooi. — Ta-
cilo sembra attribuire alla disperazione dell’ esercito la pace chiesta
da Peto a Vologeso; egli soggiugoe, che Petp giurò presso le inse-
gue , presenti i deputali de* Parli , che aloun romano più entralo
non sarebbe nell’Armenia, finché giunta fessela risposta di Merone ;
che sparsa arasi altresì la fama , che passate fossero due legioni sotto
il giogo. Svelonio , Eutropio, Orosio, c Sesto Rufo danno questo fatto
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XXII. Appena si era tra di essi pattuito , Corbu-
lone recatosi con tutta la possibile celerità all 1 Eu-
frate , colà fermossi. Dacché i Romani più vicini tra
loro si fecero a vicenda , si potè osservare una gran-
dissima diversità nelle legioni e ne’coroandanli; mentre
questi , rallegrandosi, affrettavano il cammino, quelli
per cagione della stabilita convenzione , oppressi
erano da dolore e da vergogna. Vologeso perù, spe-
dito avendo Monese a Corbulone , chiese che ab-
bandonare dovesse il posto fortificato che nella Me-
sopotamia riteneva. Molle conferenze da questi si
tennero sul ponte stesso dell 1 Eufrate , disciolta .es-
sendosi una metà di quel ponte. E promesso avendo
Corbulone, ch’egli partito sarebbe da quella pro-
vincia , purché il Pat to ancora l 1 Armenia abbando-
nasse , l 1 una e l’altra cosa fu eseguita , finché edotto
Nerone di quello che fatto erasi , uditi avendo i
legati che di nuovo Vologeso aveva ad esso spenti,
rispose che a Teridate conceduta avrebbe l’Armenia,
se questi recato si fosse in Roma. Priv.ò intanto Peto
per cerio. Quanto al ponte sul fiume Arsania, Tacilo dice che Peto
stesso lo fece costruire, quasi volesse servirsene, ma che i Parti
come documento della vittoria lo pigliarono, perchè essi per il
ponte passarono , i Romani andarono per altra via. Narra parimenti
Tacito, che il re passò il fiume seduto su di un elefante, c cia-
scuno de’ di lui seguaci passò correndo a cavallo, perchè sparsa
crasi la voce, che il ponte costrutto con frode caduto sarebbe sotto
il peso de'passeggieri , i quali pelò solidissimo lo trovarono. — Te-
merario sarebbe, dice il Reimaro , il pretendere che Dione e Tacilo
andassero sempre d’accordo: io credo di potere soggiugucre , che
temerario sarebbe parimenti il volere coi delti deli’ uno convincere
di falsità le iiarratiom dell’altro.
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del comando , ed in altri luoghi distribuiti avendo
i soldati che quello avea seco Corbulone deputò
di nuovo comandante della guerra partica. Percioc-
ché disegnato aveva veramente di' intervenire egli
■ stesso a quella spedizione ; ma perchè caduto era
nell’ atto di offerire un sacrificio , non osò intra-
prendere quel viaggio , e nella sua casa si trat-
tenne } (j).
XXIII. [ Corhulone già disponevasi apertamente a
guerreggiare contra Vologeso , e spedito avendo un
centurione , gli intimò che dai confini dell’ Armenia
si ritraesse ; ma in privato il consiglio gli diede che
a Roma spedisse il fratello ; e in tanto questo riuscì
a persuadergli , in quanto forze maggiori sembrava
egli avere di Vologeso. Per la qual cosa nella città
di Randea vennero a conferenza Corbulone e Teri-
date , perchè quel luogo era stato di comune con-
senso eletto 5 da Teridate , perchè intercetti colà i
Romani , per convenzione erano stati dimessi , con
(i) Per le false relazioni da Peto inviate, già si erano in mezzo
al monte Capitolino innalzati archi e trofei dei Parti , quando giun-
sero al cominciare dell'anno 816 i legali di Vologeso , i quali chie-
devano che il regno dell'Armenia conceduto fosse a Teridate innanzi
alle statue dell’imperatore ed alla presenza delle legioni romane.
Nerone chiese allora contezza dello stato in cui l’ Aswenia si tro-
vava , da nn centurione che venuto era coi legati , e udito avendo
che i Romani tutti usciti erano da quella provincia, deriso si cre-
dette da que’ barbari , che la provincia già rapita , come dice Tacito,
domandavano, e a Corhulone ordinò di intraprendere nuova guerra.
Que’ legati riutaudali furono, non senza donativi però, affinchè Te-
ridate sperare potesse di vedere compiute la sue domande , se egli
stesso venuto fosse in Roma.
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che mostravasi il beneficio che dai Parli ottenuto
avevano ; da Gorbulone , perchè i Romani l’ infamia
che da prima procacciata si erano in quella città ,
erano allora sul punto di scancellare. Conciossiachè
non in modo semplice stabilite furono le confe-
renze , ma un sublime tribunale fu eretto e in esso
collocate furono le immagini di Nerone ; e lo stesso
Teridate , presenti molti Armeni , molti Parti e i
Romani , a quelle immagini si accostò , e dopo di
averle venerate , di avere offerto un sacrifizio e assai
pregalo , il diadema detratto dal capo , depose in-
nanzi alle immagini di Nerone ; vennero allora Mono-
bazo e Vologeso da Corbulone e ostaggi gli die-
dero (1). Le quali cose fatte essendo , molte volte
Nerone fu appellato imperatore , e . il trionfo cele-
brò ]. Corbulone adunque acquistato avendo molto
potere c molta gloria , mentre poteva con grandis-
sima facilità essere designato imperatore , giacché
tutti gravemente avversi erano a Nerone , e tutti i
fatti di Corbulone ammiravano ; non solo alcuna
novità non macchinò giammai , ma nè pure per
questa cagione fu accusato. [ Perciocché e in. tutte
P altre cose con maggiore modestia si condusse , e
, (1) Tacito bea descrive quella cerimonia, e dice ebe da una
parte slava la cavalleria iq varie schiere disposta colle patrie inse-
gne, dall’altra erano le legioni colle aquile loro, le insegne e i simu-
lacri degli dei, cosicché quel luogo sembrava un tempio. In messo al
tribunale era posta una sedia conile , e su questa collocata I’ effigie
di Nerone. Grande agitasione nacque negli spettatori, allocchi: Te-
ndale , dopo di avere immolate alcune vittime , il diadema depose
innanzi a quell’ immagine.
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Annio (i) suo genero , legato spedi spontaneamente
a Roma , in apparenza bensì affinchè Tendale alla
città conducesse; realmente però affinchè come ostag-
gio presso Nerone rimanesse. Nerone del resto tanto
era alieno dal sospettare che da esso novità alcuna
si tramasse , che il di lui genero , anche avanti la
pretura, elevò al consolato (a)].
XXIV. Ma Seneca e Rufo prefetto del pretorio ,
con altri uomini illustri contra Nerone congiurarono.
Perciocché più tollerare non potevano la di lui tur-
pitudine , la di lui petulanza, la di lui crudeltà. Se
stessi adunque ed esso pure da quei mali bramava-
no di liberare , il che Sulpicio Aspro centurione e
Subrio Flavio tribuno , 1’ uno e 1’ altro tra i soldati
pretoriani , palesemente anche presso Nerone mede-
simo confessarono (3). Di questi il primo interrogato
(i) Alcuni lo nominano Viviano Annio, altri Viniciano figliuolo
rii Annio Viniciano. Egli era stato spedito alla quinta legione nella
Siria, benché non aocora giunto fosse alla età senatoria, cioè di
anni a 5 .
(a) Fatto si crede consolo nell’ anno di Roma 819.
( 3 ) Questa è la congiura di C. Calpurniu Pisone , nella quale
entrati erano senatori, cavalieri, soldati e persino donne. Tacilo
nota , che molto si confidavano nel prefetto Rufo , che da Tigellino
era stalo a Nerone rappresentato come sospetto di adulterio con
Agrippina. Quel Rufo perù non mostrò ai suoi compagni avvedi-
mento, nè costanza, e tra Tilt lamenti fu condotto al supplisio.
Strano sembra ad aleniti critici , che Dione nominato non abbia
Pisone , e questa omissione imputano a Sifilino. — Da Svelonio
ti raccoglie, che i congiurati avvinti in triplicate catene perorarono la
causa loro; che alcuni il delitto ultroneamente confessarono, altri
a Nerone stesso imputarono, che disonorato essendo egli da tutti i
vitj , in altro modo soccorrerlo non potessero se non colla morte.
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da Nerone quale la cagione fosse della congiura ,
rispose : « Perchè in altro modo io non poteva pre-
starti soccorso ». Flavio poi disse : « Ti ho amato
ed odiato più di qualsiasi altro } ti amai perchè io
sperava che tu dovessi essere un buon priucipe } ti _
portai odio, perchè queste e quelle cose tu fai 5 per-
ciocché servire non posso ad un cocchiere e ad un
citaredo». Questi adunque, scoperta essendosi la
congiura , c per cagion loro altri molti , tratti furo-
no al supplizio. Imperciocché tutti quei delitti che ad
alcuno, chiunque egli si fosse, apporre potevansi per
effusione di allegrezza , o di dolore *, per discorso o
per atto qualunque si apponevano , ed apposti piena
fede trovavano 5 nè alcun delitto, benché simulato, vi
aveva che credibile non sembrasse a cagione delle cose
che da Nerone erano state fatte. Per la qual cosa i
perfidi amici di molti ed i servi a gran fortuna .sa-
lirono. Perciocché dagli altrui schiavile dai nimici
guardavasi , perchè sospetti tene vali ; ai suoi iu
vece, anche involontario , manifestavasi.
XXV. Ma lungo sarebbe il ragionare degli altri
molli che perirono. Seneca però volle che la moglie
sua Paolina fosse con esso tratta a morte , dicendo
che persuasa la aveva a sprezzare la morte, c che essa
La congiura pelò non fu scoperta , se non per il tradimento di
Mitico schiavo di Flavio Scevino altro de’ congiurati , ed Antonio
Natale parimente denuusialo da Milico , non solo Pisone dichiarò
complice, ma anche Seneca ; forse, dice Tacilo, per guadagnare il
favore di Nerone il quale avverso a Seneca, tutti i modi di oppri-
merlo studiava. 1
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bramato aveva di morire insieme con lui (i). Seneca
adunque anche le di lei vene tagliò , ma morendo
egli difficilmente (a) , ed affrettando i soldati la di
lui morte, la consorte egli prevenne, e Paolina ri-
mase superstite ; nè però Seneca ad essa aveva po-
ysto mano , pria che emendato non avesse un libro
che scritto aveva (3) , e gli altri non avesse presso
alcuni suoi fidi deposti , temendo che perissero , se
per sorte in mano venivano di Nerone. Seneca adun-
que partì in questo modo dai vivi , benché allega-
ta avesse la familiarità ch’egli teneva col principe ,
scusando lo stato cagionevole di *sua salute (4) , e
( 1 ) Sembra in questo luogo che Dione avverso a Seneca, travestito
abbia il fatto , perchè Tacilo narra , che Seneca esorlolla invece a
sopportare la mancanza del marito con onesti trattenimenti, c che
essa dicendo a sé pure destinala la morte, richiese la mano di chi
l'uccidesse , gloria che Seneca invidiare non le volle.
(a) Perchè , dice Tacilo , il corpo senile e da uno scarso cibo
estenualo non lasciava scorrere liberamente il sangue , ruppe le vene
altresi delle gambe e delle coscie. Soggiungono alcuni , che il veleno
areopagitico bebbe, ma invano, e quindi fu soffocalo dal vapora di
un bagno caldo.
(3) Non intendo., prrchè il iteimaro abbia tradotto libellum, il
ehe potrebbe cagionare equivoco. Peggio ancora in tutte le antiche
edizioni e versioni si stampò che Paolina ferita non crasi , pria
ohe i libri correggesse , laonde alcnni tra le donne erudite e filosofo
la registrarono. Ma avendo già detto Dione e Tacito, il primo che
Seneca Paolina uccise , il secondo che ad on sol tempo I' uno e
l’altra le braccia presentarono al ferro; chiaro appare che quella
lezione à viziata , e che que’ libri a Seneca debbono attribuirsi.
(4) Qui ancora fu la lezione viziata, e nelle antiehe versioni fu
scritto : sebbene come uomo d' animo imbecille a IV erotte rimpro-
verasse la ■familiarità che con esso tenuta aveva . È bensì vero ,
che a Seneca sembrava di non dorare morirà, il che concorda an-
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tutte le sue facoltà avesse a quello donate sotto il
titolo degli edifizj che si costruivano. Anche i fra-
telli di Seneca furono da poi dati a morte (i).
XXYI. Trasea quindi e Sorano , i quali per no-
biltà , per ricchezze e per ogni genere di virtù il
primo grado tenevano , sebbene nella colpa della
congiura implicati non fossero, pure anch’essi , ap-
punto perchè erano di quella condizione-, furono
tratti a morte (a). Contra Sorano falsa testimonianza
portò Pubblio Egnazio Celere filosofo. Perciocché
conversando principalmente con Sorano que’ due ,
cioè Cassio Asclepiodoto Niceno , e quell’ altro di
Berito 5 Asclepiodoto non solo non lo aggravò con
alcun detto, ma colla testimonianza sua confermò
che quello era uomo da bbene ed onesto ; per la qual
che coi detti di Svetonio. Seneca chiesto aveva di poter passare la
•ua vecchiexia nell' ozio , e che tutte le sue riccbesie riunite fossero
a quelle di Cesare. L’una e I’ altra cosa gli fu negata, ma egli
aotlo il pretesto di cagionevole salute, allontanassi dalla corte di
Nerone, e tutto il sdo avere gli donò per gli edifia) che dopo l' in-
cendio suscitate doveansi ; in questo senso debbono interpretarsi le
parole di Dione.
(t) Questi erano Jtl. Annco Piovalo, il quale adottato da Galliune
il nome di L. Giunio Gallione assunse, ed Anneo Mella o Mela,
dal quale poi nacque il poeta Lucano. Non furono però questi dati
a morte ad un sol tempo, ma Mela nell’ anno di Roma 819, assai
più tardi Gallione.
( 1 ) Non ben si conosce di quali famiglie fossero nè Trasea , nè
Barca Sorano, il quale forse tratto aveva il nome da Sora. Il Reimaro
lo crede della famiglia Servilia, appoggiato solo al fatto, che la di lui
figliuola fatta sposa di Annio Politone , Servilia nominavasi. Certo
c che proconsolo era stato nell' Asia , e colà destata aveva l’invidia
del principe colla sua giustisia c col suo savio reggimento.
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cosa fu allora egli stesso mandato in esilio , sebbe-
ne r imperatore Galba da poi lo richiamasse. Pub-
blio all’ incontro , perchè calunniato aveva Sorano ,
ricchezze ed onori conseguì , come gli altri tutti che
lo stesso fatto avevano , sebbene anch’ egli poscia
mandato fosse in esilio (i). Sorano adunque fu spento
perchè dicevasi che di arti magiche servito si fosse
per opera della figliuola sua, sacrifìzj offerendo,
mentre Nerone infermo giaceva (2). Tfasea lo fu
perchè rare volte venuto era al Senato , siccome
quello che i decreti del Senato non approvava , e
perchè mai udito non aveva Nerone mentre toccava la
cetra ; nè per la sacra di lui voce , come gli altri
tutti sacrificato aveva ; nè alcuna specie di giuochi
o di spettacoli a>eva esposto , sebbene in Padova
nella patria sua rappresentata avesse la tragedia , se-
condo le patrie costumanze , in alcuni giuochi i
quali in ciascun anno trentesimo solevano celebrarsi.
(r) Questi era un cliente diSorano, e sebbène l'abito degli Staici
portasse, occultava tuttavia l'avarizia e la libidine, e si lasciò gua-
dagnare da Nerone per opprimere t’amico. Dice quindi Giovenale,
che lo stoico uccise Barea , il delatore l’amico, il vecchie un suo
discepolo. Dannato non fu, secondo Tacito, se non sotto Vespasiano,
perchè da Musonio Rufo accusato. Nato era egli in Berito, città
della Palestina. Asclcpiudolo che di grandi 'ricchezze tra i Bitinii
godeva, al dire di Tacito, celebrato aveva Serano nel tempo della
zna prosperità, e non abbandonalo nella sua caduta.
(a) La figliupla di Soratio , al dire di Tacito, non aveva consul-
talo gli Dei se nou su la salvezza della sua’ casa. Nerone, dato egli
pure alcuua volta alle magiche arti , temeva che contea di esso si
adoperassero, e quindi, secondo Filoslrato , la filosofia condannò,
perchè temeva cbt sotto di essa la magia si celasse.
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Questi , tagliata essendosi la vena , la mano sollevò
in alto , e disse : « Libazione a te faccio dì questo
sangue , o Giove liberatore (i) ».
XXVIII. Nè però alcuno dee maravigliarsi , se
quei delitti apposti furono a Trasea ed a Sorano ,
mentre due uomini dannati ed uccisi furono , 1’ uno
perchè nel Foro abitava e. le taverne pigliava a pi-
gione , nelle quali gli amici accoglieva ; 1’ altro per-
chè nella sua pasa l' immagine conservava di quel
Cassio che stato era tra gli uccisori di Cesare ( 2 ).
[ Giunio Torquato poi , pronepote di Augusto , con
nuovo ed inudito misfatto fu assalito. Imperciocché
abusando egli lussuriosamente delle sue ricchezze ,
sia che per natura il facesse, o artificiosamente ,• af-
finchè non mostrasse di possedere ricchezze ecces-
sive ; Nerone disse ch’egli necessariamente deside-
rare doveva l’altrui , siccome quello a cui d’ uopo
era di poter fare spese grandiose , e i delatori su-
fi) Accusatore di Trasea era stalo Capitone Cossuziano , at quale
Nerone aggiunto aveva Marcello Eprio, uomo eloquentissimo. Il primo,
al dire di Tacito, acrusollo, che non mai sacrificato avesse per la
salute del principe, nè per la celeste sua voce. Filoslralo nota, che
gonfiate essendosi a Nerone le fauci, pieni erano i templi di persona
che pregavano, perchè la voce renduta gli fosse; soggiugoe , che
in teatro si rimproverava a Trasea di non essere venuto ad udire
Nerone, di averlo udito negligcnlemenle ; e se pure venuto era al-
cuna volta , di avere riso , di non avere applaudito.
(a) Il primo di questi è Salvidiano Orlilo, che accusato fu di
avere appigionato tre taverne; il secondo è C. Cassio Longino, ce-
lebre non solo per le sue ricchezze , ma anche per il suo sapere
nella giurisprudenza, per la qual cosa fondò la setta dei Cassiani.
Tacito però, Svetouio e Giovenale, non accennano che dato fosse a
morte , ma deportato lo dicono nella Sardegna.
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bornò che di ambito imperio lo accusassero (i) ]. la
questo luogo non dee ammettersi una donna detta
Epicaride , la quale pigliata a parte della cospira-
zione , e fatta consapevole di tutto, o almeno della
maggior parte , benché sottoposta a frequenti tor-
menti , dalla crudeltà di Tigeltino adoperati , nulla
giammai palesò (a). Ma perchè rammenterà alcuno i
donativi che per cagione di quella cospirazione dati
furono ai soldati pretoriani , q le cosi che fuori di
ogni misura decretate furono a Nerone o agli amici
suoi ? (3) Rufo Musonio filosofo per queste cagioni fu
mandato in esilio , e Sabina fu allora da Nerone
data a morte (4) , avendola egli ; mentre pregnante
essa era , o volontariamente , o per inavvedutezza ,
con un calcio offesa.
(1) Gianio Torquato, secondo Tacito, non altro delitto aveva se
non quello di portare nello stemma della sua famiglia Augusto come
suo avo ; i di lui accusatori aggiunsero , che prodigo era e di novità
amante.
(a) Epicaride tentata aveva la fede della flotta di Miscno. Mar-
rano alcuni, che portata in lettiga per essere tormentata di nuovo,
col suo stesso cingolo si strangolasse. PolieDo concubina la credeva
del fratello di Seneca , forse di Mela , invece di che si è letto ma-
lamente nei codici Scelai.
( 3 ) Tacilo narra , che a ciascuno dei pretoriani date furono 3000
monete, e accordato fu senxa alcun presso il frumento. Tra gli
amici di Nerone debbono intendersi in questo luogo Petronio l'ur-
piliauo, uomo consolare, Coccejo Nerva, destinato pretore, e 'l'igel-
lino prefetto del pretorio.
( 4 ) Musonio Rufo di Bolsena, filosofo stoico, fu relegato in un'i-
sola, ma dopo P uccisione di Nerone tornò sotto Galha in Roma. —
Sabina già aveva una volta partorito , ma morta era nel quarto mese
la di lei prole ; divenuta gravida di bel nuovo , c lagnandosi con
v.
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XXVIII. Questa Sabina però taulo delicatamente
visse, (giacché da alcune poche cose 1’ altre tutte si
intenderanno ) , che le mule , dalle quali era por-
tata , munite erano di suole d’oro (i) , e che cin-
quecento asine , le quali di fresco partorito avevano,
mugnevansi ogni giorno , affinchè nel latte loro si
lavasse ( 2 ). Perciocché grandissima cura nudrjva della
bellezza e della splendidezza del corpo, talmente che
non ravvisandosi talvolta nello specchip di aspetto
abbastanza decoroso , desiderava di morire pria che
il fiore dell’ età perdesse. Nerone cominciò ad ac-
cendersi di sì grande desiderio di essa , che [ dopo
la di lei morte tenne da prima presso di sé certa
donna , fatta da esso chiamare perchè non dissimile
nelle forme trovata l’aveva da Sabina , poi ] un fan-
ciullo liberto (questo Sporo nominavasi ) aveva fatto
mutilare , perchè aneli’ esso assai somigliava a Sabina ,
e di quello in seguito usò come di moglie. Che anzi
col progresso del tempo come moglie sposollo, ben-
Nerone , che troppo tardi tornasse dalla agitazione de’ carri, mentre
pregnante ed inferma trovavasi , fu con nn calcio uccisa. Nerone
però dai rostri pronunziò il di lei panegirico , e il suo corpo non
fu abbruciato , ma involto ne’ profumi , fu deposlo nel sepolcro dai
Ciulj . • ,
( 1 ) Z!re6j»7<* porta il testo, perchè dello sparlo facevansi le suole
de' calzamcnli , e per questo col vocabolo di suola si è rappresen-
talo quello che noi diciamo ferro da cavallo , giacché malamente
suonalo avrebbe il dire i ferri d’oro.
( 2 ) Opioioue era degli antichi , che questo lavacro morbida e can-
dida rendesse la pelle. - Pubblicamente aveva già lodala Nerone la
bellezza di Sabina, e i capelli celebrati ne aveva in un poema intito-
lalo il Succino , forse perchè erano di colore succiueo o di ambta.
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chè egli slesso già sposo fosse del liberto Pitagora ,
e la dote con atto scritto gli assegnò , le quali noz-
ze pubblicamente celebrate furono dallo stesso po-
polo romano con tutte le altre nazioni : queste cose
però fatte furono di li a qualche tempo. Ma allora,
(come io diceva poc’anzi), molti al supplizio dan-
nati furono , molti ancora liberaronsi , la salvezza
da Tigellino con grandiose somme redimendo.
XXIX. Molte cose ridicole facendo Nerone, scese
ancora talvolta sotto gli occhi di tutto il popolo ncl-
1’ orchestra del teatro , ed ivi lesse alcuni suoi poe-
mi scritti sulle cose Trojane, per le quali, siccome
per tutte le altre eh’ egli faceva , furono offerti
molti sacrifizj (i). Disegnava egli ancora di scrivere
in Versi tutti i fatti dei Romani , e seco stesso an-
dava divisando sul numero de* libri, pria che compo-
sta alcuna parte ne avesse. Nella qtial cosa oltre gli
altri adoperava Anneo Cornuto , uomo a que’ tempi
per erudizione chiarissimo ( 2 ), il quale però per poco si
(1) Nerone scrisse forse le Cose Trojane in occasione dell' in-
cendio di Roma. Il Vossio è d'avviso, che egli sempre que' poemi
cantasse, non recitasse leggendo. Svelonio , Tacito e Marziale, par-
lano spesso delle opere poetiche di Nerone; Seneca sembrava lodare
la sua versificazione , Persio la disapprovava come spumosa. Oltre
le Cose Trojane, il Succino, ed alcuni cauti teatrali, si attribui-
scono a Nerone alcune poesie oscene , I 1 una conira Afrauio Quin-
tino dato a vizj infami, l' altra conira Clodio Politone, che intito-
lata era Lascio-
(a) Nella vita di Persio questi vien detto scrittore tragico , alla
setta stoica appartenente, che libri filosofici lasciò; maestro inoltre
di Persio e di Lucano. D’uopo fe notare, che due Cornuti vi eb-
bero, l’uno romano, l’altro di Lepli nell’ Africa, l'uno dei quali
fu coetaneo di Livio . l’altro di Nerone.
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trattenne che non facesse uccidere , e in iio' isola
certamente deportare lo fece , perchè giudicando al-
cuni che non meno di quattrocento libri Nerone
avrebbe dovuto scrivere., diceva egli che riusciti sa-
rebbero troppo numerosi , nè alcuno letti gli avreb-
be. Ed opponendosi cert 1 altri con dire : Anche Cri-
sippo , che tu lodi ed imiti , più assai ne compose ,
rispose che vantaggiosi erano quelli alla vita degli
uomini. Per questa cagione Cornuto fu punito col-
1- esilio ; ed a Lucano fu interdetto il poetare , per-
chè per il poetico artifizio grandemente era loda-
to (i).
(i) Egli era stato coronato d'alloro, recitato avendo in pub-
blico il suo Orfeo, e per questo Nerone banditi aveva i suoi 'versi
dal Foro e dal teatro. Irritalo quindi il poeta entrò nella con-
giura di Pisone, e per ordine di Nerone perì tagliate essendosi la
vene , genere di supplisio in quella età frequentissimo.
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DELLA
ISTORIA ROMANA
D I
DIONE CASSIO
COMPENDIATA
DA GIOVANNI SIFILINO
LIBRO LXIII. '
SOMMARIO
Nerone, accolto avendo con magnificenza Teridate, gli
impone il diadema: cap. 1-7. — Passa nella Gre-
cia , affine di diventare vincitore periodico : 8-10 —
Con Tigellino e Crispinilla devasta la Grecia ,
come Elio e Polkleto fanno in Roma ed in Ita-
lia: 11. 12. — Nozze di Nerone con Sporo e
Pitagora, sue oscenità: i 3 . — Di lui vittorie , di
lui lodi bandite ; suo furore contro Apollo ; suo
odio contro i senatori : 1 4. 1 5 . — Scavamento del-
t Istmo : 16." — • Eccidio degli Scribonii , di Cor-
bulone, di Paride, dei Sulpicii: 17. 18. — > Tor-
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nando Nerone da Elio affrettato , celebra il trion-
fo Is elastico : 19-ai. ■ — Cospirazione di Vindice
contra Nerone e sua morte : 22-24. — Eufo, Ce-
sare ed Augusto appellato , ricusa ? impero : * 5 . —
Fuga e morte di Nerone : 26-29.
PERIODO DELLA ISTORIA
. » # ^
•
Anni dell’Era -Aiuti ’ Anni
volgare. di Roma. di Nerone.
66. 819. Consoli. - Cajo Lucio Telesiuo
e C. Svetouio Paolino. XIV. 23 olt.
67. • 820. Capitone e GiuKo Rufo. XV. *
68. 8ai. C. Silio Italico e Galerio Tra-
calo Turpilianq, > f g giugno.
* x <
J.Doe cose avvennero, onestissima 1’ una , l'altra
indecentissima , consoli sedendo Cajo Telesino e
Svetonio Paolino. Perciocché Nerone gareggiò tra i
citaredi (1), ed avendogli un trionfo celebrato nel
Circo Menecrate , maestro dell’ arte citaredica , egli
stesso i carri nel circo guidò. Teridate poi , seco
avendo non solo i figliuoli suoi , ma quelli ancora
di Vologeso , di Pacoro (2) e di Monobazo , con-
. dotto fu in Roma ; e il loro viaggio dall’ Eufrate in
poi ebbe 1' aspetto di una pompa trionfale.
(1) I critici sono d’avviso, eh* que' giuochi dati fossero in oc-
casioni del ginnasio ristabilito dopo l’incendio.
(2) Già si vide che Teridate era destinato re all’ Armenia. Pacoro
era re della Media, Monobaio dell’ Adithena-
Dione, téma IV, /.* vi Siriuno. y
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9 8
II. Tentiate stesso in età florida , per bellezza ,
per nobiltà e per generosa indole distinguevasi *, lo
seguiva inoltre una comitiva ed un apparato affatto
regio di domestici; accompagnavanlo tremila cava-
lieri dei Parti , e separatamente moltissimi dei Ro-
mani ; e tutto questo corteo le città magnificamente
ornate e i popoli con grandi e festose acclamazioni
ricevevano ; e tutte quelle cose che ai viaggiatori
necessarie erano , gratuitamente loro fornivansi", co-
sicché le spese di ciascun giorno ottocentomila se-
sterzi all’ erario importavano ; il che in egual modo
fu fatto per nove mesi , che tanto durò quel viag-
gio (i). Teridate portato era dovunque da un ca-
vallo, finché giunse in Italia; per questa cagione an-
che la di lui consorte cavalcava, un elmo aureo por-
tando per coprile il capo, affinchè contro il costume
della patria sua veduta non fosse (a). In Italia co-
minciò ad essere portato dai cocchi mandati da Ne-
rone , e ad esso in Napoli pervenne per la via del-
1’ agro Picèno. Al quale presentandosi, la spada de-
porre non volle , sebbene comandato gli fosse , ma
(t) Svetonio trova quasi iocredibile la grandiosità di qnel dispen-
dio , e i moderai un calcolo instituirono , per il quale la venuta di
Teridate importato avrebbe più di dieci milioni di scudi , indisio
della romaua grandezza , ma somma al tempo stessa mal collocata t
perchè tanto valeva il perdere lulla l'Armenia.
(a) Le donne presso gli orientali erano sempre in pubblico velale ;
era poi costume patrio de’ Parli di viaggiare sempre a cavallo; nè
può credersi a Plinio , che Teridate per questo solo tragittare non
volesse il mare, perchè sacrilegio credeva lo spulare nell' onde, o il
lordare le acque colle altre naturali necessità.
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per mezzo di chiodi conficcolla nella vagina ; benché
a Nerone prestasse ossequio , un ginocchio piegando
a terra e incrocicchiando le mani , e signore lo ap«
pellasse.
III. Avendolo Nerone , forse per questa cagione
medesima , ammirato , e liberalmente tutto quell 1 uf-
fìzio ricevette , e giuochi di gladiatori celebrare fece
in Pozzuoli. Queste feste espose Patrobio (i), di lui
liberto , e tale fu la magnificenza in esse svilup-
pata e tanto grande il dispendio , che per lo spazio
di un giorno alcuno non entrò nell 1 anfiteatro , a ri-
serva degli Etiopi, uomini, donne e fanciulli', e fare
dovendosi per questo qualche onore a'PaUobio, Te-
ridate stesso dal luogo , ove seduto era , saettò le
fiere , e due tori in un sol colpo ( se pure la cosa
può credersi ) ferì ed uccise.
iy. Qdeste cose compiute avendo , Nerone lo con-
dusse in Roma e il diadema gli impose (%). Colà
adorna essendo la città tutta di lumi e di ghirlan-
de , si vide dappertutto gran folla di popolo , ma
pieno fu particolarmente il Foro. Perciocché il po-
polo vestito di bianco e laureato mezzo il Foro coi
suoi ordini occupava : il rimanente riempiuto era dai
soldati splendi,dissimamente armati, cosicché le armi
(i) Alcuni a quel Patrobio danno il cognome di Neroniano. Quello
egli fu , che dal Nilo fece venire un* arena sottilissima onde spar-
gerne il circo, sotto Galba poi fu per la città condotto incatenalo
e quindi trailo a morte.
(a) Il tutto era già stato convenuto in Randea nel trattato con-
chiuso con Corbulone. Teridate avrà deposto la sua tiara o la ber-
retta nominala tidari col diadema, come ai vede in alcune medaglie.
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e le insegne a guisa di folgori rilucevano ; le tegole
stesse di tutti gli edifizj che sono in quel luogo, co*
perte erano da una moltitudine di persone , che sa-
lite vi erano. Le quali cosp essendo già state da
prima apparecchiate nella notte , al primo albore
Nerone ornato di veste trionfale, entrò nel Foro col
Senato e coi soldati pretoriani ; salì quindi sul suo
tribunale e si assise sulla sedia curale. Poscia Te-
ridate col suo seguito , passò per le file degli ar-
mati <jhe dall’ una e dall' altra parte schierati erano;
e tutti presentatisi al tribunale , Nerone } come fatto
avevano da prima , venerarono.
V. Per la qual posa eccitati essendosi molti cla-
mori , Teridate spaventato , come se della di lui vita
si trattasse , muto rimase per alcun tempo. Ma poi-
ché ingiunto fu dal banditore il silenzio , animo ri-
pigliò , forzò la generosa sua indole , e giudicando
che servire dovevasi al tempo ed alla necessità, non
dubitò di proferire alcune umili parole , dalla spe-
ranza indotto di quello che era per conseguire. «Io,
diss’ egli , o signore , io Arsacida , fratello dei re
Vologeso e Pacoro , tuo servo sono, e venni affine
di venerare te mio dio, non altrimenti che Mitra (i).
Perciocché quello io diverrò, che le fi]a del tuo fuso
mi daranno di essere; giacché tu c la Parca a me
sci, e la Fortuna». A questo Nerone così rispose : « Tu
(t) Sotto il nome di Mitra adoratasi il sole, non solo presso i
Persiani ed altri orientali, ma anche presso i Romani, e ue fanno
testimouianza la Tavola celebre Mitriaca trovala in Ansio, nn bel
marmo della villa Borghese e molte iscrizioni.
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ih vero rettamente bai operato , recandoti in Roma,
affinchè . presente della presenta mia tu godessi ; giac-
ché quello che nè il padre tuo ti lasciò (i) , nè i
fratelli tuoi , benché loro dato , conservarono , io
stesso ora te lo do , e te faccio re dell 1 Armenia ;
affinchè tu e quelli ancora , tutti intendiate che in
mio potere è il dare i regni egualmente ed il rito-
glierli ». Queste cose dette avendo , ordinò eh 1 egli
ascendesse per un adito che al di sopra conduceva,
e che per questo appunto era stato disposto davanti
al tribunale. Allora Tericlate si assise ai piedi di Ne-
rone , e ad esso Nerone impose il diadema (a) , per
la qual cosa di nuovo frequenti e d 1 ogni genere al-
zaronsi i clamori.
VI. Giuochi scenici furono ancora per decreto ce-
lebrati (3) , e non solo la scena del teatro medesi-
mo , ma tutto il circuito al di dentro fu indorato ,
e tutte altresì le cose che dentro si portavano, d 1 o-
ro erano ornate (4)- Per le quali cagioni quel giorno
(i) Artabano II. avvisalo erasi di assegnare l’ Armenia ad Arsane,
poi ad Orode , ma il primo era sialo ucciso , il secondo caccialo
da Mitridate e Farasmane Iberi , ed al primo di questi l' Armenia
era siala data da Claudio.
(a) Sveionin sogaiugne, che allora Nerone chiuse parimente il
tempio diGiaOo, al che forse si riferisce la medaglia presso il Mei-
xabarba , nel di cui rovescio leggesi. Pace P. R. Terra. Marimbe.
Parta. Iarom. Clbsit. S. C. Nerone già aveva compiuta allra volta
quella cerimonia avanti P arrivo di Teridale.
(3) Nel teatro di Pompeo, come da Plinio può raccogliersi.
(4i Plinio parla a lungo di questa profusione d’oro e d’ argento .
Dee però notarsi, che C. Antonio spettacoli aveva esposti in una
scena d’argento; tutta addobbata 1* aveva in argento C. Antonio,
dice Valerio Massimo, tutta d’oro Patrejo , tutta l’aveva adorna
di avorio O. Datolo .
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stesso aureo fu nominato. Le cortine poi stese nel-
1’ aere a riparo del sole , purpuree erano (i) ; iq
mezzo a quelle pinto coll’ ago vedevasi Nerone che
un carro conduceva (a) j stelle d’ oro all 1 intorno da
ogni parte risplendevano. Le quali cose in questo
modo compiute , tutti accolti furono ad un convito,
come facilmente può credersi, sontuoso. Dopo di che
Nerone cantò in pubblico, accompagnandosi colla ce-
tra , e di unà veste verde (3) ammantato ed ornato
dell’elmo dei cocchieri (4)> carri agitò. Qui Teridate
cominciò a detestare Nerone , a lodare Corbulone ,
ad esso rimproverando soltanto che un simile pa-
drone ■ sopportasse. La qual cosa neppure a Nerone
/
(t) Si indica in questo luogo il velario, che usato per la prima
volta dicesi da Q. Calulo. Cesare già aveva stese vele di seta sul
Foro e su la via sacra, e imitato lo avevano Augusto e Caligola.
I soldati delle flotte, o come da noi direhbonsi, di marina, destinati
erano al governo di quelle vele , e ancora si veggono in alcuni an-
fiteatri i fori , per i quali passare facevansi le funi o le antenne a
sostegno del velario. IH questo ha dottamente ragionalo il conte
Gian Rinaldo Carli nelle Antichità Italiche.
(a) Non come semplice auriga , dicono i critici più dotti, ma
come Apollo o Febo radiato , che i cavalli e il carro del Sole in
meno alle stelle conduceva.
(3) Si riferisce questo ai colori diversi delle fazioni del circo. Quella
che Dione . appella stola, era una veste corta e stretta , che libere
lasciava le braccia ; una cintura strigneva quella veste a meno il
corpo, nella quale talvolta le redini si inserivano, affinchè imba-
razzo non recassero.
( j) Era questo, secondo Stazio, di panno del colore stesso della
tunica , e non solo il capo slrigneva , ma allacciavasi ancora sotto
il mento, laonde 1' aspetto aveva d’ un elmo militare. In alcune fi-
gure presso il Rubcnio ed il Panvinio, vedesi Nerone Auriga eoa
mia specie di elmo crestato.
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medesimo ascosa tenne , dicendo alcuna volta : « Un
buon servo hai tu , o signore , in Corbulone ». Ma
Nerone non l 1 intese } perchè Teridate nell’ altre cose
tutte lo adulava , e con tutto lo studio nella di lui
familiarità insinuavasi. Per la quale cagione molti do*
nativi ricevette per il valore, come si narra, di due
milioni di sesterzj , c permesso gli fu di ristabilire
Artaxata , al quale oggetto gran numero di fabbri ,
che parte ottenuti aveva da Nerone , parte sedotti
anche col danaro , via condusse da Roma. Corbu-
lone però non tutti lasciò passare nell 1 Armenia , ma
que’ soli che da Nerone . gli ' erano stati accordati.
Per la qual cosa Teridate questo ammirava maggior-
mente , e quello condannava. ’
VII. Tornò egli non per l’ Illirio ed a traverso il
mare Ionio , ma da Brindisi navigò a Durazzo , e
le eittà dell’Asia vide ancora , cosicché anche per
queste ebbe motivo , sia per la potenza , sia per la
bellezza, di considerare con occhio di stupore il ro-
mano impero. Artaxata poscia restaurò , e Neronia
cognomiuolla (i). Vologeso però, benché più volte
chiamato, da Nerone andare non volle, e Analmente
molesto riuscendogli quell’ invito , rescrisse: « A te
(1) Astutamente, dice il Reimero, perchè Nerone amava di ve-
dere dovunque il tuo nome , guidato da un' ambitione insensata ,
come acrive Svetonio, di eterniti e di fama perpetua. Neronio o Ne-
ronco voleva, che si chiamasse il mete di aprile, e anche a Roma
destinato aveva il nome di Neropoli. Colonia Neronia dicevasi Poz-
zuoli : ■ Rodj sono delti Neronii nelle medaglie ; Neronia vedesi
pure nominata la colonia Patrense ; di Artaxata però detta Neronia
non trovasi alcun monumento.
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in vero molto più facile die a me sarebbe il valicare
un mare sì vasto. Per il ohe se nell’ Asia verrai ,
allora tra noi delle cose nostre converremo , [ qua-
lora possiamo trovarci insieme ». ) Alcune cpse si-
mili scrisse per ultimo il Parto a Nerone.
Vili. Ma Nerone nè contro di esso navigò , ben-
ché motteggiato ne fosse , nè contra gli Etiopi o le
Porte Caspie si mosse , come divisato aveva (i).
[ Ma considerando che grande - fatica e lunghissimo
tempo quelle imprese esigevano , lusingossi che quelle
nazioni venute sarebbero a spontanea dedizione }.
Spediti adunque ncirurf luogo e nell’ altro esploratori,
passò nella Grecia , non come fatto avevano i di lui
maggiori Flaminino , Mummio , Agrippa , Augusto ;
ma affinchè i carri agitasse, toccasse la cetra, l’uf-
ficio di banditore adempisse , e tragedie recitasse (a).
Perciocché non Roma ad esso bastava, non il tea-
tro di Pompeo , non il Circo massimo; ma d’ una
lontana spedizione fu d’ uopo , affinchè , com’ egli di-
ceva , periodonico diventasse (3); e sì grande seguito
(■) Pretendeva Plinio, cbe Caspie fossero quelle porle, che dal-
1' Iheria nella Sarinazia cenducevano ; ma gli autichi tnlti Caspie
nominavano le porte dell’Iberia siessa, che Caucasie ancora dice-
vaosi. Da Tacito vrggonsi ancora nominate Clauslra Caspiarum ,, e
per queste Verone passare voleva a guerreggiare tra gli Albani.
(a) Flaminino vinto aveva Filippo e trionfato de’ Greci; Mummio
aveva soggiogata Corinto; Agrippa portando la guerra nella Grecia,
prese aveva Leucade , Patrasso e Corinto.
(3) Cosi traduco io il vocabolo greco, che in altro modo tra-
durre non si potrebbe, e non egualmente I’ idea si esprime colla
frase di vincitore periodico. Questo dire potevasi di qualunque
atleta, cbe più volte in certi dati periodi vinto avesse; ma il pe-
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seco condusse , di Augustaui non solo , ma aucfae
di altre persone , che se alla guerra fosse stata eser-
citata , e i Parti e le altre nazioni avrebbe potuto
soggiogare. Ma quelli non erano se non. quali pote-
vano essere i soldati di Nerone , e in vece d’ armi
cetre portavano , plettri , maschere, coturni (i). Vit-
toria riportò egli adunque degna di tale esercito , e
invece. di Filippo, di Perseo, di. Antioco, Terpno
e Diodoro e Pammene superò (a). Quel Pacamene
adunque , per quanto sembra , che boriva a’ tempi
di Cajo , sebbene già oppresso dalla vecchiezza, lor-
zò a cantare , affinchè vincitore le di lui statue
potesse ingiuriosamente trattare (3 b ' •> *•
IX. Che se queste cose da Nerone solo fatte si
fossero , egli in vero si sarebbe fatto ridicolo j seb-
bene chi potrebbe tranquillamente udire non che ve-
dere un imperatore augusto nel ruolo degli atleti
inscriversi , esercitare la voce , meditare alcune can-
zoni , nutrire la chioma , nudare di peli il mento ,
riodonico era preoissjnente quello , che Tinto aveva ne’ giuochi Pi-
ati, Istmii, Nemei , Olimpici, e quel vocabolo trovasi anche nelle
iscrizioni presso il Grillerò, e presso il Reinesio.
* (i) Socchi tcadolio aveva Xilandro ; ma ben si ved* , che la pa-
rola iuHaraf in questo luogo significa colami, lauto più che Ne-
rone andato era nell’ Acaja per gareggiare nel canto delle tragedie.
( 3 ) Terpno era stato maestre di tterone citaredo. Diodoro erasi
giù veduto assiso in carro trionfale con Nerone medesimo. Pani-
mene è forse quello, che menzionato vedesi da Filostrato.
(3) Spiega questo passo Svetonio, il quale narra, che geloso Ne-
rone che memoria alcuna o alcun vestigio non rimanesse degli altri
vincitori, comandò, che le statue loro fossero rovesciate, strascinate
quindi cogli bacini e gettate nelle latriti;..
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gettare la veste indietro nel certame , andare con
uno o due pedissequi , torvamente riguardare gli av-
versar) e contro di essi lanciare nella rissa conti-
nue maledizioni , temere i giudici e i flagelliferi , e
a questi tutti donare nascostamente danaro, affin-
chè colto in fallo flagellato non fosse, e queste cose
tutte fare in modo che vincitore uscendo dalle gare
dei citaredi, vinto fosse in quella dei Cesari (i) ?
[ E quale più grave proscrizione pnò essere di quella,
in cui Siila gli altri , Nerone proscrisse se stesso ?
Quale vittoria di quella più importuna, in cni la co-
rona d 1 ulivo e d’ alloro e quella di apio e di pino
Nerone riportò (a) , c la civica perdette ? ] Le quali
(i) Gli acidi riferii! erano nel molo dopo un esame, e quindi
tratti a sorte; Nerone iscritto era anche nel ruolo dei citaredi,
sebbene una medaglia presso Tristano reggasi consacrata all' onore
ed alla vittoria di Nerone atleta. — Anche Svetonio nota, che gli
avversar) o gli emuli ^ quasi di eguale condiiione fossero, osservava
Nerone , esplorava , infornava in segreto , e talvolta incontrandoli
contumeliosamente gli insultava , e se alcnni più valenti erano nel-
l’arte, anche con danaro corrompeva!!. — 1 moderatori dei giuochi
detti agonothetae , nove erano negli olimpici , poi dieci , e a norma
del loro giudizio si ammettevano i combattenti e i prete j si distri-
buivano. Questi accompagnali erano dai portatori de'ijagelli, i .quali,
per comando degli Agonoteli medesimi la pigiisia o la iasolensa
dei lottatori colle battiture punivano.
(a) I vincitori dei giuochi pitj coronati erano col delfico alloro.
In qualche luogo trovasi accennata una corona pomaria o di pomo ,
ma il Rcimaro crede , che cosi si chiamassero le bacche rosseggiami
del lauro ; io crederei piuttosto , che di luti’ altra fronda si trattasse,
perchè sotto il nome fti\* , qualunque frutto presso i Greci com-
prendevasi , .nè altronde vedesi mai quella voce adoperata per in-
dicare le bacche d’alloro. — L’apio serviva alle corone de’giuocbi
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cose chi sole in esso non deplorerà , mentre calzati
avendo i coturni , dalla maestà imperiale decadde ,
e mentre il personaggio assumeva deli 7 istrione, della
dignità di principe si spogliava ? Perciocché a guisa
di servo fuggitivo con catene , strignevasi ; condotto
veniva a guisa di cièco ; concepiva , partoriva , im-
pazziva , vagando errava ^ Edipo sovente , Tieste ,
Ercole , Alcmeone , Oreste rappresentando , e i per-
sonaggi sosteneva ora a quelli, ora a sé stesso, so-
miglianti. E tutte le rappresentazioni di femmine a
Sabina riferivansi , [ affinchè essa , benché defunta ,
in comparsa si traesse. Del rimanente egli al paro
di tutti i più vili commedianti , tutte le cose mede-
sime diceva , faceva e sopportava , se non che ] av-
vinto veniva con catene d’ oro , giacché non sem-
brava convenire ad nn imperatore de’ romani , clte
con catene ferree si strignesse.
X. Tutte queste cose però vedendo gli altri tutti ,
ed anche i soldati , soffrivano e collaudavano , e ol-
tre l’ altre usitate acclamazioni , vincitore Pitico ,
Olimpico (i), Periodico e di tutti finalmente i cer-
Nemei , il pino a quelli degli istmici ; poi negli uni e negli altri ti
fece uso dell’ api* , verde nei primi , secco nei secoodi. Al tempo
di Plutarco tornato' era in uso il pino , ma nelle medaglie di Ne-
rone presso lo Spanemio vedesi tuttavia la corona istmica di apio. —
La corona civica di quercia era stata da prima presentata. ad Au-
gusto, e per decreto collocala su le porte del palano, mentre l'al-
loro posto era su la cima , questo per i nemici superati , la quercia
per i cittadini salvati. Forse a questo allude il dello elegantissimo
di Dione. '
(i) Svetonio narra, che tutti percossi aveva gli esercisj ginna-
stici ; Filostrato accenna i giuochi vlimpici, pilii e istruii, sebbeoa
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tami lo acclamavano, i nomi dell’ imperio con questa
per tal modo mescolando, che dopo ciascuno di essi
il nome di Cesare o di Augusto al fine si collocasse.
Niuno osava compiangere quell'infelice, ninno odiar-
lo. Uno tuttavia dei soldati , poiché incatenato lo
vide , sdegnato di quell' atto , corse a discioglierlo.
Interrogato un altro quale cosa l'imperatore faces-
se, rispose: « partorisce $ » poiché allora Canace
rappresentava. Alcuno di essi cosa non fece che de-
gna fosse di un Romano. Perciocché conseguivano
èssi da Nerone sì gran copia di danaro , che affitte
di riceverne ancora di più , bramavano di piu oltre
in quelle cose avvilirsi.
XI. Che se queste cose sole fatte si fossero in
quel modo , il tutto tenuto si sarebbe per disdo-
roso e volto al ludibrio , ma scevro da pericolo re-
putato ; allora perù , non altrimenti che se venuto
fosse a guerreggiare , Nerone la Grecia devastò , seb-
i giuochi olimpici celebrali fossero allora fuori dell* ordinario pe-
riodo. Fu parimente una novità, che ne' giuocbi olimpici, ginnici
ed equestri d’ ordinario, si facesse una gara musicale e la tragedia
si rappresentasse^ cosi pure nei giuopbi istruii , ginnastici, musicali
e poetici , si introdussero allora per" la prima volta spettacoli sce-
nici, che per legge erauo colà vietali. Il Froelich ba prodotto uua
medaglia, nella quale il genio di Corinto corona Nerone togato. —
Nerone nei giuochi istruii, seduto sul suo tribunale net Foro o nello
stadio, dopo una allocuzione, la Grecia dichiarò libera come fatto
aveva Quinzio Fiammico, cioè ristabilì quella libertà , che i Romani
dopo avere vinto Filippo conceduta avevano all’ Acaja. Egli è per
questo, che tolta essendo poi ai Greci quella libertà da Vespasiano,
i Greci scrittori in odio di Vespasiano medesimo , Nerone con lode
esaltarono, e medaglie coniarono in di lui onore.
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bene libera la lasciasse., e stragi fece infinite [d’uo-
mini , di donne , di fanciulli. £ da principio vera-
mente volle che, i figliuoli e i liberti di coloro che
dannati aveva a morte la metà dei beni loro ad
esso in testamento lasciassero ; ai dannati stessi li-
bera facoltà di testare accordò , affinchè non scm--
brasse che per motiva di lucro gli avesse egli dati
a morte* ma non pertanto tutti i beni , -o la mag-
gior parte almeno invadeva. Che se per avventura
alcuno di quelli o ad esso o a Tigellino , meno di
quello che- speravano avesse lasciato , di alcun va-
lore non riuscivano quelle tavole testamentarie. Fi-
nalmente però tutti i beni dei condannati si aggiu-
dicò, e i figliuoli loro tutti insieme in un editto dan-
nò all’ esilio. Nè di questo pure contento , molti
ancora degli esuli diede a morte ]. Appena dunque
potrebbe indicarsi il numero dei patritnon) dei vivi
eh’ egli in vendita espose , dei donativi dei quali i
templi stessi di Roma spogliò (i). Imperciocché scor-
revano dovunque i messaggeri , non altri annunzj
' recando se non che questi era stato ucciso , que-
gli mancato era ai vivi j giacché fuori delle lettere
del principe alcun privato avviso non si portava.
Molte persone parimenti della primaria nobiltà ave*
va seco condotte Nerone nell’Àcaja, come se dell’o-
pera loro abbisognasse , affinchè colà perissero.
XII. Coloro che in Roma e in tutta l'Italia tro-
fi) Nerone nello spogliamelo de’ templi si servi dell’ opera del
liberto Aerato , il «piale per questo girò quasi tutto i’ impero , non
«bbliando nè pure i piccoli villaggi.
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vavansi, tutti come dcditizj confidò a cerio Elio suo
liberto , al quale di ogni cosa accordata era potestà
generale, cosicché anche senza consultare Nerone, i
beni proscriveva, ed in esilio le persone mandava ; nè
solo in questo modo trattava i plebei , ma ancora
comandava che persone si uccidessero degli ordini
equestre e senatorio. Così adunque in quel tempo
a due imperatori insieme soggiaceva 1’ imperio del
popolo romano , a Nerone e ad Elio, dei quali non
saprei dire per verità , quale si fosse il peggiore.
Perciocché l 1 altre cose tutte allo stesso modo face*
vano , in questo solamente dissimili , che il descen-
dente della stirpe di Augusto i citaredi imitava ,
1’ altro , liberto di Claudio , i Cesari. Perciocché Ti-
gellino io colloco in luogo di giunta, giacché con
Nerone trovavasi. Policleto poi e Calvia Crispinil-
la (i) , separatamente rubacchiavano , devastavano e
rapivano qualunque cosa che . potevano ; quello in-
sieme con Elio nella città , questa con Nerone e
Sporo che già portava il nome di Sabina , giacché
di questo la custodia e l 1 abbigliamento a Crispinil-
la , ( benché femmina fosse e nobile ), commessi si
erano ; ma tutti venivano da essa delle loro facoltà
spogliati.
(i) Questa donna , moglie di un uomo consolare e ricchissimo ,
benché minacciata di supplisio sotto Galba , Ottone « Vitellio,
riuscì a salvarsi. Elio da Dione viene nominalo Cesario, il che si-
gnifica liberto di' Cesare. Elio era alato già da Nerone subitilo pro-
curatore del patrimonio del principe nell'Asia con V. Celere, ed
era stato ministro della uccisione del proconsolo Silano.
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XIII. A Sporo poi dato aveva Nerone il nome di
Sabina , non solo perchè a cagione della somiglianza
che con essa teneva , era stato mutilato , ma anche
perchè nella Grecia con atto solenne non altrimenti
che Sabina 'da prima, sposato lo aveva j e Tigel-
lino , come la legge comandava , la cerimonia delle
nozze celebrò (i). Queste nozze da tutti i Greci fu-
rono solennizzate , augurj facendosi ( come consen-
taneo era alle nozze ) , e voti perchè da essi gene-
rati fossero legittimi figliuoli (a). In quel tempo due
insieme commercio avevano con Nerone , Pitagora
come marito , Sporo poi come moglie (3). Perciocché
(i) Sporo , che alcuni nominalo credono ancora Poppea, era sialo,
come si disse, privato della virilità, ausi Nerone, secondo Svetonio
ed Aurelio Vittore , studiato crasi di trasformarlo in femmina ; e se
crediamo a Dione Crisostomo, non erano mancali gli impostori, i quali
perla avidità del premio promettevano di riuscire in quella meta-
morfosi. Quello che qui ai dice del patto e dell'atto solenne, si
riferisce ai palli dotali , che come nelle nozze legittime si erano
stabiliti. Svetonio descrive Sporo vestito da donna, colle chiome
inanellate, e circondato di Lutti gli ornamenti delle Auguste, come
pure accompagnato dalle ancelle.
(a) Dieta jaetarcnt, tradusse il Reimàro, il che non porge alcuna
chiara idea della cosa , intendendosi in questo luogo le acclamazioni
votive ed i lieti augurj, che facevansi nei giuochi fescennini. Sve-
tonio nota tuttavia che alcuui dicevano , che felicemente progredite
sarebhnno le cose del mondo , se Domiiio padre di Nerone avesse
avuta una tale consorte.
( 3 ) Pitagora viene da Sveumio confuso con Doriforo. Con questo
aveva già Neroue contralto altre nozze nell’anno 817 di Roma, avanti
la morte di Poppea e l’ incendio di Roma. Tacito quelle cosse de-
cori ve , celebrate dopo il convito famoso di Tigellino, col flammeo,
con due auspici, col toro geniale e colle faci nusiati: parlando però
Tacito di Pitagora , dice che egli era uno di quella raaza d’ uomini
cen lamina La , dei quali Nerone dilettavaai.
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oltre l 1 altre cose tutte-, anche signora , e regina e
padrona nominavasi. £ come potrebbe alcuno dì
questo maravigliarsi ? se Nerone , nudi i fanciulli e
le fanciulle legando ai pali , delle pelli di qualche
fiera coprivasi , e sopra di essi gittandosi , quasi di-
vorare li volesse , la sua libidine saziava ? Tante in-
fami scelleratezze Nerone esercitava. I. senatori poi
salutava vestito di una tonacella florida e con una
sindone avvolta' intorno al collo (i). Nelle quali cose
egli talmente operava contro la rettitudine e T one-
stà , che fino di tuniche aperte pubblicamente vesti-
tasi. Dicono perfino che i cavalieri romani militanti
ai tempi di Nerone ,■ mentre annualmente passavano
a rassegna , per la prima volta facessero uso di bar-
datura (a).
XIV. Nerone poi , mentre nei giuochi Olimpici un
carro conduceva , caduto da quello essendo , cosic-
ché quasi infranto rimase per quella caduta, la co-
rona tuttavia ottenne ; per )a qual cosa agli Ellano-
dici diede cento mila sester^ , somma che Galba da
poi da essi rendere si fece (3). (Lo stesso all 1 indo-
• '
(i) Acche Svetonio noia , che vestito leggermente e col collo cinto
da nn sudario, scatto e scota cintura, -usciva in pubblico nell’ abito
6lcsso in cui nella sua camera giaceva , il che a grande indccenta
reputa vasi.
(a) Le bardature usale erano presso i Romani lungo tempo avanti
Nerone, e dalle parole di Oratio, di Virgilio e di Cesare si raccoglie,
ebe i cavalli copiiyansi di pelli, di correggie, di vesti e di tappeti;
forse rigtiardossi questa come cosa insolita nella solenne rassegna dei
cavalieri ; ai tempi però di Alessandro Severo i cavalli dell’ armata
erano nobilmente bardati. -,
(3) Svetonio narra , che ai giudici donò la cittadinanza romana
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1 13
vina Pizia , perchè alcuni oracoli aveva iti di lui
favore pubblicati , diede quattrocento mila sesterzj ,
il quale danaro altresì Galba le tolse in appresso ].
Sdegnalo però con Apollo che cosa alcuna di tristo
gli aveva predetto , o per altra cagione impazzito , il
campo Cirreo comperò (i) e diedelo ai soldati , e
l’ oracolo distrusse , uccise avendo alcune persone
all' orifizio stesso , dal quale lo spirito di Dio esala*
va (a). Gareggiò in quasi tutte le città nelle quali
e grande somma di danaro. Gii Ellauodici tratti dagli Elei erano al-
lora dieci , cd una cosa stessa erano cogli AgoDoleli.
(t) Cirra era una città della Focide vicina al mare non lontana
da Delfo e dal Parnasso. 11 campo Cirreo era stato consacrato ad
Apollo per consiglio di Solone j quindi irovansi presso gli amichi
menzionali il petto Cirreo, l’indovina Còrèa , gli antri ed i secceti
Cirrei. Urla Nerone oltre quel campo portò via ancora da Delfo 5oo
immagini di bronzo ; al tempo però di Pausania aucora rimanevano
il tempio e grandi statue di attico lavoro.
(a) Trovano i critici una aperta contraddizione tra il premio dato
alla Pizia per una grata risposta di Apollo e la sovversione del
tempio e dell’ oracolo medesimo. Forse converrà distinguere duo
epoche, non bene indicate nò da Dione, nè da Sifilino; e forse il
premio fu dato per la risposta menzionala da SveLOuio, colla quale
Nerone avvertito era di guardarsi dall’ anno settantcsimoicrzo. Cre-
dette -egli, che assicurala gli fosse con quella risposta una lunga
vecchiaja , mentre l’oracolo invece alludeva a Galba, che in età
trovavasi di 73 anni. — Questi racconti degli oracoli al tempo di
Nerone provano abbastanza la falsità dell’ •pioione , che cessato
avessero tutti dalle loro risposte dopo la età di Augusto o piuttosto
dopo la nascila di Cristo. Certo è che I’ oracolo di Delfo ebbe
lunghi intervalli di silenzio , ma ancora rispondeva ai tempi di
Giuliano e di Teodosio il grande. — Quello che Dione dice degli
uomini uccisi alla bocca dell’ oracolo, crede il Gesnero che in-
tendere si debba degli uomini uccisi , sanguinolenti e tuttora palpi-
tanti, gettati entro la porta o la bocca dell’ antro.
Jsiove, turno IV, I “ 01 Strutto. a
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n4
certami facevansi ; e colà qualunque volta d’ uopo
era del banditore , si servi di Cluvio Rufo , uomo
consolare (i). Non parlo di Atene e di Lacedemone,
alle quali città sole non accostossi , perchè nell' una
erano in vigore le leggi di Licurgo contrarie al di
lui divisamento j dall’ altra atterrito respignevalo la
favola delle Erinni (a). Il bando poi con queste pa-
role facevasi : « Nerone Cesare , vincitore di questo
certame, corona il popolo romano e il mondo al qua-
le impera (3). » Perciocché mentre la terra tutta di-
ceva essere in suo potere , toccava la cetra , gareg-
giava nélla voce col banditore e tragedie recitava.
XV. Al Senato poi sì grave odio portava , che
Vatinio per questo solo gradito sommamente gli riu-
sciva , perchè soleva dire : « Ti odio , o Cesare ,
perchè sei senatore ». (Perciocché io faccio uso delle
stesse parole che da esso erano pronunziate ). Tanto di
questi adunque (4) , quanto degli altri , si osservavano
(i) Da alcuni malamente appellato Clivio. Questi aveva già in
Soma adempiuto quest’uffizio dopo Gallioue, giacché proclamato
aveva che Nerone canterebbe Niobe. Quell’uomo ricco, facondo,
illustre nelle arti della pace, prefetto per qualche tempo della Spa-
gna Tarragonese e scrittore di storie, lodalo fu perché ad alcuno
sotto il regno di Nerone non arrecò nocumento.
(a) Le Erinni o le Furie un tempio avevano in Atene nell’Areo-
pago presso quello di Minerva , dove giudicato fu Oreste uccisore
della madre, e questa ò forse la cagione per cui Nerone temeva,
tanto più che Oreste colà diceva&i invaso dalle furie e ridotto alla
pazzia •
(3} Costume era dei vincitori di coronare la patria loro , onde
nel proclamare la vittoria, anche il nome della patria si aggiungeva*
(4) Intendi i senatori.
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accuratamente gli ingressi e le uscite , i gesti perfi-
no , i cenni e le acclamazioni j e coloro che sempre
con esso trovavansi , e che attentamente lo udivano
e lo acclamavano grandemente , colmati erano di
lodi e di onori ; gli altri o censurati erano con igno-
minia , o ad altre pene assoggettili. Molti adunque
non potendo più lungamente sopportare che gli spet-
tacoli dal mattino fino alla sera si prolungassero ,
simulavano di morire, e come morti fuori dai teatri
erano portati.
XVI. Di passaggio in questo suo viaggio nella Gre-
cia, stabilì di traforare l’istmo del Peloponneso. La
quale opera incominciò , benché di mala voglia i la-
voratori si prestassero, perchè ai primi che scavata
avevano la terra , sgorgato era da quella il sangue ,
e uditi si erano lamenti e muggiti ; e apparsi erano
molti spettri. Per la qual cosa Nerone pigliato aven-
do una zappa , alcun poco scavò egli stesso , il che
fatto avendo , gli altri indusse a dare opera neces-
sariamente al lavoro. A compiere quell’impresa gran
quantità di persone fu chiamata anche dalle stra-
niere nazioni (i).
(i) Trattavasi di aprire I’ istmo tra il golfo di Corinto ed il Sa-
ronico, per il quale difficile riusciva il trasporto delle navi auebe su t
carri. Quell’impresa tentata avevano di già il re Demetrio, Cesar#
dittatore, l’imperatore Cajo , e tentare la volle Nerone con esito
egualmente iufauslo. Largo era l’istmo di venti stadj, e per quattro
soli fu continuato lo scavo. Luciano era d’avviso, che alcuni ma-
tematici egirj avessero fatto intendere a Nerone, che aprendosi quel-
1’ istmo, sommersa si sarebbe Egina. Il Tillemont opina, che i pro-
digj narrati a questo proposito da Dione riferire si debbano all’ e-
poca dei precedenti tentativi e non a quella di Nerone . Luciano
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XYII. Alla quale cosa , siccome ad altre molte ,
d’uopo essendo di gran copia di danaro, ( poiché pa-
rimenti e grandi cose egli macchinava, e largamente
donava ) , e temendo egli uomini potentissimi i quali
avrebbero potuto assalirlo mentre quelle opere ese-
guiva , molli uomini buoni levò dal mondo. Dei
quali io gli altri tutti ometterò, (giacché appo esso
delitto erano a tutti comune la virtù , le ricchezze ,
la nohillà ; e per questo motivo o tutti la morte si
davano da sé stessi, o da altri erano uccisi ) ; farò
menzione soltanto di Corbulone , dei Sulpizj , e de-
gli Scribonj Rufo e Proculo. Perciocché essendo questi
fratelli (i) , e quasi eguali , nè mai cosa alcuna fatta
avendo separatamente , poiché per nascita , per te-
nore di vita e per facoltà erano congiunti , e lunga-
mente insieme l’ una e l’ altra Germania avevano
amministrata ; così unitamente chiamati nella Grecia
venuti erano , come se Nerone dell 1 opera loro ab-
bisognasse. £ costituiti essendo rei di delitti , che
propi j erano di quei tempi , nè lecito essendo 1’ ad-
durre le proprie ragioni, nè ammessi vedendosi tam-
poco al cespetto di Nerone , e da tutti perciò una-
osserva altresì, che Nerone impugnò una tappa d'oro, e pregò gli
Dei che ad esso ed al popolo romaoo vantaggiosa riuscisse quella
impresa, senta fare alcuna mensione del Senato.
(i) Questa frase di Dione esclude la sopposieiooe di alcuni, che
leggere si dovesse Sulpicio Rufo c Sciibonio Proculo e die Rufo
fratello fosse di Coi bidone. I fratelli Scribonii veggonsi nominali
anche da Tacito , e torse figliuoli erano di Scribonio Proculo sena-
tore , che fiuto fu in pezzi nella curia sotto il regno di Cajo ad
insinuaaione di Protogene.
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1 r 7
nimementl aprezzati , di morire preferirono , e ta-
gliate le vene si spensero. Corbulone poi , onorevo-
lissimamente chiamato ( poiché Nerone tra l’ altre
cose padre di sé benemerito lo appellava), dacché a
Cenerca fu giunto, fu da Nerone stesso comandato
che ucciso fosse , avanti che al di lui cospetto ve-
nisse. Perciocché Nerone , come alcuni dicono , sta-
bilito avendo di toccare la cetra , l’ ortostadio por-
tando , non soffrì di essere da Corbulone veduto in
quell’ abito (i). Ma questi, udito avendo il coman-
damento dì Nerone , impugnò la spada e fortemente
trafiggendosi , disse : « Degno ». Imperciocché al-
lora per la prima volta Peri-or suo conobbe di avere
perdonato ad un citaredo, e di essere ad esso ve-
nuto inerme.
XVIII. E queste erano le cose che nella Grecia
si facevano. E che giova di fatto il riferire che d’or-
dine di Nerone fu ucciso il ballerino Paride , perché
volendo da esso imparare 1’ arte della danza , non
riuscì? Che giova il dire di Cecinna Tosco? Il quale
punito fu coll’ esilio , perchè essendo egli prefetto
dell 1 Egitto , lavossi in un bagno eh 1 era stato dis-
posto a Nerone , allorché giugaere doveva in Ales-
sandria (i). Verso quel tempo però anche Elio in
(t) L’ ortostadio era l’ abito dei citaredi, cosi forse nomiuato,
non perchè tessuto fosse in modo particolare, ma perchè dritto
portavasi senza cintura.
(a) Era questi al dire di Svetonio figliuolo della autrice di Ne-
rone, e questi disegnato area di crearlo prefetto del pretorio invece
di Burro. >
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1 1 8
Roma, mentre moli' altre gravi scelleratezze cominci*
teva , anche Sulpicio Camerino , uno dei primarj
cittadini , ed il figliuolo di lui diede a morte ; ac-
cusati essendo questi , perchè duo dagli antenati loro
il cognome portando di Pitici, non cessavano di far
uso di quel cognome , il che come empietà riguar-
davasi contro le Pitiche vittorie di Nerone (i). E sic-
come promesso avevano gli angustani di erigergli
una statua del peso di mille libbre , tutti i cavalieri
forzò a contribuire a quella spesa (a). Difficile poi
sarebbe il rammemorare le cose che dal Senato si fa-
cevano. Perciocché da questo ordinati furono con
decreto tanti sacrifizj e tante supplicazioni, che nè
pure tutto 1’ anno poteva bastare a compierle.
XIX. Avendo Elio da prima più volte esortato
con lettere Nerone , affinchè colla massima cele-
rità ritornasse , nè secondato vedendosi , egli stesso
in sette giorni nella Grecia pervenne , e lo atterri
colfannunzio che una grande congiura contra di esso
nella città disponevasi ; dal che nacque eh’ egli partì
sollecito, verso l 1 Italia navigando. Speravasi bensì
eh’ egli perisse per la violenza delle procelle , ma
invano provarono molti una gioja per quella lusinga ;
(f) Sulpicio Camerino era stato proconsolo dell’Africa, ed accu-
sata allora presso Nerone medesimo, era stato assoluto.
(a) Pretendono alcuni che quella statua rappresentare dovessa
Nerone in abito da citaredo, perchè egli preferiva che vestite fos-
sero te sue immagini in quella forma. Non dice lo storico di quale
materia essere dovesse quella statua ; una lacuna suppone il Reimaro
per cui siasi omessa la parola £pvr*u , d’ oro $ io crederai che ba-
stasse il supporre quella statua d’ argento.
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giacché «alvo egli giunse , e questo stesso riuscì a
molti fatale , perchè la di lui perdita bramata o spe-
rata avevano.
XX. Allorché poi fu egli alla città condotto, una
parte del muro fu rovesciata , e intorno alla porta
distrutta ; poiché alcuni dicevano essere ricevuto in
costume che P una e I 1 * 3 altra cosa si facesse a colo-
ro, i quali riportate avevano ne’giuochi ginnastici le
corone (i). Primi di tutti entrarono quelli che le co-
rone da Nerone ottenute portavano ; seguivano coloro
che le tabelle sorreggevano sulla cima dell’ aste af-
fisse , nelle quali scritto era il nome del certame so-
stenuto , e come Nerone Cesare , primo di tutti a
memoria dei Romani , in quello era stato vincitore.
Veniva poi Nerone portato dal carro trionfale , nel
quale Augusto altre volte tanti trionfi aveva cele-
brati , abbigliato di una veste purpurea intessuta di
oro , e coronato di oleastro (a) , e innanzi a sé re-
cando il lauro Pitico. Insieme con esso portato era
sul carro Diodoro citaredo (3) , e in questo modo
(i) Svetonio descrive la pompa medesima , e dice che parte del
muro fu atterrata, come per i Gerouici si costumava.
(a) Questa era la corona olimpica , che più onorevole delle altre
tutte reputavasi; quindi Svelonio dice che sul capo portava la
corona olimpica, nella destra la Pitia. Qualche dubbio generare
possono le medaglie, nelle quali Eutimio laureato in un carro tirato
da quattro cavalli, tiene colla destra la corona d'ulivo, colla
sinistra un ramo di palma . Ma queste medaglie , che sono tra la
contorniate, appartengono ad un'epoca posteriore, e quindi possono
riferirsi ai giuochi in generale.
(3) Crede il Reimaro che dietro Nerone collocato fosse Diodoro,
perchè i trionfatori solevano i figli ed i congiunti tenere davanti ad ee«
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passò per il circo e il foro , accompagnalo dai sol-
dati , dai cavalieri, dal Senato; salì allora sul Cam-
pidoglio e quindi venne al palazzo , coronata essen-
do tutta la città , e piena tutta di lampade e di pro-
fumi. Tutti acclamavano e gli stessi senatori tra i
primi : *• Viva il vincitore Olimpico ! viva il vinci-
tore Pitico! Augusto! Augusto (i)! A Nerone Er-
cole , a Nerone Apollo ! Che solo tu sei vincitore
periodico , solo a ricordanza d’ uomini Augusto , Au-
gusto ! Oh sacra voce ! Beati coloro che ti ascolta-
no ! » E che fa d 1 uopo d’ involger la cosa in altre
parole ? non è egli meglio lo esporre le frasi stesse
che pronunziate furono ? Nè le cose che riferite ab-
biamo , disdorose riusciranno alla storia , che anzi
decoro ed ornamento arrecano , ove nulla si taccia.
XXI. Queste cose compiute avendo , i giuochi cir-
censi ordinò , e queste corone e 1’ altre tutte , che
nella gara dei carri riportate aveva , portò nel circo
ed all’ obelisco Egizio impose (a). Queste erano in
sul carro, e Commodo Antero o Sanlero dietro ai pose, cosicché
spesso il capo rivolgendo, in pubblico lo baciava. Io non mi arrealo
a questa congettura , perchè troppo stravagante era il capriccio di
Nerone, onde alle regole stabilite si conformasse, e già piè volto
i citaredi o i comici ammessi aveva alla sua società nelle pubbliche
solennità. ,
(') O tue è scritto nel testo, il che buonamente fu tradotto da
alcuui per ava. Il Reimaro , credette, che questo fosse il grido di
ammiraiiouc de’ latini vah : difficilmente si sarebbe potuto vollara
in italiano quella acclamasione , ette strettamente si riferisce all’ o-
vam <!e’ Ialini; quindi io ho credulo di poterla più genuinamente
esprimere col viva italiano -
(a) QueU’obeliseo che lavoralo credeva*! a’ tempi di Pitagora, era
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121
numero di roilleottocentoottantotto. Dopo di questo ua
carro condusse. Allora venne da esso certo Larcio
Lidio , e gli offerì diecimila sesterzj affinchè suo*
nasse la cetra ; i quali benché Nerone rifiutasse ,
sdegnando di fare cosa alcuna per mercede , tuttavia
quella somma Tigellino esigere volle da Larcio , mi-
nacciando di ucciderlo. Ma Nerone tuttavia entrato
nel teatro , e cantò , colla cetra accompagnandosi ,
c tragedie rappresentò ; cpi cavalli poi gareggiò sem-
pre da vicino , essendosi anche lasciato vincere al-
cuna volta , affinché molt’ altre volte veramente vin-
citore fosse reputato.
XXII. Questo genere adunque di vita menato aven-
do Nerone , e il principato in questo modo soste-
nuto , debbe ora da noi dirsi come rovesciato fosse,
e l’ imperio perdesse. Cajo Giulio Vindice , Gallo di
nazione ( gli antenati suoi erano Aquitani ), di stirpe
regia , per cagione del padre era appo i Romani 5
uomo dotato di grande forza di corpo e di molta pru-
denza , perito delle cose militari , ed a qualunque
illustre impresa audace (dominato altresì da ardente
stalo da Geropoli città dell’Egitto portato a Roma e collocato nel
circo d’ordine di Augusto nell’anno di Roma ?44 i e à
quello, che vedesi nelle medaglie e nelle pietre incise rappresentanti
il circo, e che dalle ruioe fu rialzato da Sisto V. ed ora trovasi
nella piazza di s. Maria del Popolo. Al detto di Dione però con-
trasta Svelonio , il quale quelle sacre corone asserisce collocate in
uDa camera intorno ai letti; forse furono colà trasportate dopo la
cerimonia del circo. Non dee sorprendere il numero di quelle co-
rone, perchè latte le corone dei citaredi che vinto avevano, fuiono
• Nerone portale.
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122
.brama di libertà e di gloria (i)). Egli era allora pre-
fetto alle Gallie , e riunita avendo una moltitudine
di Galli , i quali con frequenti esazioni di danaro
gravissime angherie da Nerone sopportate avevano e
soffrivano tuttora , sali sul tribunale e molte cose disse
contra Nerone, colle quali persuadeva loro di staccarsi
da esso . e di unirsi seco lui per attaccarlo. « Per-
ciocché , diss’egli , tutta la terra al romano imperio
appartenente espilò ; tutto il fiore del Senato romano
distrusse 3 la madre che stuprata aveva con incesto ,
trasse a morte ; per ultimo non conserva nè pure la
forma dell 1 impero. Perchè , sebbene stragi , rapine
ed insulti siansi da altri molti e spesse volte com-
messi , chi ridire potrà in modo convenevole tutti
gli altri suoi misfatti ? Io , io stesso ( credetelo amici
e compagni miei) vidi, sì io vidi quell’uomo (se
uomo nominare deesi colui che Sporo pigliò in mo-
glie , e sposa si fece di Pitagora) nello stesso re-
cinto del teatro egualmente come nell’ orchestra , ora
portante la cetra , l’ ortostadio ed i coturni , ora il
(i) Falsa è la medaglia riferita dal Meztabarba , nella quale Vin-
dice porla il nome di Giulio Cesare, non vedendosi se non Giulio
nominai* da tutti gli scrittori. I movimenti di Vindice combinati
furono con quelli di Galba nella Spagna , e i primi sintomi del ri-
volgimento apparvero nel mese di marzo dell’anno 8at, laonde er-
rarono Luciano e Filostrato , che Nerone ne credettero avvertito
nella Grecia , mentre non lo fu se non in Napoli. Vindice non solo
nella sua allocuzione lanciò le più crude invettive contra Nerone ,
ma negli editti ancora , nei quali cattivo citaredo nominollo , ed
Euobaibo invece di Nerone.
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socco (i) e la maschera. Spesso lo udii allorché can-
tava, o col banditore gareggiava*, lo udii, mentre
tragedie rappresentava ; lo vidi avvinto con catene ,
«trascinato lo vidi ; che anzi coll’ utero pregnante lo
vidi ed allorché partoriva ; tutte quelle cose , delle
quali favoleggiossi , dire , udire , soffrire , compiere
lo vidi. In questo stato adunque essendo le cose ,
chi mai Cesare quest 1 uomo , chi imperatore , chi
Augusto appellerà ? Non sieno profanati quei santi
nomi, che Augusto e Claudio portarono (a). Questo
(1) Altre volte il vocabolo greco iptfiórmi ai è tradotto per co-
turni, ma qui Irovansi le embale accoppiale coi coturni , il che
mostra che tra gli uni e le altre passare doveva qualche differenza ,
che il Reimaro disse di non potere intendere. Io credo, appoggiato
anche ad alcuni antichi scrittori, specialmente ad Erodoto ed a Se-
nofonte , che il nome di coturno fosse strettamente applicato al
tragico caliamento , e più generale ed applicabile a qualunque cal-
aamenlo scenico fosse quello di emboli o embale. Egli è per questo,
che io ho tradotto in questo luogo i coturni ed il socco , lauto più
che collegato essendo quel vocabolo con quello della maschera , sem-
brami di avere più da vicino raggiunta l’idea del greco scrittore. In
questa mia ipotesi regge ancora la distinsione introdotta dal Reimaro
stesso della forma e delta materia de’ coturni e delle embale • Se
queste furono di legno , come avvisa Io scoliaste di Luciano ; se
queste al dire di Senofonte applicaronsi anche ai cavalli , punto non
disconviene la loro forma e la materia da quelle che al socco si
assegnano. Che se sostenere si volesse col Reimaro, che coturnato
fosse Nerone citaredo , ancora sussisterebbe la mia congettura , per-
chè l'altro genere di caliamento alla maschera sovente comica meglio
converrebbe, e Vindice presso Dione stesso dice di aver veduto Ne-
rone nella scena interna munito delle embale e mascherato , e poscia
attore di tragedie.
(a) Omessi veggonsi Tiberio e Cajo , perchè riprovata ne era la
memoria.
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I 24
da noi si nomini piuttosto e ben a ragione Tieste ,
Edipo , AIcmeone , Oreste. Perciocché i personaggi
di questi sostiene , c i nomi loro in vece di quelli
assume. Per la qual cosa insorgete alfine una volta,
provvedete a voi medesimi , recate ajuto al popolo
romano, e a tutta la terra finalmente ridonate la li-
bertà ».
XXIII. Tutti approvano queste ed altre cose dette
da Vindice collo stesso avvisamento. Ma siccome
Vindice punto non si curava di farsi strada al prin-
cipato , indicò che deferire dovevasi l’imperio a Ser-
vio Sulpicio Galba , che per probità tra tutti distin-
guevasi e per gloria di belliche virtù, e nella Spagna
comandava , e grandi forze militari aveva ; e quel
Galba stesso fu dall’ esercito designato imperato-
re (j). Narrasi che Nerone in quel tempo per opera
del banditore proclamasse il premio di centomila se-
sterzi a colui che Vindice uccidesse , e che Vin-
dice risaputo avendolo , dicesse : « Chi uccidesse
Nerone e a me il di lui capo recasse , il capo mio
riceverebbe in luogo di mercede ».
XXIV. Mentre Vindice questo disegno nutriva ,
Rufo (a) che nella Germania comandava , di là si
( 1 ) Galba distinto crasi col suo valore nella Germania e uell’ Africa,
ma nella Spagna gli ai rimproverava una eccessiva severità ed anche
1’ avariaia. Plutarco però nota che egli compiangeva la sorte di co-
loro , che coudaonati vendevansi pubblicamente come schiavi dai
procuratori di Cesare ; che frenale nou aveva le salire lanciate di
continuo conira Nerone , e che per questo ottenuto aveva il favore
della provincia.
(a) Questi è L. Vergiuio Rufo, che tre volte già era stalo consolo.
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mosse per far guerra a Vindice. Egli poiché giunto
fu a Besanzone , cominciò ad assediare quella città
«otto il pretesto , che da essa non era stato ricevu-
to. Vindice si mosse pure a recare soccorso a quella
città, e non lungi da quella si accampò. L’uno e
]’ altro finalmente, scritte essendosi a vicenda alcune
lettere , vennero soli a colloquio , allontanato aven-
do qualunque testimonio. Colà nacque il sospetto
che 1’ uno e 1’ altro contra Nerone cospirasse. Dopo
di questo Vindice s’ inno! tra sollecito coll’esercito,
come se stabilito avesse di prendere la città j e l’ar-
rivo di quelle truppe vedendo i soldati di Rufo e
giudicando che contro di essi venissero , non co-
mandati si muovono all’assalto, ed all’impensata e
mentre ancora non ordinati erano attaccandoli , gran
numero ne uccidono (i). Il che Vindice vedendo , e
gravemente affliggendosi , egli stesso si diede la
morte. E questo fatto verissimo risulta , sebbene
molti , lacerato avendo con nuove ferite il cadave-
re , una falsa opinione in alcuni spargessero , che
egli non si fosse da se stesso ucciso.
XXV. Rufo pianse amaramente la di lui perdita ,
e il principato che facilmente acquistare poteva ,
poiché i Soldati in folla e con grandi istanze ad
esso lo deferivano , repudiò. Perciocché uomo era
destro ed attivo , e grandi forze ben disposte aveva.
I soldati rovesciate avendo e spezzate le immagini
di Nerone , Cesare ed Augusto lo salutavano. E sic-
(i) Secondo Plutarco ventimila , laonde Svelonio dice che Galba
tteiw rimasto ne era costernato.
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come nulla giovava a persuaderlo , uno dei soldati
con grande celerità scrisse quei nomi sopra alcu-
na delle di lui insegne. Ma quei nomi egli cancel-
lò , ed a stento finalmente ai legionarj acquetati
persuase che la cosa rimettere si doveva airarbitrio
del Senato e del popolo 3 sia eli’ egli non volesse
che 1’ impero ad alcuno dei soldati si deferisse
( giacché questo appartenere al Senato ed al popolo
diceva ) , sia che dotato d’ animo veramente eccelso,
il principato egli sprezzasse , per cagione del quale
gli altri con tutto lo studio adoperavansi (1).
XXVI. [ Nerone intanto avvertito della morte di
Vindice, mentre in Napoli dopo il pranzo slava guar-
dando una gara ginnastica , non mostrò alcun ram-
marico , ma dalla sua sedia slanciandosi , prestò a-
juto ad alcuno degli atleti 3 nè affrettossi di venire
in Roma , ma con lettere scritte al Senato sempli-
cemente scusossi , se assente rimaneva , per cagione
della sua raucedine , come se allora pure alcuna
cosa dovesse cantarsi. Nè allora soltanto , ma anche
da poi ebbe certamente la cura medesima della sua
voce, dei cantici e del toccare la cetra; nè per quel
motivo proruppe in alcuna esclamazione. £ se pure
alcuna strappata gliene aveva la necessità stessa ,
(1) Poteva facilmente Verginio assumere l’impero, perché anche
le nove legioni formale da Nerone in Italia, con ambasciate di con-
tinuo lo sollecitavano; nè di grandi forze aveva allora Galha, perchè
a stento , come Tacito narra , i soldati suoi nella fede loro incerti
conteneva ; quindi udita avendo la morte di Vindice , poco mancò
che egli stesso non si uccidesse. >
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come in quella occasione medesima , tosto si conte-
neva c si ricomponeva , come se al suono della ce-
tra cantare dovesse. Similmente tutte le altre cose
seguitò a fare secondo il costume , rallegrato inoltre
da quell’ avviso , giacché sperava che Vindice facil-
mente superato sarebbe (i) , e parevagli di avere
trovato occasione propizia per isfogarsi nelle stragi
c nelle rapine. Al lusso adunque abbandonavasi non
ostante ed alle dissolutezze , e il tempio di Sabina ,
che allora forse era stato compiuto , ornato di ma-
gnifici doni dedicò (2) con questa iscrizione : a sa-
bina DEA VENERE LE MATRONE FECERO. E questo era
verissimo , poiché edificato si era quel tempio col
danaro che in gran copia estorto aveva, le matrone
principalmente spogliando. Sollazzavasi intanto con
giuochi e trastulli , della qual cosa io recherò que-
sto solo esempio, tutti gli altri omettendo]. Chiamate
avendo di notte all’ improvviso le primarie persone
degli ordini senatorio ed equestre , come se da esso
pigliare volesse consiglio intorno alle cose presen-
ti , u trovai , disse ( perciocché io scrivo le sue pa-
ti) O piuttosto il di lui partito, perchè già ricevuto aveva l'av-
viso della morte di Vindice.
(a) Anche Tacito narra , che i divini onori erano stali a Poppea
per decreto concedali. Un tempio era ad essa già stalo innalzato in
Lesbo, e forse è quello che vedesi su di alcune medaglie. Non in-
tendo come il Reimaro dubitare possa della costruzione del tempio
di Lesbo , e supponga invece che un tempio a Sabina dedicato fosse
io Roma, mentre dal contesto dello storico parrebbe, che lo fosse
stato in Napoli. Non è strano altronde che Dea Venere sia detta
Sabina , giacché agli uomini si attribuivano allora frequentemente i
nomi degli dei. . .
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role medesime), come meglio e in modo più cano-
ro suonare possa un organo idraulico (1) «. Queste
cose egli faceva ancora scherzando , nè punto si cu-
rava che anche le porte e del monumento Augustale
e della sua camera da sè stesse spalancate si era-
no (2), nè che in Albano pioggia tale di sangue fosse
caduta , che fiumi di sangue scorrevano ; nè che il
mare per lungo intervallo ritirandosi dall’ Egitto ,
gran parte della Gilicia avesse occupata.
XXVII. Ma poiché udì che Galba era stato dai
soldati designato imperatore e che Rufo abbando-
nato lo aveva, da gravissimo timore fu colpito ; e
mentre in Roma le cose necessarie alla guerra dis-
poneva , Rubrio Gallo ( 3 ) mandò contro di essi con
( 1 ) Svelonio. narra , che rapidamente sbrigò la conferenza, e che
nel rimanente del giorno le persone illustri che chiamale aveva, con-
dusse intorno ad organi idraulici di nuova ed ignota costruzione ,
i quali mostrando, ragionò della natura e della difficoltà di qua’ la-
vori, e soggiunse che anche nel teatro esposta avrebbe quella mac-
china , se Vindice permesso lo avesse. Degli organi idraulici dei
quali si fa inventore Ctesibio Alessandrino, parlano diffusamente Erona
negli Spiritali e Vitrnvio. Un organo di questo genere si vede pura
presso il Tristano , il Mezzabarba e 1’ Avercampio. Gli antichi at-
tribuirono a quell’ organo un suono dolce e dilicato , il che fallace
prova il paragone istituito dal Mezzabarba, dell’organo della me-
daglia, con quello da esso vedalo nella Villa Estense di Tivoli,
giacché negli organi de’ moderni 1’ acqua ad altro nou serve se non
a supplire alla forza movente de’ mantici.
(a) Di questo fa menzione anche Sveleniti , il qnale altri prodigi
riferisce, diversi affatto da quelli da Dione rammentati. Più volte
nelle antiche istorie suppongonsi spalancate da esse medesime le
porte de’ mausolei e dei templi , e fino di quello di Gerosolima.
<3) Nerone atterrilo fu, al dire di Svetonio , udendo che staccali
da lui eransi Galba eie Spagne; rimase egli, soggiugne quello storico.
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alcuni altri , dai quali tutti parimenti abbandonato ,
deliberò di mandare a morte i senatori , e dato il
fuoco alla città , navigare verso Alessandria. « Per-
ciocché , diss’ egli , sebbene perdiamo l’ impero , pur
tuttavia in quella regione P arte nostra ci alimente-
rà; » tanto stolto egli era , che da privato facilmente
contava di poter vivere e di suonare la cetra. Ma
allorché si avvide di essere privato perfino delle
sue guardie ( perciocché allora in alcuni orti dor-
miva (i)) , sforzavasi di tentare la fuga ; e in una
veste vile involto , montò un cavallo egualmente
sparuto , dal quale portato , colla faccia coperta al
podere si ridusse nella notte di Faone Cesariano (a)
avvilito , perduto d* animo , e lungamente giacque senza voce e quasi
spirante. Tornato in sè , squarciò la veste, il capo si percosse , e
disse che tutto per esso era finito ; Plutarco aggiugne che uua tavola
rovesciò. Necessaria credendo egli una spedizione nella Spagna', i
consoli privò della loro dignità, e solo ad essi si sostituì , disposto
credendo dal fato che le Gallie vincere non si potessero se non da
un solo consolo. Chiese che le tribù urbane giuramento gli prestas-
sero , ma non rispondendo alcuno alla chiamala , i padroni obbligò
a fornire un numero di servi; Tacito aggiogne, che una legione ri-
chiamò dalla flotta , e gran numero di soldati dalla Germania, dalla
Britannia , e dall’ Illirio — Invece di Rubrio Gallo nomina Zonara
certo Petronio , cioè Petronio Turpiliauo, che di fallo Tacito dice
essere stato mandato a morte da Galba , come duce dei soldati di
Nerone, mentre Gallo non fu ucciso.
(1) Svetonio narra, che fattosi dare del veleno da Locusta, e ri-
posto avendolo in una pisside d’ oro , passò negli orti Serviliaui ,
dove altre volte soggiornalo aveva secondo Tacito.
(a) Questo Faone, detto da Eutropio Faonte, una villa posse-
deva tra la via Salaria c la Nomentaua , quattro miglia in circa di-
lìionE, tomo ir, I * pi Si fluirò. 9
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i3o
accompagnato da Faone stesso , da Epafrodilo e da
Sporo.
XXVIII. Le quali cose mentre da esso facevansi, si
grande terremoto avvenne , che sembrò sotto ad esso
sprofondarsi tutta la terra , e che tutte le anime di
coloro che da esso erano stati dati a morte , contro
di esso si volgessero. Narrasi eh’ egli fosse in quella
guisa conosciuto da alcuno che incontrato aveva per
via , e che imperatore da quello salutato , dalla via
divertisse , e in un canneto nascosto rimanesse fino
allo spuntar del giorno , affinchè da alcuno veduto
non fosse. E siccome sospetto gli era qualunque pas-
seggierò , e a qualunque voce , come se chiamato egli
fosse, trepidava, sia che qualche cagnuolo latrasse,
o un grido mandasse qualche uccelletto , o un vir-
gulto o un ramo mosso fosse dal vento , costernato
era grandemente ; nè per questo riposare poteva , nè
con alcuno degli astanti osava parlare , affinchè altri
non l’udisse; egli solo tra sè stesso gemeva, piangeva,
e molte cose in mente volgeva , ma principalmente
considerava , che mentre insuperbito erasi un tempo
per grandissimo numero di domestici, allora con tre
soli liberti nascosto sulla terra giaceva. Impercioc-
ché questa scenica azione preparata gli aveva un
Dio , affinchè non più gli altri matricidi , o vaga-
bondi , ma sè stesso rappresentasse. Allora cominciò
egli a dolersi delle scelleratezze che commesse ave-
lliate ria Roma. Tre compagni della fuga nomina Dione, quattro
ne accennano Eutropio, Giuseppe Ebreo ed Aurelio Vittore, il quale
solo nomina it quarto Mentito.
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1 3 1
va , come se annullarle potesse. E mentre Nerone
queste tragedie rappresentava , spesso a memori»
questo verso ripeteva:
Me tragge a tristo fato e moglie e padre (i).
Finalmente , siccome non sembrava che alcuno ne
facesse ricerca , entrò in una spelonca , nella qua-
le , affamato essendo , pane mangiò, e acqua bebbe
onde spegnere la sete , cose che mai aveva nè man-
giate nè bevute. Il che malamente sopportando ,
« questa , disse , è quella mia decozione ( 2 ) ».
XXIX. In questo stato essendo le cose di Nero-
ne , il popolo romano ampj saerifizj faceva , e gran-
dissima gioja risentiva , e molti il berretto portava-
no, non altrimenti che se la libertà conseguita aves-
sero (3). A Galba tutte le cose al principato attinenti
per decreto sono attribuite (4). Più di tutto accurata
( 1 ) Quel verso è dell’ Edipo ; ma con qualcbe diversità viene
riferito da Svetonio. Quetlo di Svetouio , forse a Nerone pii acco-
modato , potrebbe in questo modo essere tradotto :
Morte mi dan e moglie e madre e padre.
(a) Questa decoiiooe di Nerone notissima dice il Reimaro; egli
però invece di vorrebbe leggere ÌxiQ$»i , o xptr&ei ,
perchè t ^ 3- a » significa acqua colta o calda, invece della quale po-
trebbe intendersi anche acqua colta e quindi colla neve refrigerata.
(3) Molte cose già si erano fatte in Roma al dire di Svetonio ad
ignominia di Nerone ; dopo la sua morte inferocì il popolo conira i
Neroniani.
(4) Galba era stalo giudicalo nemico della repubblica , e Nerone
alcuna forza ripigliata aveva ; ma allorché la fuga egli tentava , Nin-
fidio e Tigcllino ai' soldati insinuarono , che Galba imperatore ac-
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i3a
ricerca si fa di Nerone. Ignoto rimasto era per qual-
che tempo , . ov’ egli andato si fosse 5 ma conosciuto
essendosi, contro di lui si spediscono cavalièri (i)j'
i quali udendo egli avvicinarsi, a coloro che con esso
lui trovavansi , ordinò che lo uccidessero 5 e sicco-
me essi non ubbidivano , disse gemendo : « Io solo
non ho nè un amico , nè un nimico (2) ». Avvici-
nandosi intanto sempre più i cavalieri , egli stesso
le proprie mani contro di sè rivolse , quelle parole
divolgate pronunziando : « Oh Giove ! Quale arte-
fice son io che muojo ! ( 3 ) » E siccome lentamente
clamassero. A Galba già ne era stato portato 1* avviso da un liberto
siculo , che Dione nomina Icelo , e il successivo SenatuseonsuUo
gli era stato pure mandato per meno di Vinio , che incontrollo in
Narbona.
( 1 ) Già era stato dal Senato dichiarato nemico , e quindi si spe-
dirono soldati a cavallo, che vivo lo conducessero, onde punito fossa
con esemplare supplizio,
(a) Queste parole da altri storici diconsi da esso pronunziate
avanti la fuga.
(3) Io mi sono alquanto scostato dalla lettera dell’originale per
raggiugnerne più da vicino il sentimento. Il Keimaro tradusse otti-
mamente in latino quelle parole : qualis arOfex pereo , le quali let-
teralmente voltate in italiano, non avrebbero in alcun modo espressa
1’ idea ni di Nerone, nè dello storico. Nerone pazzo, del che dirò
in appresso , voleva anche negli ultimi suoi momenti far sentire il
merito grandissimo, che egli attriboivasi come suonatore di cetra,
come cantore, come attore ec.; quindi in altre istorie gli si attri-
buisce un lamento , perchè morisse un cosi valente suonatore di lira.
Volle dunque Nerone esprimere questo suo pensamento, nè in altro
modo potevasi in italiano, se non come io l’ho recalo. Il vocabolo
di artefice corrisponde al greco originale ed ai costumi di quella etàj
ora si direbbe invece, quale artista io sono! . »
lo ho detto, elio Nerone sembravami un pazzo, e mi fa quasi ma-
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x 1 33
moriva, Epaficxlito lo Gnì(i). Vissuto era trent’anni
e nove mesi ( 2 ). Regnato aveva tredici anni , otto
mesi ; ultimo di quelli che da Enea e da Augusto
traevano l’origine. La di lui morte non oscuramente
fu annunziata dai lauri che da Livia erano stati
piantati , e da una specie di bianche galline , che
periti erano tanto gli uni come le altre avanti Ne-
rone (3).
ra viglia, che gli antichi scrittori, rammentando spesse volte le di Ini
stravaganze col noma di stoltezza , non abbiano in esso riconosciuta
nna vera e perpetua alienazione di mente , ed abbiano amato meglio
dipignerlo come uno scellerato ed un tiranno, e non piuttosto come
un forsennato. Volevano essi' forse adulare il Senato ed il popolo
romano, che per si lungo tempo tolleralo lo avevano; quindi è che il
nostro Cardano uno scritto pubblicò col titolo di Encomio di /Ve-
rone , tutte le cose notando , che fatto avrebbero onore atl’ ingegno
del quale non mancava , se le di lui azioni non fossero state dalle
continue pazzie sfigurate, e dai delitti che in un pazzo despota frequenti
riuscire dovevano.
(1) Convengono in questo Svetonio eZonara;il solo Aurelio Vit-
tore dice che Nerone assistito fu nell’uccidersi da Sporo. Epafrodito
però fu per quel fatto dannato a morte da Domiziano.
(3) Eutropio dice che mori nell’anno trenlesimosecondo dell’età sua,
n«l che concordano Svetonio ed Aurelio Vittore. Pretendono alcuni,
che morisse nel giorno 9 di giugno dell’anno 8ai di Roma; il -solo
Tillemont registra quel fatto sotto 1 ’ It di quel mese. Secondo un
calcolo piò accurato Nerone visse treni’ anni , sei mesi , meno quat-
tro giorni , il che mollo non si allontana dal detto di Sifilino. Un
errore gravissimo è certo quello del Cronicon Paschale , nel quale
Nerone morto si dice in età di 69 anni ; quella cronaca però com-
bina perfettamente eon Dione nell’ indicare la durala del suo regno.
( 3 ) Altri prodigi riferiscono Svetonio, Aurelio Vittore e Plinio.
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i34
DELLA
ISTORIA ROMANA
I) I
DIONE CASSIO
COMPENDIATA.
DA GIOVANNI SIFILINO
LIBRO LXIV.
SOMMARIO
Augurj fatti a Galba ; di lui avarizia ; insolenza dei
liberti, di Ninfidio , di Capitone: cap. i. a. —
Truculento di lui ingresso nella città ; supplizio
dei Neroniani : 3. — Della sedizione di Vitelllo
contro Galba : 4- — • L. Visone Cesare adottato da
Galba. Ottone invade V imperio : 5. — Morte di'
Galba e di Pisone: 6. — Ottone assume /’ impe-
rio con infelici auspici e vane lusinghe : 7 . 8 . —
Insolenza dei soldati. Pseudo-Nerone: 9 . — Combatti-
menti di Ottone e Vilellio presso Cremona: io. 1 1 — 1
Allocuzione di Ottone ai soldati: ia. r3. — Come
Ottone da sè stesso si uccidesse : i/\. i5. — Ca-
pacità di Valente : 1 6 .
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i 35
PERIODO DELLA ISTORIA.
Anni Anni
di Roma. di Galla.
Si 1 . Consoli. - C. Silio Italico
e Gaierio Tracalo Tur-
piliano 9. Giu.
Saa. Galba Ces. Aug. per la
seconda volta , e L.
Vinio. . -(■ i 5 . Geo.
I. In questo modo adunque Galba fu designato im-
peratore (i) , il che Tiberio gli aveva una volta pre-
detto , dicendo che egli ancora gustato avrebbe lo
imperio ; e la stessa cosa con chiarissimi prodigi
era stata indicata , allorché sembrato gli era di udire
la Fortuna dicente che già da qualche tempo stava
davanti alla di lui porta e da alcuno non era rice-
vuta entro la casa, che dunque se più oltre ritar-
dato si fosse , ad altri sarebbe passata. Più ancora ,
Anni
dell' Era V olgare .
68 .
6 ».
(l) Nato era Galba da parenti nobilissimi , da padre consolare,
e da madre che pronipote era di L. Mutnmio distruttore di Co-
rinto, in una villa presso Terracina nell’anno di'Roma j 5 i. Adot-
talo da Livia Occellina donna ricchissima , assunto aveva il nome
di Lucio Livio Occella, e portollo finché giunse all’impero. Era
«gli stato pretore nell’ anno 774 » 8 ne * giuochi Fiorali esposti ave-
va elefanti , forse per errore , come io ho altrove mostrato , detti
funamboli. Prefetto era stalo nell’ Aquilania ; console con Siila
nell’anno 786, prefetto della Germania superiore sotto Cajo , pro-
consolo dell’ Africa sotto Claudio , ed era stalo onoralo degli orna-
menti trionfali e di triplice sacerdozio. Imperatore fu eletto dal se-
nato il giorno 9 di giugno dell’anno Sai.
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i36
navi in quei giorni , cariche di armi, non dirette da
alcuno , approdate erano da loro posta nella Spa-
gna (i). Una mula inoltre aveva partorito ( 2 ) , la
quale cosa predetta gli avevano gl’ indovini , come
indizio del futuro principato. Mentri egli altresì sa-
crificava , il fanciullo che l’ incenso offerivagli , di-
venne canuto. Per la qual cosa dagl’ indovini fu
detto che l’imperio da un giovine trasferito sarebbe
alla di lui vecchiezza.
II. Quelle 'cose adunque che al principato spetta-
vano , gli erano state in questo modo annunziate.
Egli però con moderazione le cose dell’ imperio am-
ministrava , e punto gravoso non era , perchè non
da sé pigliato , ma a sè deferito l'imperio asseriva (3)
( e questo di frequente ripeteva) ; ma insaziabile era
nello accumulare danaro (4), come se di molte cose
( 1 ) Svelonio dice che quella nave era Alessandrina, sema gover-
natore , senza piloto, senza marinai.
(a) Questo sarebbe stato per altri anuunzio di sciagura , ma l’ a—
vo di Galba , al quale era stato promesso dopo molti anni l’imperio
nella sua famiglia , risposto aveva che questo avvenuto sarebbe al-
lorché una mula partorisse, il che presso i Romani passato era in
proverbio, come di cosa impossibile.
(3) Diceva egli, secondo Tacito, di avere ottenuto l’imperio col
consentimento degli dei e degli uomini , non per propria ambizione.
A questo forse appartengono le medaglie colle epigrafi : coacoama
raovtMCunvM e libektas RESTitvra , giacché da principio Galba
chiamossi legato del Senato e del popolo.
(4) La fama della di lui avarizia era precorsa in Roma , secondo
Svetonio e Tacito , benché ricchissimo fosse per la eredità della
matrigna. Siccome però io pubblico liberale mostravasi , e i tributi
condonava , sembra che io quella taccia incorresse principalmente
per cagione dei liberti. » <
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1 37 *
abbisognasse 5 « tanto era parco nello spenderlo ,
che non dramme ma oboli ad alcuni donava. I di lui
liberti però molti delitti commettevano , dei quali
la colpa sopra di esso rovesciavasi (i). Perciocché ,
sebbene basti nei privati che alcuna ingiuria non in-
feriscano , d’uopo è che i principi provvedano al-
tresì che malefici non sieno gli altri , poiché coloro
che soffrono un’ ingiustizia , non istanno a guardare
da chi l’ abbiano ricevuta. Galba adunque , benché
alieno egli stesso dall’ inferire alcuna ingiuria , tristo
nome aveva tuttavia , perchè a quelli di fare molte
cose permetteva , o quelle che da essi facevansi
ignorava. C'-'tu Ninfidio poi (2) e Capitone ( 3 ), tanto
pazzamente sotto quel principe insolentirono , che
Capitone } avendo un reo dalla di lui sentenza per
avventura appellato , mentre giudice sedeva , passò
tosto a sede più eccelsa , dicendo : « Va ? tratta la
tua causa innanzi a Cesare } » e a morte dannollo.
( 1 ) Tra i primi era Icelo , che con T. Vinio console e Cornelio
Lacone prefetto del pretorio il potere divideva. Fatto cavaliere,
portò il nome di Marziano Icelo , e quei tre ministri diceransi i pe-
dagoghi di Galha. *
(a) Della insolenza di Ninfidio , che figliuolo di Caligola nftmina-
vasi, che rapilo aveva Sporo dal rogo Blesso di Nerone per tener-
selo in luogo di moglie , che persino aspirato aveva all’ imperio ,
parla a lungo Plutarco; e il silenzio vedendo Idi Sifilino intorno a
buest’ uomo , mentre passa a ragionare di Capitone , il Aeimaro
suppose, che parlato ne avesse bensì Dione.
(3) Fontejo Capitone forse era quello che consolo seduto aveva
nell’ anno di Roma filo. Tacito accenna la di Ini avarizia e la di
lui libidine , nò punto lo esime dal delitto di avere egli pure aspi-
rato all’imperio.
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1 38
Per queste cagioni Galha li sottopose poi a giu*
dizio.
III. Mentre però avvicinavasi egli di presso alla cit-
tà , uscirongli incontro i pretoriani di Nerone , e ad
esso chiesero di essere nello stesso grado della mi-
lizia mantenuti. Da prima differire egli volle la ri-
sposta , come se di quella cosa deliberare volesse j
ina non ubbidendo essi , e anzi tumultuando , con-
ila di essi spedì 1’ esercito , e da principio uccisi ne
furono sino a 7000 , gli altri poscia decimati (1).
Galba adunque , sebbene oppresso fosse dall’ età pro-
vetta e dalle malattie (a), di mente sana era tuttavia,
nè voleva che un imperatore alcuna cosa forzato
fosse a fare. Per questa cagione ancora ai pretoria-
ni che un donativo chiedevano , non accordò la
domanda , e loro così rispose : « Io sono uso a set-
ti) Aopu<p*ptt porta l’ originale, il che veramente può tradursi
per pretoriani ; ma questi erano, come i Latini dicevano, classiarii o
soldati di marina, che Nerone da marinai trasformati aveva in sol-
dati , benché aquile ed insegne non avessero. Alcuni ne rimasero
sino al tempo di Ottone, il quale Ji distribuì nelle legioni onde ri-
durle a numero. Dubita tuttavia il Ammaro , che Dione abbia in
questo luogo confuso que' soldati di marina coi pretoriani , oppure
che Stillino per amore di brevità abbia sotto il nome di pretoriani
riunite due diverse milizie. Galba però i pretoriani ritenne e non de-
cimò , il che prova che in questo luogo iraltavasi soltanto de' sol-
dati delle flotte; nè forse lutti decimò Galba i soldati di questa mili-
sia, ma quella legione soltanto , ebe ancora insegne non aveva»
(a) Egli soffriva di arlrilide , e secondo Svetonio, aveva le mani
e i piedi storpiati tutti dal murilo articolare. Per questo si vedrà
iu appresso che i Romani ridevano , perchè la spada portasse pen-
dente dal collo , mentre maneggiarla non poteva.,
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i3g
gliere i soldati , non a comperarli (i) ». E siccome il
popolo con istanza domandava che Tigellino e gli altri,
i quali in addietro molti delitti per libidine commessi
avevano , condotti fossero al supplizio ; questo pure
non accordò , sebbene forse mandati gli avrebbe a
morte se non ne fosse stato dal popolo richiesto.
Comandò tuttavia che incatenati per tutta la città
condotti fossero , e poscia dati a morte Elio , Nar-
ciso , Patrobio e Locusta donna avvelenatrice ( 2 ).
Per le quali cose , siccome Galba grandemente lo-
davasi , così si rideva smascellatamele perchè un
uomo già vecchio ed attratto nei nervi , per tutto
il viaggio portata avesse la spada sospesa al collo.
IV; Dee però ora riferirsi quale fosse il fine di
sua vita. ( Venuto essendo Rufo da Galba (3), nulla
( 1 ) Un dono era stato promesso ai soldati urbani e pretoriani da
Ninfidio in nome di Galba di 3o, 000 monete, di 5ooo alle legioni
delle provincie ; e se questo ottenere non putevasi , speravano i sol-
dati di ottenere quello almeno che da Nerone ricevuto avevano.
(a) Di Elio si è parlato altrove. Non è ben chiaro quale fosse
quel Narcisso , diverso certamente dal liberto di Claudio , che già
era stato mandato a morte sotto Nerone; familiare era però quel
nome ai liberti degli imperatori. 6i è 'pure falla menzione altrove di
Locusta , e Plutarco a tulli quei nomi aggiugne Policleto e Pelino.—
L'essere condotti incatenati per la città ed anche per il circo, era
la pena ordiuaria dei delatori , della quale il popolo sommamente
godeva, prorompendo in acclamaxioni di gioja.
(3) Rufo , dopo il decreto del Senato , non solo aveva fatto tir
conoscere Galba imperatore da suoi soldati , ma bene accollo aveva
il successore mandatogli da Galba stesso. Anche Svelonio e Plu-
tarco nolano che Rufo fu da Galba negletto , e cosi lo furono i
Germani , mentre i Galli all’ Incontro ottennio avevano il condono
dei tributi e la romana cittadinanza, le quali cose peto comperalo
credevansi con grandi somme da Vinio.
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i4o
da esso conseguì che degno fosse dei meriti suoi , se
pure alcuno per avventura non tenga in luogo di be-
nefizio che Galba sopravvivere lasciasse un uomo, che
spesso imperatore era stato salutato. Del rimanente
Rufo dagli altri uomini somma gloria riportata avreb-
be , e molto maggiore per avere ricusato l 1 imperio ,
che stata non sarebbe per averlo accettato ). I sol-
dati. pertanto di Rufo, che nell’ una e nell’altra
Germania trovavansi , gravemente sdegnati perchè
niun favore da Galba ricevuto avevano , di sfogare
sforzavansi con altra persona la cupidigia loro , che
con Rufo saziare non potevano. E questo essi fece-
ro, imperatore proponendosi Aulo Vitellio (i) , che
in quei tempi nella Germania inferiore comandava ,
c ad esso rubellati si' rivolsero , avendo soltanto ri-
guardo alla di lui nobiltà. Nè punto essi curaronsi
che consorte egli era stato delle dissolutezze di Ti-
fi) Il successore di Bufo , detto Fiacco Ordeonio, sprezzato era
dai soldati, e mentre costrignerli voleva a prestare il giuramento,
essi nel primo dì di gennajo dell’ anno 8an di Roma , rovesciate le
immagini di Galba , la fede giurare vollero soltanto al Senato ed al
popolo romano. Allora fu Vitellio proclamato imperatore dopo tre
giorni dagli Agrippinesi , e quindi da tutto 1’ esercito. Plutarco narra
che Vitellio aggravalo dagli eccessi de’ cibi e delle bevande , il no-
me assunse di Germanico, invece di quelli di Cesare o di Augusto.
Nato era egli però da un padre che tre volte era stato consolo, e
sotto il consolato di Druso e di Pi orbano Fiacco , era States colmalo
di onori, fatto proconsolo dell’Africa, e quindi amministratore
delle opere pubbliche. Familiare divenuto era a Cajo , perché eser-
citato nel condurre i carri , a Claudio perchè il giuoco amava , a
Pierone finalmente , perchè in nome del popolo pregato lo aveva a
gareggiare co’ citaredi. Svetonio lo descrive come uomo goloso , pro-
digo, e perciò carico di debiti.
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V
J 4*
berlo , e cbe la ili lui vita tuttora era conforme al-
l’antica libidine. Che anzi per questo appunto giu-
dicarono che egli maggiormente convenisse ai disegni
loro. Lo stesso Vitellio in vero di sè non aveva così
alta opinione; perciocché , deridendo egli gli astro-
logi , con questo argomento credevasi di comprova-
re la loro ignoranza , perchè essi dicevano dovere
egli un giorno essere, imperatore. La stessa cosaudita
avendo anche Nerone , si fece beffe di lui , e sprez-
zollo per tal modo, che nulla di serio contro di esso
tentò.
V. Galba , conosciuta avendo la sedizione di Vi-
tellio y adottò L. Pisone (i) , giovane nobile, dotato
di grandissima modestia e prudenza, e Cesare lo de-
signò. Per lo che sdegnato Marco Salvio Ottone ,
perchè egli in vece adottato non fosse da Galba ,
diede occasione ai Romani di nuove infinite cala-
mità. Di tanto onore presso Galba godeva , che nel
giorno stesso in cui questi morì, mentre sacrificava,
solo tra i senatori assisteva. La qual cosa fu una
delle principali cagioni di quell’avvenimento. Percioc-
ché , dicendo un aruspice a Galba che insidie gli
si tramavano , ed ammonendolo quindi affinchè non
(i) Età questi L. Calpurnio Pisone Frugi Liciniano, nato da Licinio
Crasso console nell’ anno 780, e da Scribonia , nepote di Sesto Pom-
peo. Galba lo adottò , perchè vedeva cbe la sua vecchiezza e le sue
infermità al disprezzo lo esponevano , sebbene Vinio gli proponeste
di adottare Ottone, [celo di scegliere invece Dolabella. Una allocu-
■ione fece allora Galba a’ soldati, Cesare proclamando Pisone ; nota-
rono però gli storici che alcun donativo non promise , e che quei
giorno era piovoso e procelloso.
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uscisse , Ottone, questo udito avendo , di là subito ,
altra cagione simulando partì , e nel recinto del
campo condotto da pochi soldati , che con esso con-
giurato avevano , persuasi avendo , o piuttosto con
liberalità corrotti gli altri , che già a Galha avversi
erano , l' imperio all’istante da essi , e quindi dagli
altri tutti ricevette (i).
VI. Queste cose avendo Galba risapute , alcuni
pochi mandò all’ esercito , quasi lusingandosi di ri-
muovere colla persuasione i soldati dal loro consi-
glio. Intanto uno dei soldati medesimi , accorrendo
con una spada nuda ed insanguinata, gli disse: «Sii
pure di buon animo , o imperatore , perchè io già
ho ucciso Ottone , cosicché più non ti sovrasta al-
cun pericolo ». Questo come vero reputando Galba ,
rispose : « E chi ti comandò di fare tal cosa ? »
Dopo di che nel Campidoglio egli se ne andò, affi-
ne di offrire sacrifìzj. Ma mentre a quello avviavasi,
«
(1) M. Satvio Ottone nato era il di a 3 di aprile dell’anno 785.
Egli era stato consapevole e mediatore degli amori di Nerone con
Atte e con Sabina ; aveva 'però la Lusilania con grande moderaxione
governata per dieci anni , e tra i primi presentalo crasi a Galba ,
offerendogli danaro, masserisie e servi, per il che dolevasi che Pi-
aone gli fosse stato preferito. Plutarco nota che escluso fu da Galba
appunto per i suoi costumi e per la quantità de 1 suoi debili. — Il
sacrifixio del quale qui si ragiona , offerivasi da Galba nel tempio di
Apollo che era situato in una parte del palano fabbricato da Au-
gusto. Svelonio narra che un liberto, detto da Tacito O/iomasto ,
presentossi nel tempo-dei sacrifizio , annunziando che venuti erano
gli architetti a proporre ad Ottone l’acquisto di una casa, laonde
egli usci tosto per vederla. Altri dicono che partisse, simulando di
essere sorpreso dalla febbre.
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143
gli si fecero incontro in mezzo al Foro cavalieri e
fanti , e colà un vecchio , pontefice ed imperatore
uccisero , in presenza di molti senatori e di molti
plebei. Il cadavere poscia insultano con ogni genere
di ignominia, ed il capo tagliando dal busto, su di
un’ asta lo conficcano. Galba però , scoccati essen-
do i dardi nella sedia stessa nella spiale era porta-
to , fuor di quella guardando e già ferito trovandosi ,
questo solo disse : « E quale cosa io vi ho fatto di
male ? » Sempronio Denso centurione , finché potè ,
gli prestò ajuto , ma non solo non giovò punto a
Galba , ma egli altresì fu ucciso. Del quale il nome
io ho appunto giudicato opportuno di scrivere, per-
chè sommamente degno a me sembrava di memo-
ria. Perciocché ucciso fu anche Pisone , e molti al-
tri lo furono , che pure all’ imperatore alcuno ajuto
non prestavano. Ma Pisone fu altresì condotto al
supplizio , perchè Cesare era stato designato. Vis-
suto aveva Galba settantadue anni , e regnato nove
mesi e tredici giorni (i).
(i) Anche Pisone tentato aveva di persuadere co’ suoi discorsi
una coorte. — Da Tacito viene nominato Giulio Attico il soldato,
che presentato erasi a Galba colla spada insanguinata. — Nel Cam-
pidoglio forte recavasi Galba onde incontrare coloro, che dopo I’ uc-
cisione di Ottone venivauo a prestargli ossequio. — Il centro det
Foro dove Galba fu ucciso, credcsi quello ov’ era una volta il lagu
di Curzio , che poscia fu colmato. — Il soldato che primo feri Gal-
ba , da alcuni vien detto Camucio , da altri Terenzio , da altri Ar-
cudio , o Lecanio o finalmente Fabio Fabaio. Tacito nota che molti
come autori di quel fatto , premio chiedevano da Ottone , il quale
tutti inandolli a morte. — Il capo di Galba fu venduto ad un li-
berto di Palrobio , da Galba medesimo dannato a morte , e dopo
molti insulti leJcnto da Argio suo dispensiere , che colla altre mcm-
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VII. Questa fine ebbe Galba , e giusto era cbe
non lontana toccare dovesse ad Ottone la pena di
quella uccisione , il che egli ben tosto presentì. Per*
ciocché , offerendo egli il primo sacrifizio , d’ infe-
lice augurio trovaronsi le viscere (i). Cominciò adun-
que all’istante a pentirsi del fatto , e disse : « £ che?
Era forse d’ uopo eh’ io dessi fiato a lunghe trom-
be ? (a) » Era questo un volgare proverbio , appli-
cato a coloro che alcuna cosa facevano ad essi me-
desimi nociva. Poscia nella notte in sogno talmente
fu atterrito , che cadde dal letto e le guardie sve-
gliò , che innanzi alla di lui camera dormivano , le
quali accorrendo , in esso al suolo giacente inciam-
parono. Ni però allora, assunto avendo una volta lo
imperio , potè ritrarre il piede ; ma in quel propo-
sito rimase , e il fio ne pagò , sebbene molte cose
con moderazione disponesse , affine di conciliarsi
1’ animo del popolo. Non già che di quell’ indole
egli fosse o a quei costumi accomodato , ma perchè
bra lo seppellì nei suoi orti su la via Aurelia. Plutarco sembra con-
venire con Svetonio nel racconto cbe Galba stesso il capo o il collo
agli uccisori presentasse , Tacito dice che la sedia in coi trovavasi,
fu dai portatori per timore rovesciata. - Oltre Pisone che ucciso fu
nel tempio di Vesta, furono trucidati altresì in quel giorno Lacone,
Vinio, allora consolo con Galba, e Icelo , e i loro capi portati fu-
rono egualmente in cima alle aste. 11 capo di Pisone venne con pre-
ghiere o con danaro recuperato dalla di lui moglie Verania.
(i) Così io ho amato di tradurre, antiebè col Reimaro exla mi-
nus felicia.
(a) Delle lunghe trombe facevasi uso nei sacrifìsj , laonde potreb-
be quel detto in questo modo interpretarsi : Quale bisogno havvi di
sacrilìsio, se questo è di tristo augurio ?
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esulcerato essendo tuttora lo stato delle cose a cagione
di Yitellio , gli altri non voleva in egual moda of-
fendere (i).
Vili. Ad Ottone furono dal Senato per decreto
assegnate le cose tutte che al principato appartene-
vano. Egli veramente diceva che forzato dai soldati
e contra il suo volere, era stato introdotto nel re-
cinto del campo, e che colà corso aveva grandissimo
pericolo , perchè al desiderio dei soldati non pre-
stavasi. Cominciò poi ad usare parole placide e miti,
e ad affettare modestia con gesti simulati; così pure
a gettare a tutti baci colle dita, e finalmente a promet-
tere grandi cose. Sebbene oscuro pon era che egli re-
gnato avrebbe con petulanza ancora maggiore e mag-
giore crudeltà che Nerone [ per là qual cosa anche
il di lui nome tostamente assunse ] ; se non che al-
lora a molti senatori in parte condonava la pena alla
quale erano dannali , in parte ancora varj doni conce-
deva. Di lui costume era lo intervenire sovente ai tea-
(i) Tra i tratti di moderaxione di Ottone si accenna, che Mario
Celso sottrasse al furore de’ soldati ; che la libertà accordò di sep-
pellire i cadaveri degli uccisi ; che cortesemente parlando nel Sena-
to , una parte del consolalo suo cedette a Vergitelo Rufo ed a Pom-
peo Vopisco , lasciando che succedessero i consoli da Nerone e da ■
Galba destinali , e ai piò degni sacerdozj concedendo ; che richiamò
i senatori esiliali da Galba, e a tutti restituì i bijpi e gli onori lo-
ro; che a molte proviùcie della Francia e della Spagna, non che
della Cappadocia e dell’ Africa, accordò donativi , diritti , privilegj
ed altri favori, e finalmente che la madre e i figliuoli di Vitellio,
che in Roma trovavansi , non molestò.
DtOKH, tomo IV, I.° VI SlFILlKO. i 0
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tri, il blandire il pòpolo , l’accordare la cittadinan-
za agli stranieri e molte altre cose promettere, colle
quali arti tuttavia non potè guadagnare nè farsi li*
gio alcuno , se non che pochi suoi simili. Percioc-
chè già erano tutti spaventati , perchè [ ristabilite
aveva le immagini dei condannati , e ] per quel
genere di vita che egli stabilito aveva , poiché an-
cora con Sp oro commercio manteneva , e dei Nero-
niani servivasi (i).
IX. [ Il delitto però , per cui maggiormente Ottone
odiavasi , quello era di avere renduto venale 1’ im-
perio , e la città esposta all’ audacia di uomini scel-
leratissimi } così pure di disprezzare il Senato ed il
popolo , e di avere persuaso ai soldati che presso
di essi la podestà risedeva di creare e di trucidare
i Cesari ]. I soldati adunque , colla quantità dei do-
nativi e colla eccessiva adulazione a tanta licenza e
scelleraggine ridotti aveva , che alcuna volta repen-
tina irruzione facevano nel palazzo, nell’ora stessa
in cui molti senatori presso Ottone cenavano, e
quelli uccidendo , che di respignerli tentavano , al
luogo giugnevano finalmente ove il banchetto si ce-
(t) .Anche Svetonio noia che dalla plebe nominato era Nerone,
e che non mostrò di ricusare quel nome, anzi quel cognome as-
sunse nei diplomi e nelle prime sue lettere ad alcuni prefetti della
provincie. — Le statue che egli lasciò ristabilire, furono quelle di
Nerone; Tacito soggiugne ancora quelle di Poppea. Accenna altresì
Tacilo che sotto Ottone boriva Crescente liberto di Nerone , e che
Giulia Crispinilla ministra delle libidini di Nerone, era stata da Ot-
tone salvata dalla morte, mentre il popolo con grande istanza il
supplizio ne chiedeva.
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lebrava ; che anzi tutti coloro , che dentro erano ,
uccisi avrebbono , se quelli già da prima levatisi da
mensa non si fossero in qualche luogo nascosti. Per
la qual cosa Ottone accordò ad essi ancora quantità
di danaro , non altrimenti che se quel delitto com-
messo avessero eccitati dalla premura che per esso
nndrivano (i). Verso quel tempo fu preso un tale ,
che simulava di essere Nerone , il di cui nome ve-
ramente non fu noto a Dione ; ma finalmente quel-
1’ uomo fu dannato all’ estremo supplizio (a).
X. Ottone dopo di avere più volte esortato Vitel-
lio a farsi di lui compagno nel principato , vedendo
che persuaderlo non poteva, stabili di muovergli aper-
tamente la guerra. Mandò adunque contro di esso
1’ esercito , e di questo molli duci pose alla testa ,
la quale cosa fu ad Ottone principale cagione di
varie calamità (3). [ Perciocché Ottone dalla pu-
l ,
(i) Tacito stesso accenna che tutto facevasi ad arbitrio dei sol-
dati. Per la jrruaiooe fatta nel palazzo narrano altri storici che Ot-
tone donò adi essi cinquemila monete ; che però in una allocuzione
esortolli a moderare il loro coraggio e il loro amore verso di lui,
e che due di essi fece punire.
(a) Secando Tacito , fu quello un servo del Ponto o un libertino
dell’ Italia , perito nel canto e nel suono della cetra , per le quali
cose e per la simighanza del volto, molto a Nerone accoslavasi.
Imprigionato fu ed ncciso sotto Calpurnio Asprenate , prefetto della
Galazia e della Panfilia; tanto piò che i Parli mossi eransi a se-
condarlo, come fecero pure cogli altri falsi Neroni. Di questi uno
se ne vide sotto Domiziano , altro sotto Tito ; e degno è di osser-
vazione che molti Romani credevano , molti bramavano che Nerone
ancora vivesse. I cristiani secondavano quella credenza , persuaden-
dosi che Nerone tornare dovesse nella persona dell’ Anticristo.
(3) Plutarco dice che mentre Ottone e Vilellio tentavano di ac-
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gna si ritrasse , dicendo che l 1 animo non gli regge-
va di vedere un combattimento eseguirsi tra i cit-
tadini , come se egli con buone e pacifiche arti con-
seguito avesse l’imperio, e trucidati non avesse nella
città stessa i consoli , e fino Cesare medesimo impe-
ratore].' Perirono nell’ una e nell’ altra parte nelle pu-
gne sostenute presso Cremona quarantamila uomini (i).
Avanti però che la battaglia si cominciasse , narrasi
tra gli altri prodigi allora avvenuti che un uccello di
esimia grandezza di che mai non erasi veduta da
prima l’ eguale , per molti giorni fu osservato (2).
cordarsi tra di loro, i soldati quistionavano se scegliere non dove-
vano il più illastre , o la scelta rimettere al Senato . — I preparativi
di'guerra furono compiuti Colla maggiore sollecitudine, e l'armata
fu pronta, secondo Tacito, nel mese di marzo. <— Duci eletti fu-
rono Svetonio Paolino , Mario Celso , Annio Gallo , e Licinio Pro-
culo.
( 1 ) Sebbene il Reimaro non abbia mostrato di dubitare di lacuna
in questo luogo , io sono d’ avviso che nna grandissima debba tro-
varsene certamente, forse laddove si attacca il compendio di Si-
filino col frammento brevissimo di Dione. Tre battaglie non gran-
di , ma com’ egli scrive , mediocri , rammenta Tacito , date l’ una
presso le Alpi , 1’ altra a Piacenza , la terza ad Castoris , forse presso
un bosco, nn delubro, un tempio, o un municipio detto di Castore.
In questi combattimenti vinse Ottone , poi vinto fu in giornata cam-
pale presso Bedriaco , per frode , come dice quello storico , o piut-
tosto per la discordia de’ capi e l’ insubordinazione de* soldati. Sem-
bra impossibile che una linea di tutto questo non si trovi nell’ epi-
tome di Sifìtino. In una medaglia presso il Tristano trovasi victo-
rii othoxis , ma questa debb’ essere riportala contro i Sarmati,
non contro i Vitclliani .
(a) Tacito dice che un’aquila sembrava col suo volo indicare la
via'aU’ armala di Vitellio. Altri prodigi riferisce quello storico av-
venuti con sinistro presagio di Ottone.
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* 4 »
XL, Superati essendo gli Oltoniani , uno dei cava-
lieri la perdita della battaglia ad Ottone annunziò ,
al quale fede non prestando coloro , che presenti
tiovavansi ( che forse molti in quel luogo si erano
riuniti) , ed ora fuggitivo , ora nimico nominandolo ,
gridò egli : « A Dio piacesse , o Cesare , che falso
fosse questo annunzio ! Volontieri } te vincitore es-
sendo , la morte incontrerei ; ora desolato morrò ,
affinchè non sembri eh’ io fuggito sia per salvarmi j
tu però , siccome i ninìici molto non tarderanno a
giugnere , determina quello che da te debba farsi. »
Queste cose dette avendo , colle proprie mani si uc-
cise (i).
XII. Il che fatto essendo , credettero tutti vero il
racconto , e tutti pronti mostraronsi a rinnovare la
pugna. Perciocché molti già erano , e presenti trova-
vansi le legioni della Pannonia, e, quello che maggior-
mente dee in tali cose considerarsi , Ottone amava-
no , e la singolare loro benevolenza , non colle pa-
role soltanto , ma coll’ animo ancora manifestavano.
Ottone però li contenne , finché tutti gli altri ac-
corsi fossero all’ annunzio del fatto avvenuto. Allora
finalmente Ottone , poche parole dette tra sé stesso
(i) La iicssa cosa a -un di presso narrasi del centurione Giulio
Agreste , da Vitellio spedito esploratore dopo la sua disfatta sotto
Cremona , mentre con Vespasiano lottava . Non intendo come il dot-
tissimo Reimaro da questi , atti non tanto di disperazione quanto di
coraggio , c degnissimi certamente di un soldato romano offeso nel-
1’ onore , traduca per prova semplicemente del disprezzo che allora
facevasi della vita, la quale temerariamente, coro’ egli dice , profon-
de vasi.
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V
i5o
avendo , presso i soldati tra P altre questa allocu-
zione pronunziò :
XIII. u Basta, diss’ egli, -basta quello cbe si è
fatto. Perciocché la guerra civile io detesto , e cari
mi sono tutti i Romani , sebbene il mio partito non
seguano. Vinca Vitellio, poiché così piace agli Dei
immortali ; salvi sieno ancora ed illesi i di lui sol-
dati, poiché questo è il piacer mio. Perciocché molto
meglio è , e assai più giusto che uno muoja per
molti , anziché per uno molti periscano. Io dunque
amerei meglio essere Mucio , ,o Decio , o Curzio , o
Regolo , che non Mario , o Cinna , o Siila , giacché
non giova tutti gli altri ad uno ad uno rammentare.
Per la qual cosa non vogliate , no , forzarmi ad es-
sere uno di quelli eh’ io detesto : non vogliate invi-
diarmi , se le gesta di coloro eh’ io lodo , mi studio
di emulare. Voi dal vincitore recatevi , e a quello
prestate pure omaggio. Io da me stesso mi libererò
in modo che gli uomini tutti per la cosa stessa in-
tendano , essere di tempra tale P imperatore da voi
Irascelto, che non già voi per sé stesso, ma sé
stesso per voi sacrificò. »
XIV. Tenuto avendo egli questo discorso , i sol-
dati presi furono d’ammirazione per quello che udito
avevano ; nè lasciavano di commiscrare la di lui
sorte , massime se alcun? risoluzione contro sé stesso
pigliata avesse , si diedero quindi a lagrimare , a
prorompere in lamenti , a chiamarlo padre e ad
assicurarlo , che più caro era loro dei figliuoli e dei
genitori 5 « la tua salvezza , dicevano , è la salute
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i5i
nostra ; per te tutti volentieri morremo ». E gran
parte del giorno già essendo in que’ parlari trascorsa ,
e chiedendo Ottone che lecito gli fosse il permutare
la vita colla morte, nò essi tuttavia permettendolo,
fatto da prima silenzio , così egli disse : « Non posso
io essere da meno di quel soldato , che voi stessi
vedeste darsi la morte , perchè allo imperatore recato
aveva l’ annunzio della sofferta disfatta. Io dunque
lo seguirò , affinchè più una simile cosa non vegga
o non oda in avvenire. Se voi mi amate , permet-
tetemi di morire , come a me piace ; non vogliate
forzarmi a vivere contro il voler mio , ma andate
dal vincitore , e di quello , colle lusinghe , studiatevi
di conciliar la benevolenza. »
XV. Queste cose dette avendo , si latrasse nella
sua camera , e imbrandito avendo un pugnale , si
uccise (1). Sollevato avendo quindi i soldati il di lui
corpo , lo seppellironó , non senza grave lutto j al-
cuni altresì dopo di esso (a) si diedero da sè stessi
la morte. Questo fine della vita ebbe dunque Ot-
tone , e vissuto aveva anni trentasette , meno undici
0) Svetonio, Tacito e Plutarco narrano che sopravvisse ancora
nella notte , e che collocalo il pugnale sotto al capezzale , fu preso
da grave sonno , e solunto all' albeggiare del giorno svegliatosi si
trafisse ; Svetonio soggiugne che quel pugnale mandò Vitellio alla
colonia Agrippinense , perché dedicalo fosse a Marte.
(a) Forse sulla sua tomba. Nola Tacito, che molti la di lui fe-
rita e le di lui mani baciavano , e che ad Ottone fu innalzato un
sepolcro modesto e durevole , che Plutarco diceva aver egli stesso
veduto in Brescello. Vitellio ancora, vedendo una semplice pietra
col nome di Ottone, disse che degno egli era di un mausoleo.
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giorni , regnalo aveva giorni novanta (i) ; e mentre
pessima vita aveva condotto , di morte bellissima
peri , ed ottimamente cedette lo imperio , cbe ini*
quissimamente rapito aveva ( 2 ).
XVI. [ Di sì grande cupidigia di danaro arse Fa*
bio Valente , e per tal modo le monete per qualun-
que via accumulò, cbe uccise perfino quel tribuno
de 1 soldati , dal quale era stato nascosto e salvato ,
per cagione di mille dramme , cbe questi sembrava
avere rapito dalle di lui valigie (3).
(1) Cade la morte di Ottone, eecondo il calcolo di Dione , nel
giorno 16 di aprile dell’anno di Roma 8aa. Il calcolo altresì dei
novanta giorni si accorda con quello di Zonara, di s. Gerolamo ed
anche di Tacito ; il solo Giuseppe Ebreo fa durare quel regno no-
vantadue giorni.
(a) Anche Svetonio maravigliosa dice la di lui morte, non con-
sentanea al di lui tenore di vita 5 quindi Tacito egregia nomina la
fama meritata da Ottone, scelleratissima quella di Vilellio. Anche
in questo luogo io suppongo qualohe lacuna nell’ originale.
( 3 ) Fabio Valente capo dei Viteiliaai , per sedizione suscitatasi
tra i soldati suoi presso il Ticino , fu assalito, e fuggito essendo ve-
stito da servo, si nascose presso un decurione dei soldati a cavallo.
Infame essendo però, come Tacito lo appella, per l'avidità del gua-
dagno , ripetere volle dal suo liberatore mille dramme, che involate
diceva nel saccheggio della sua tenda.
/
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1 53
DELLA
7
ISTORIA ROMANA
DIONE CASSIO
compendiata
DA GIOVANNI SIFILINO
LIBRO LXV.
SOMMARIO
Vitellio piene proclamato imperatore ; gli occhi pasce
dello spettacolo dei gladiatori e dei trucidati; gli
astrologi caccia dall Italia: cap. i. — Lusso di Vitel-
lio nei banchetti , nella casa , nelle suppellettili ,
nella pompa quasi ridicola : 2-5. — Cose in esso
lodevoli : 6. 7. — Prodigi f di sinistro augurio ; i
soldati dichiarano imperatore Vespasiano : 8. — •
Muoiano è da Vespasiano mandato contra Vitellio.
Primo spontaneamente si muove ccmtra Vitellio colle '
sue truppe : g. — Allieno viene da Vitellio eletto
comandante in quella guerra , e fattosi autore della
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1 54
diserzione , viene arrestato da quelli che se ne pen-
tono : io. — I Vitelliani sono vinti in battaglia :
u . — Calamità dei Cremonesi: i 5 . — Inco-
stanza di Fìtellio. Il Campidoglio abbruciato, men-
tre si vuole assalire Sabino: 16. 17. — Sciagure
della città di Roma , presa dai duci di Vespasia-
no : 18. 19. — Come Vite Ilio preso perisse: 20.
ai. — Come perissero il fratello ed il Jìgliuolo di
Vitellio : 22.
PERIODO DELLA ISTORIA.
Calta per la seconda volta e T. Vinio consoli.
Anni Anni
dell'Era di Roma .
Consoli sostituiti.
Marzo: T. Verginio Rufo, e Vopisco
Pompeo.
Maggio : CelioSabino, e T. Flavio Sa-
bino.
Luglio : T. Arrio Antonino , e P.
Mario Celso per la seconda volta.
Settembre: C. Fabio Valente, ed
A. Allieno Cecina, (e questo con-
dannalo il 3i novembre ) Roscio
Regolo .
Novembre: Gn. Cecilio Semplice, e
C. Quinzio Attico.
I. Dappoiché in Roma fu udita la sconfitta di Ot-
tone , tosto il popolo romano , come necessario era
che si facesse , cambiò d’avviso, e contro quell’ Ottone
che da prima lodato aveva, si diede a vomitare contu-
Volgare.
69. -, 8aa.
Alle Calende di
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ì 55
melie , non altrimenti che contra un nemico ; e Vi«
tellio che detestato avea , prese a vicenda a lodare
e ad acclamare imperatore (i). Tanto è vero che
nulla avvi di stabile nelle cose umane , ma coloro
che sommamente fioriscono . e quelli pure che sono
umili ed abbietti , certi non sono dell’ esito finale f
ed egualmente giusta il capriccio della fortuna loro,
lode incontrano o vituperio , onore o ignominia.
[ Vi tellio poi ad uno spettacolo di gladiatori inter-
venne in Lione (a) ed in Cremona , quasi sazio non
fosse della strage di tante migliaja d’ uomini in bat-
taglia periti , i di cui cadaveri ancora insepolti gia-
cevano , siccome egli stesso veduto 1 * 3 aveva (3). Per-
ciocché tutto girò il campo , in cui sparsi erano i
cadaveri , gli occhi suoi di quello spettacolo pascen-
do , non altrimenti che se allora finalmente la vit-
(i) Già era stalo ai primi di gennajo acclamato dai soldati del-
l’ima e dell’ altra Germania, e dato gli si era per questo il nome
di Germanico , che egli anche ai figliuolo suo io età di soli sei antai
impose. All’ epoca poi de’ giuochi cereali , cioè il 19 di aprile tutti
gli onori del Senato ottenne , ed il nome assunsi di Augusto , per
istania del Senato medeaimo , sebbene già al primo entrare nel Cam-
pidoglio onorata avesse la madre sua del nome di' Augusta. Osser-
vano gli storici che non mai il nome pigliò di Cesare , se non nelle
estreme angoscie , per motivo di superstizione .
(a) Vitellio era stato in Lione magnificamente ricevuto da Giunto
Bleso , che a di lui onore quei giuochi celebrò. Altri similmente dati
ne furono da Cecina in Cremona, da Valente in Bologna.
( 3 ) Siccome quei cadaveri pulsavano, gli si attribuisce il detto
che soave era 1’ odore di un nemico ucciso , e ancora più di un cit-
tadino. Quel Bleso stesso egli con gioja vide ucciso,' e disse che
gli occhi pasceva della morte di un nemico.
1 56
toria riportasse ; nè per questo ordinò allora che
seppelliti fossero ]■ Allorché poi venne in Roma , co-
minciò egualmente a disporre le cose tutte a suo ar-
bitrio (i), e tra i primi suoi atti con editto pubblicato
gli astrologi cacciò dalla città (2)5 e il giorno ancora
nell’editto annunziò, che già egli stabilito aveva,
nel quale da tutta l’ Italia partissero. Essi all’incontro
con uno scritto affisso nella notte gU anuunziarono
a vicenda, che dal mondo partisse in un giorno sta-
bilito , nel quale anche mori ; tanto accuratamente
prevedevamo essi i futuri eventi delle cose ( 3 ).
II. Dedito esso intanto alla voluttà ed alle libi*
dini , alcun riguardo più non ebbe alle cose divine
o umane. Perciocché tale egli era veramente da prin-
cipio , siccome quello che frequentate aveva le ta-
verne e i giuochi aleatorj , ed amante era stato
degli istrioni e dei cocchieri , e infinito danaro in
tutte le cose di questo genere consumato aveva , e
per questa cagione da molti creditori era circondato.
Allora adunque, salito a così alto grado di potenza,
cominciò a lussureggiare molto più ancora , ed a
( 1 ) Entrato essendo nella città armato al pari di lutti i seguaci
suoi , i comizj per dieci anni stabili e perpetuo consolo dicbiarossi.
Svetouio aggiugne che una gran parte dell’ imperio non amministrò
se non ad arbitrio di qualunque piò vile comico o auriga , e mas-
sime di un liberto detto Asiatico.
(a) Già aveva pubblicalo quell’ editto in Lione , al dire di Ta-
cito . e allora forse lo estese ad ogni sorta di persone scurrili.
(3) I Caldei, dice Svclonio, o gli astrologi, scritto avevano che
una fortuna sarebbe, se Vitellio Germanico più non esistesse il gior-
no medesimo delle calende di ottobre, che era il termine stabilito alla
espulsione degli indovini. Questo, giorno forse non fu noto a Dione.
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1 5*7
spendere gran parte del giorno e della notte in goz-
zoviglie , e a vomitare sovente il lutto , affinchè nu-
trito fosse col solo ingozzare il cibo (i). Per la qual
cosa le replezioni ancora sopportava 5 mentre gli
altri che con esso cenavano , tutti miseramente pe-
rivano. [ Chiamava egli di fatto a convito di conti-
nuo moltissimi dei primarj cittadini, e sovente presso
di essi cenava]. Tra i quali Vibio Crispo (2), caduto
essendo infermo , e per quella cagione intervenuto
non essendo per molti giorni al convito, disse molto
facetamente che , se infermato non si fosse , perito
sarebbe totalmente.
III. Tutto il periodo del principato di Vitellio ,
non fu che una serie di ubbriachezze e g ozzoviglie.
Imperciocché qualunque cosa più preziosa fino dallo
stesso oceano, per non dire di più, ricercata do-
vunque sulla terra e sul mare, tanto sontuosamente
si preparava, che Yitelliane fino da quel tempo di-
cevansi tanto le bevande , quanto alcuni più squisiti
manicaretti. Le quali cose tutte che mai gioverebbe
il rammentare ad una ad una ? giacché a tutti è noto
che durante il suo principato consumò nelle cene
ottocento milioni di sesterzi ( 3 ). Perciocché tutte
quelle cose preziosissime in breve tempo vennero a
( 1 ) Tacilo dice che insaziabile era la libidine di Vitellio nelle
gozzoviglie , nei banchetti e nelle spese lussuriose • Svetonio soggiu-
gne che era uomo di intempestiva e sordida gola.
(a) Questi lodato viene da Quintiliano come nomo giocondo e
piacevole; non debb’ essere però confuso con Crispo i’assieno.
(3) Il Reimaro calcola che questa somma formava più di venti
milioni di talleri, o com’egli scrive, di scudi onciali.
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1 58
mancare , e pure d’ uopo era assolutamente che ai
trovassero. Un piatto (i) invero fece egli una volta
apprestare, nel quale spese cento mila sesterzi, riu-
niti essendovisi lingue , cervella e fegati di pesci ed
anche di certi uccelli. Quel piatto , perchè di terra
essere non poteva per la sua ampiezza, fec’egli d’ar-
gento, e lungamente conservossi come cosa agli Dei
consacrata , finché veduto avendolo Adriano, ordinò
che moneta se ne facesse.
IV. Ma avendo io fatta una volta menzione di
queste cose , sembra doversi aggiugnere altresì , che
anche la casa aurea di Nerone non riuscì di suo
aggradimento. £ mentre il di lui nome , c la vita e
(i) A trite in greco, che il Reimaro tradusse patina ; intendi un
piatto assai largo, che i Veneziani, più strettamente attenendosi al
latino, nominarono e nominano tuttora piadena. Si inganna però il
Reimaro il quale dice non potersi supporre da alcuno stoviglie figuline
sulla mensa di Vitellio; lo storico stesso adduce la ragione, per cui
quel piallo fu fatto di argento , cioè per la sua ampiezsa. Un sogno
io credo quello di coloro , che quel piatto supposero del valore o del
peso di a5, ooo once, e certo è che gran numero di servi sarebbono
- stati impiegati a portarlo , e forse alcuna meusa non sarebbe stata
alla a riceverlo. Forse quel piatto munito era di un coperchio, ve-
dendosi che in questa sorta di piatti preparavansi d’ ordinario i pe-
sci. Non crederei tuttavia, malgrado la descrizione di Polluce, che
la sua forma si accostasse a quella di un’olla. Svetonio descrive quel
piatto , per la sua forma non tanto quanto per la sua grandezza, no-
minalo da Vitellio scudo di Minerva , perchè uno scudo della am-
piezza di ventitré cubiti fabbricato aveva per quella dea Fidia in
Atene. Vediamo pure presso Plinio da Mudano rinfacciate alla me-
moria di Vitellio le paludi delle patine o de’ piatti spaziosi , e detto
egli stesso Patinario per derisione , il che maggiormente ci allonta-
na dall’ idea del cacato o di un’olla.
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i costami lutti molto apprezzava e lodava, in questo
tuttavia lo riprendeva, perchè diceva che male avesse
abitato, e fatto uso di scarsa e vile suppellettile. [Ed
infermo alcuna volta trovandosi , altra casa nella
quale abitasse ricercò , che a grado non gli andava
cosa alcuna delle neroniane]. Galeria (i) altresì, mo-
glie di Vitellio, ridevasi che sprovvista trovata avesse
la reggia di ornamenti donneschi. Questi altronde ,
perchè quelle spese coll'altrui danaro facevano , non
ne tenevano gran conto ; ma quelli presso i quali a
vicenda cenavano, (a riserva di pochi ai quali diede
Vitellio qualche compenso ) , grandissimo incomodo
risentivano , sebbene il convito per tutto un giorno
non da uno solo si apprestasse (a). Perciocché da-
vano altri la colezione , altri il pranzo , altri la ce-
na , aliti le gozzoviglie , come sollazzi o ristori della
(i) La prima moglie di "Vitellio era Pelronia, da alcuni credala
figliuola o sorella di Petronio Turpiliano, ma qucsla repudiata essendo,
sposò poi Dolabella , che per quella cagione fu ucciso. Vitellio sposò
quindi Galeria Fondana, figliuola di un pretore, che Tacito loda per
la sua bontà. 11 Reimaro osserva a questo proposito, che un'indole
buona e dolce può accoppiarsi coll’ amore de! lusso. Galeria par-
torì a V itellio un figliuolo quasi muto , che ucciso fu poi da Mu-
dano.
(a) Svetonio dice che il giorno relativamente ai pasti sempre di-
videvasi in tre parti, talvolta anche in quattro, e che Vitellio ac-
costumato al vomito, a tulli bastava. Non facile è il recare in ita-
liano la parola (eilailfirut , che il Reimaro tradusse comettalionet.
io ho tradotto col vocabolo generico di gozzoviglie , perchè erano
una specie di seconde mense , alle [quali ; portavansi confetti , cose
dolci ed altre galanterie , come può ^accogliersi dalla descrizione
dell' Atlantide di Platoue.
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i6o
sazietà ; ( conciossiachè tutte le persone doviziose a
gara si affrettavano a riceverlo a convito). £ narrasi
ancora che in certa cena egli spendesse quattrocento
mila sesterzi (i). [Fu altresì celebrato il di lui giorno
natalizio per due giorni con giuochi, nei quali molte
fiere uccise furono e molti uomini. Di siffatta tempra
essendo Vitellio, nè pure i soldati più modestamente
si comportavano , ma molte prove offerivano comu-
nemente della loro insolenza, della loro libidine (a)].
Y. Vitellio intanto molti muoveva a riso. Percioc-
ché vedendo essi gravità nel portamento affettare
quello stesso , di cui conosciuti avevano da prima
gli stupri ; e portato da un cavallo reale (3) , ornato
di veste purpurea quello stesso, che sapevano avere
coir abito della veneta fazione astersi i cavalli delle
gare (4) e quindi scendere nel Campidoglio con
tanta copia di armati colui che alcuno da prima nè
(i) O cento mila scodi onciali, secondo il Reimaro.
(a) Ànche Tacito notò che 1' ardore e la ferocia del soldato colla
crapula e colle goszoviglie ad imilaiione del principe crauo snervate,
(3) Tacilo nota che nel suo ingresso nella città comparve palu-
dato su di un cavallo insigne , d'onde il Lipsio trasse motivo di ra-
gionare lungamente del cavallo insigne degli imperatori. In una me-
daglia vedesi Vitellio a cavallo col lemma: advestvs avgvsti .
(4) Era stato Vitellio molto accetto a Cajo per la sua inclinaxione
alle corse dei carri e dei cavalli ; ma Cajo era della fusione verde
o Pi-asina , laonde può credersi che per piacere maggiormente ad
esso, Vitellio nella Veneta entrasse. Con tanta viltà si corteggiavano
gli imperatori , che le persone piò illustri non sdegnavano qua-
lunque più ignobile ufficio intorno a’ cocchi ed a’ cavalli. Vitellio
poi (auto ligio era alle Iasioni , che al dite di Svetonio , alcuni ple-
bei mandò a morte per questo solo , perché maledetta avevano la
fedone dei Veneti.
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i6i
pure nel foro per la moltitudine dei creditori poteva
vedere , per ultimo da tutti adorato quello che al-
cuno da prima non avrebbe volontieri nè pure ba*
ciato ; il riso frenare non potevano. Ma coloro che
prestato gli avevano danaro , e che mfentr’ egli di-
sponevasi a partire per la Germania , arrestato lo
avevano e a stento liberato sotto cauzione , tanto
erano allora lontani dal ridere , che anzi lagninosi
si nascondevano. Vitellio perù , chiamati avendo i
creditori suoi , disse che la salate ad essi rendeva
per lo danaro prestato , e le sue ricevute si fece
consegnare (i).
VI. [In mezzo a questi vizj non fu del tutto privo
di virtù. Perciocché la moneta che sotto Nerone ,
Galba ed Ottone era stata battuta , conservò , offeso
non mostrandosi delle immagini loro ; e confermò ì
donativi tutti che ad alcuni erano stati fatti, nò ad
alcuno la minima cosa rapì. Così pure esigere non
volle i residui, che su le contribuzioni si dovevano,
nè vendere fece al pubblico i beni di alcuno, e dati
avendo a morte ben pochi della fazione ottoniana (a),
i loro congiunti non privò (iella eredità. I beni tutti
(i) Diversamente narra la cosa Svelonio » il quale dice che nou
perdouò ad alcuno degli usurai e dei pubblicani , che reclamato
avessero il pagamento di alcuu debito in Roma, o qualche spesa
fuua nel viaggio.
(a) Tacito nou registra se non cento venti di coloro , che pre^
mio domandavano da Olloue per la uccisione di Galha ; Svelouio
aggiugne alcuni de’ centurioni più animosi di Oltoue medesimo -
Diufi, toma IP, I.‘ Pi Sinupp. n
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i6a
che ancora invenduti trovavansi, restituì congiunti
di coloro , che erano stali da prima uccisi. Nè an-
nullò i testamenti dei partigiani ad esso opposti ,
che morti erano Della guerra. Vietò che i. senatori o
i cavalieri nell' arena combattessero , o si facessero
vedere nell 1 orchestra ; e lode per questo egli me-
ritò ] (t).
VII. Sovente ancora venne uei teatri , affinchè
l’ animo della plebe si conciliasse (a). Cenò familiar-
mente cogli ottimati, affine di renderseli sommamente
favorevoli. Degli antichi compagni di sua vita molta
memoria conservava, e in grande onore tenevali. Nè
invero indegno di sè reputava il mostrare di cono-
scere alcuni di essi , il che fanno molti , i quali in-
nalzati a grandissimi e non sperati onori , odiano
coloro , dai quali ben sanno essere stati conosciuti
da prima, mentre umili erano ed' abbietti. [ Vitellio
però, avendo ad esso contraddetto nel senato Elvidio
Prisco ed anche lanciato alcune invettive contro i
soldati, chiamò bensì i tribuni della plebe, come se
dell’ ajuto loro abbisognasse , ma del rimanente nè
egli in alcun modo Prisco offese , nè soffrì che mo-
lestato fosse dai tribuni. Rivolto avendo quindi il
discorso ai padri , disse : « Non vogliate , o padri
coscritti , maravigliarvi che due del vostro ordine
f
(i) Severamente, dice Tacito, vietò che i cavalieri romani nei
giuochi e neU’ arena non si couiaminassero. .
(a) Nota Tacito che affettava di secondare qualunque rumore
dell' infima plebe , nel teatro come spettatore , nel circo come fau-
tore .
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1 63
dissentano (i) .»>• E per quei fatto ancora lode di
animo moderato ottenne. Ma siccome egli di imitare
studiavasi Nerone , siccome ad esso celebrato aveva
funerali ( 2 ), e siccome inoltre tante spese superflue
nei banchetti prodigava; questo veramente ad alcuni
piacque, ma gli uomini assennati ne provarono gran
pena , siccome quelli che ben vedevano non potere
ad esso bastare nè pure le ricchezze di tutta la
terra. ]
Vili. Mentre queste cose egli faceva , si videro
sinistri prodigi. Perciocché e una cometa apparve ,
,e la luna fu veduta due volte calante contro 1’ or-
dine del tempo stabilito, giacché nel quarto e nel
settimo giorno oscurossi (ò). In oltre al nascere ed
al tramontare due Soli veduti furono al tempo stes-
so , del quale uno era imbecille e pallido , 1’ altro
(i) Soggiugne Tacito aver egli detto altresì che solito era egli stesso
■ contraddire nel Settato a Trasea : questo fiammeuto è forse mal col-
locato , perchè aggiugnere dovevasi al paragrafo., io cui le cose de-
gne di lode di Vitellio si annoverano.
(a) Di gioja fu ai tristi , al dire di Tacito , di dolore ai buoni
che celebrati fossero quei funerali, alzati essendosi a Nerone altari
nel Campo Marzio ; S'velonio dice pure che compiuta fu quella ce-
rimonia in mezzo al Campo Marzio , chiamati essendosi in gran nu-
mero i pubblici sacerdoti. Fuori della città eompievansi d’ordinario
que’riti, e sacrificavansi buoi e pecore di color nero, con mitre di
colore parimenti nero o ceruleo ; scorticali quegli attintali , abbru-
ciavausi per intero, e nelle fiamme gettavansi latte , sangue, miele
olio e vino. Nel Campo Marzio si celebrarono le esequie di Nerone,
perchè di là vedovasi il monumento dei Domizj , ove era stato ri-
posto, situalo su di un colle.
(3) Liberali dice il Reimaro gli aulichi nel fabbricare le ec-
citisi , forse per lo improvviso passaggio di qualche nube.
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dotato di grandissimo splendore e forza (i). Trovati
furo.no altresì nel Campidoglio molti e grandi vestigj
di alcune divinità , che di là credevansi partite , e
annunciato fu dai soldati che in quella notte colà
stati erano a custodia , che il tempio di Giove da
sé stesso con grande strepito aperto si era , e che
per quella cagione alcune delle guardie erano rima-
ste atterrite e prive di senso. Mentre queste cose
agitavansi , Vespasiano (2) che la guerra faceva con-
tra i Giudei , [ mandò il figliuolo Tito a salutare
Galba imperatore. Al ritorno però di Tito , perchè
in cammino] alcuna cosa saputa aveva dei movimenti
di Ottone e di Vitellio , cominciò a deliberare qual
cosa egli fare dovesse. [ PJon era Vespasiano di in-
gegno nelle sue risoluzioni precipitoso , e in mezzo
a quelle gravi turbolenze usare voleva di matura ri-
flessione]', ma grandissima era la benevolenza di tutti
verso di lui , non solo per la gloria 'della guerra
(1) Il Reimaro questo riferisce al Doto e non raro fenomeno dei
parelj o degli aloni.
(a) T. Flavio Vespasiano figliuolo di T. Flavio Sabino e di Ve-
spasia Polla, nato era nella Sabina il giorno 17 di novembre dell’an-
no 761 di Roma. Da Claudio era stato spedito nella Germania e
nella Brilannia,e due popoli fortissimi aveva ridotti alla obbedien-
te , e Tenti città coll’isola Vede, ora Wight. Sotto Nerone gover-
nata'aveva l’Africa, e quindi nel viaggio di Nerone era stato man-
dato a domare i Giudei. Da Flavia Dominila, che allora era già
morta, ottenuti - aveva i figliuoli Tito, Domisiano e Dominila. La
madre tuttavia vedesi in alcune medaglie nominata Diva ed Augu-
sta. Tacito nota che il figliuolo nel tornare al padre consultò l’ora-
colo della Venere di Pafo, e del padre narra che i matematici o sia
gli astrologi , e il dio Carmelo interrogati aveva, mentre incerto era
tuttora di quello che egli fare dovesse.
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britannica {t) e di quella che allora facevasi , ma
anche per la di lui equità e la di lui prudenza ’
dalle quali cose indotti erano a bramare , che da
esso fossero governati. Con veemenza instava altresì
Muciano , perchè sperava bensì che quello il nome
di imperatore otterrebbe , ma lusingavasi egli pure ,
che per la equità di Vespasiano sarebbe stato egual-
mente partecipe dell’ imperio ( 2 ) 5 le quali cose es-
sendosi rendute note , i soldati circondano la tenda
di Vespasiano , ed imperatore lo proclamano (3).
IX. Nè però mancarono a Vespasiano prodigi e
Sogni , coi quali già da molto tempo l’imperio gli era
stato annunziato , e queste cose noi accenneremo ,
allorché si verrà alla di lui vita. Allora però Vespa-
siano spedì Muciano in Italia conira Vitellio 5 egli
stesso, dopo di avere esaminate le cose della Siria,
e proposti altri duci alla guerra giudaica , recossi
nell’ Egitto , e colà raccolse danaro del quale mag-
giormente abbisognava , e frumento , affinchè quan-
tità grandissima potesse spedirne a Roma (4). Le le-
( 1 ) Per quella ottenuti aveva gli ornamenti trionfali, un doppio
sacerdozio, ed il consolato nell’ anno- di Roma 80 ^- 11 di lui pro-
consolalo nell’Afiica tuttavia non aveva presentato motivo di lode.
(a) M. Licinio Crasso Muciano consolo era stato tre volte ; egli
comandava allora quattro legioni nella Siria.
(3) L’ esercito della Mesia aveva il primo apposto alle sue inse-
gne il nomedi Vespasiano; poi Tiberio Alessandro, prefetto dello
Egitto, aveva alla di lui fede ridotte le sue legioni. Proclamollo da
poi P esercito giudaico , e la Siria tutta fede gli giurò.
(4) S’ingannò in questo certamente Sifilino. Dione , come osserva
anche il Reìmaro , non poteva cosi pazrfo reputare Vespasiano , che
a Vitellio nemico suo spedire volesse le granaglie dall’Egitto; volle
1 66
gioni che nella Misi» trovavansi , udite avendo le
cose che di Vespasiano si riferivado, senza nè pure
aspettare Muciano , che però sapevano essere in
viaggio r capo si scelgono Antonio Primo (i). Questi
sotto l’ imperio di Nerone e£a stato per criminale
sentenza mandato in esilio , poi riabilitato da Galba,
era stato posto alla testa dell’esercito pannonico 3 e
in quella occasione , non eletto dall’ imperatore , nè
dal Senato, somma autorità esercitava. Tanto grande
era Io sdegno dei soldati contra Vitellio, tanto era
grande la cupidigia di bottinare. Nè per altro mo-
tivo questo i soldati facevano , se non per sacclieg-.’
giare l'Italia, il che realmente fu eseguito.
X. Vitellio , queste cose risapute avendo , rimase
tuttavia nella città, ed anche allora il consueto lusso
mantenne , e i giuochi gladiatori celebrò. In questi
giuochi Sporo , il quale comparire doveva nel teatro
dire in vece che grani accumulò, affine di guadagnarsi I’ amore del
popolo romano , di villo provvedendolo qualora debellati fossero i
Vitclliani. Di fallo allorché giunsero le biade da Vespasiauo spedile,
piò qon vi aveva ne' granai frumento se non per dieci giorni j e Ve-
spasiano slesso lusingalo erasi , come scrisse Tacito , di suscitare
a danno del nemico l’inopia e la discordia. L’ Egitto abbondava
straordinariamente di granaglie e di altre ricchezze-
(1) Maio questi a Tolosa, per delitto di falso era stato sotto Ne-
rone condannato e rimosso dal senato; ripristinalo quindi ne’ suoi
diritti da Galba e preposto alla vu legione. Sembra che le legioni
Mesiache giunte ad Aquileja in ajuto di Ottone, e datesi tosto al
parlilo di Vespasiano, unite colle l’annoniche , Antonio Primo loro
capo. eleggessero, posponendo Apouio Saturnino, che la Mesia reg-
geva , e Mupiano non attendendo che da Vespasiano era stato spe-
dilo in Italia , ma per cagione del mare tempestoso aveva dovuto
pigliare la via della Cappadocia e della Frigia e quindi della Dacia.
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in abito di donzella rapita , si grave contumelia non
sopportando , si diede da sé stesso la morte. Vitel-
lio alla guerra Allieno con altri prepose (1). "Venne
di fatto Allieno a Cremona e primo la piazza oc-
cupò. Ma poiché i suoi soldati vide per la dissolu-
tezza della città di Roma snervati , e molli ed effe-
minali per l’ozio divenuti, e i nemici all’incontro
agli esercizj del corpo avvezzi e di grande animo
muniti , cominciò a temere. Pòscia , essendogli state
fatte da Primi) comunicazioni amichevoli (2) , con-
vocò i soldati, e loro esposta avendo l’imbecillità
di Vilellio , le forze. di Vespasiano e i costumi del-
l’uno e dell’ altro ,. ad abbracciare il partito di Ve-
spasiano colla persuasione li condusse. Tolgono essi
ben tosto dalle insegne le immagini di Vitellio , e
giurano di voler essere sotto l’ imperio di Vespasia-
no; ma appena congedati alle loro tende tornavano,
cominciarono a pentirsi di quello che fatto avevano.
Riuniti adunque all’ improvviso con grande sollecita-
• " 1
( 1 ) Quello che Dione nomina Alieno è il Cecini di Tacito, di
Giuseppe Flavio e di Plutarco. Io amo meglio di scrivere Allieno,
come trovasi nelle vite di Svetonio e nelle antiche iscrisioui.
(a) Dubbio è ancora se Allieno lettere da Primo ricevesse. Tacito
dice che Allieno scrisse ad Aponie SaiArniuo , . c che i Flavlani a
vicenda -gli scrissero, lusingando i tribuni e i oenturiqni che rite-
nuti avrebbero i favori da Vilellio accordati, le quali lettere lesse
egli nella allocuzione tenuta ai soldati. Sembra che Allieno non con-
ducesse alla fede di Vespasiano i primarj centurioni , se non dopo
di essere stalo informalo che le due flotte di Ravenna e di Miseno
date si eraDo al pflrlilp di Vespasiano per opera del comandante
loro Lucilio Basso , e che allora egli. 1’ avviso ne mandasse ad An-
tonio Primo.- '
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dine e con tumulto , di nuovo proclamano Vitellio
imperatore, ed Allieno, come se traditi da esso fos-
sero , cingono di catene , alcun riguardo non mo-
strando al di lui consolato, come avvenire suole nelle
guerre e massime nelle civili (i).
XI. E già. grandissimo essendo il turbamento ncl-
l 1 esercito di Vitellio, assai maggiore lo fece P oscu-
ramento notturno della luna (2) , non solo perchè
quell 1 astro si oscurò ( sebbene queste cose ancora
sogliono cagionare terrore ai tumultuosi ) , ma per-
chè altresi fu veduta sanguinolenta e nerastra , e
mandar fuori altri orribili colori. Non per questo si
rimossero i soldati dal loro avviso , o in alcuna
parte si acchetarono. [ Perciòcchè il giorno seguente
(1) Accampate erano allora le armale tra Osliglia sulla riva del
Po, terra allora dei Veronesi, secondo Tacilo, e le paludi del
Tartaro. Sifìlino tutti i fatti suppone avvenuti presso Cremona, e
cosi pure 1’ coulisse lunare, ecc. Sembra però che Primo il nemico
incalzasse fino a Bedriaco, ove si accampasse e nel terzo giorno le
coorti spedisse a bottinare nella campagna di Cremona , ov’ ebbe
luogo H generale combattimento. La prima che riposte aveva sulle
insegnale immagini di Vitellio, fu la quinta legione ; tutte 1' altre
arguirono 1’ esempio . e capi elessero dopo l’ imprigionamento di Al-
lieno , Fabio Fabullo e Cassio Lnngo.
(a) Crede il Reimaro indicata da Dione in 'questo luogo una ee—
disse totale della luna, nel di cui. intervallo i raggi del sole refratli
nell’ atmosfera della terra , passando per mezzo il cono dell’ ombra
terrestre , giugnessero alla superficie della luna oscurata e di colore
fosco sanguigno la facessero apparire. Sia che riferire si voglia que-
sto fenomeno al giorno t8 , sia che si voglia protrarre al 3o di quel
mese nell’ aono Uia di Rama, 69 dell’era volgare, nulla <J> posi-
tivo ci offrono i calcoli astronomici; io per me 'credo che quella
una ecclisse non fosse ni totale, ni parziale, come tani’allre oscu-
razioni di quell’ astro da Dione registrate.
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• 169
da che Primo per messi spediti sollecitati gli aveva
h Venire ad accordo , per mezzo degli inviati loro
esso a vicenda esortavano che il partito di Vitcllio
abbracciasse (1). E venuti essendo alle mani coi sol-
dati di Primo , acremente pugnarono. Nè però quel
combattimento si diede fatti essendo da prima lunghi
preparativi; ma all’istante pochi soldati a cavallo, come
suol farsi tra nimici accampati gli uni a fronte degli
altri , i cavalli degli avversarj usciti a pascolo inva-
sero. E da ambe le parti mandandosi a vicenda soc-
corsi ai soldati suoi , come per avventura di dover
fare avvisavano, ora a questi, ora a quelli altri, poi
altri snssidj tanto di fanti quanto di cavalli y avven-
ne che con varia fortuna si combattè, finché tutti al
fine si azzuffarono. Allora poi quasi per convenzione
ridotti in un certo ordine di battaglia , colla legge
della militare disciplina i Vitelliani contro gli avver-
sarj loro pugnarono, sebbene duce alcuno non aves-
sero]. Perciocché Allieno incatenato in Cremona era
deteuuto (a).
XII. Con eguale esito dall’ una e dall’ altra parte
fu quindi combattuto, non solo nel giorno, ma nella
notte ancora. Imperciocché sopravvenne la notte ai
•
(1) Qui ancora ricade la quislione sulle supposte lettere di Pri-
mo. Questi , secondo Dione , scritto avrebbe o mandati deputati
ad Allieno ; rivoltati si sarebbero in quel giorno stesso i Vitelliani;
poi pentiti incatenato avrebbero Allieno ; nella notte oscurata si sa-
rebbe la luca , e il di seguente cominciala sarebbe la ruffa , conti-
nuata poi nella notte.
(2) Mancavano di nn capo supremo , benché due ne avessero ,
«me si è dello nella nota (t), pag. 168.
l'JO .
combattenti, nè questa pure potè impedire la zuffa},
tanto era lo sdegno , tanta l'accensione degli animi ,
sebbene i soldati dell’uno e dell’altro partito si co*
□oscessero a vicenda e si parlassero. Laonde non
acquetavali la fame , non la fatica , non il freddo ,
non le ferite ricevute, non le frequenti uccisioni, non
i cadaveri di quelli che da prima erano stati uccisi,
non la ricordanza della strage , non la moltitudine
di coloro che temerariamente perivano } tale manìa
finalmente gli lini e gli altri per siffatto modo invasi
aveva , [ clic quasi dalla ricordanza stessa del luogo
eccitali, in parte anche allora bramavano di vincere,
in parte di non essere nè pure in quel conflitto vinti,
npn altrimenti che se con alcuni stranieri combattes-
sero , non coi loro connazionali , e come se gli uni
e gli altri , o tutti all’ istante , perire dovessero , o
soggiacere in avvenire alla servitù. Che anzi nè pure
al sopraggiugnere della notte , come già si è detto ,
punto non si rallentarono ; ma anche oppressi dalla
fatica , c per ciò spesso costretti a riposarsi , par-
lando anche tra di loro, tuttavia combattevano] (i).
Xlfl. Ogni qual volta la luna risplendeva , .giacché
talvolta qualche nube (e molte e varie ne trapas-
savano ) la occultava , vedevansi que’ combattenti
ora azzuffati , ora fermi su’ due piedi , ora appog-
(i) Molli dei Ftaviani combattalo avevano per Ottone e la me-
moria conservavano dei fatti di Bedriar*». Alle legioni mi e vii,
che in rpieslo caso trovavano , diceva Primo che in quei campi ri-
parare dovevano l 1 ignominia delta precedente disfatta , e la glori*
loro ricuperare.
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. 1 7 1
giati alle aste , ora anche seduti. Udivansi talora
gridare tutti insieme , questi nominare Vespasiano ,
quelli Vi tellio , provocarsi a vicenda gli uni e gli
altri colle ingiurie e colle lodi de’ principi , ed an-
cora parlarsi privatamente l’ un 1’ jdtro in questo
modo : « mio commilitone , concittadino mio , che
facciamo noi mai ? perchè mai combattiamo ? via ,
passa dalla mia parte ; » «non mai, l’altro rispón-
deva , vieni tu piuttosto dalla mia n. E a chi po-
trebbe questo sembrare maraviglioso ? mentre che
cibi e bevande le donne di notte dalla città reca-
vano ai Vitclliani , c questi non solo il cibo e la
bevanda gustavano , ma ne porgevano altresì a co-
loro che contro di- essi combattevano. Talvolta al-
cuno 1’ avversario suo chiamava per nome ( percioc-
ché quasi tutti conosciuti si erano, o allora si ricono-
scevano), e diceva: « prendi, o compagno, mangia}
non ti presento io la spada , ma bensì del pane.
Prèndi ancora , e bevi ; lo scudo non ti oppongo io
già , ma un bicchiere ti porgo , afGnchè più facil-
mente morire possiamo, sia che tu me, o io te uc-
cida. Perciocché a noi viventi tuttora ', queste fune-
ree vivande danno ancora Vitellio e Vespasiano, af-
finchè -noi come vittime offeriscano all’ombre di co-
loro che già sono morti ». Queste ed altre simili
cose dette avendo alcuni tra di loro , e riposati es-
sendosi alquanto , gustato avendo il cibo , la pugna
ricominciarono, poi interrotta avendola, di bel nuovo
la ripigliarono (i).
(i) Qui piò che altrove si vede in Sifilino il grammalicuccio e nulla
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XIV. Queste cose si fecero durante tutta la not-
te , fino all’ albeggiare del giorno. Allora però due
soldati dèi partito di Vespasiano , quest’impresa osa-
rono di tentare. Grave danno sostenendo essi per
cagione di certa .macchina , tolti gli scudi dalle spo-
glie dei Vitelliani che già caduti erano , e mescolati
coi loro avversarj , di soppiatto si accostano alla
macchina , come se Vitelliani fossero , e ne tagliano
le funi, cosicché da essa più non poteva alcun dardo
essere lanciato. Levato poi il Sole, mentre i soldati
della terza legione che Gallica si nomina , e che
accostumata a stanziare nella Siria , allora per for-
tunato accidente nel partito di Vespasiano trovavasi,
il sole ad un tratto , secondo il costume loro , ve-
neravano , entrati in sospetto i Vitelliani che giunto
piti. Mentre egli altrove storpia talvolta e sfigura il testo di Dione
per eccessivo studio di brevità , egli si stende in questo luogo nella
descrizione , o piuttosto nella vana amplificazione delle circostanze
di quella pugna notturna, e quel eh’ è peggio, si scorda o trascura
i fatti più degni di osservazione che quell’ avvenimento accompa-
gnarono. Non parla, per esempio, della notabile circostanza riferita
da Tacilo, che la luna, levandosi dietro i Flaviani, le ombre in-
grandiva degli uomini e de’ cavalli, laonde nel voto cadevano per
lo più i dardi dei Vitelliani, mentre questi illuminati, esposti erano
assai meglio ai colpi de' loro nemici. Non parla di Mansueto sol-
dato della legione delta Rapace dei Vitelliani, ucciso all'impensata
dal figliuolo che nelle legioni trovavasi di Galba. Non parla degli
stabilimenti formali dai Vitelliani nei campi di Ottone presso Cre-
mona, il che l’ira o almeno la gelosia destò de’Flaviani contro i Cre-
monesi , e loro fu cagioue di infinite sciagure, non meno che la ri-
cordanza de’ giuochi dati in quella città a Vilellio. Le omissioni di
Sifl ino mi hanno talvolta forzato ad essere meno scarso e meno breve
di quello che io avrei bramato, nelle mie note al testo.
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! 7 3
fosse Mudano, tosto cangiarono d’animo (i), e vinti
da quelle grida , fuggirono , ( perciocché in questo
modo spesso le più piccole cose i già smarriti gran-
demente costernano ) ; e ridottisi en tro le mura ,
stendendo le mani , supplichevoli pregavano ; è sic-
come da alcuno esauditi non erano, il console sciol-.
sero dalle catene , e ornato della veste consolare e
dei fasci , mandaronlo ad avvalorare le loro suppli- .
che, e l’alleanza domandata impetrarono. Perciocché
Allieno per la sua dignità e per la sciagura sua fa-
cilmente riuscì a. persuadere Primo che le condizioni
loro accettasse (2),
XV. Poiché però furono aperte le porte , c tutti
trovaronsi al sicuro , una irruzione generale fu fatta
e tutta la città fu con rapine ed incendj devastata.
Fu questa calamità non inferiore alle altre gravissi-
' (i) Forse in quella legione trovavansi i Sirj , che Corbulone chia-
mati aveva a militare contro i Parli. Moto è altronde il rito degli
orientali di adorare il Sole. Ma come mai Gallica dicevasi quella
legione , il che trovasi anche iu alcune iscrizioni ? lo dubito , giac-
ché alcuno noi. disse, che in essa si trovassero alcuni dei Gallo-
Greci, o dei Galli - Asiatici, dei quali spesso si trova menzione negli
antichi scrittori.
(à) Allieno era stato da Vilellio crealo console con Valente. Ta-
ccilo dice positivamente che sciolte furono le di lui catene, sebbene
Dione non faccia menzione che dei vincoli nei quali era stato po-
sto dai rivoltosi. Il solo Giuseppe Flavio liberalo lo credette da
Primo. Tacito narra iu vece che Allieno , o Cecina com* egli lo
nomina , comparso essendo nel campo dei Flàviani , colla pompa
consolare gli irritò, mentre già piegati si erano alla compassione
verso i Vitelliani , e che salvo fu solo quel consolo , accusalo di su-
perbia , di crudeltà e di perfìdia, per opera di Primo, che guardie
gli diede e maudollo a Vespasiano» <
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*74
me , perchè Cremona era di grandissimi e bellissimi
edilìzi ornata , e grande copia di danaro era stata
in essa raccolta dai cittadini e dai forestieri. A que-
sta città maggiore guasto arrecarono i Vitelliani, sic-
come quelli che le case dei ricchi e le uscite delle
• vie accuratamente esplorate avevano. Nè loro in-
crebbe il rovinare que’cittadini, per i quali pugnato
. avevano ; ma non altrimenti che se ingiuria avessero
da essi ricevuta , e vinti gli avessero , osarono bat-
terli , ed anche ucciderli , cosicché con quelli che
caduti erano nella pugna , vennero a mancare cin-
quantamila uomini (i).
XVI. Avvertito Vitellio di questa strage, cominciò a
mostrarsene violentemente commosso, turbato trovan-
dosi alquanto eziandio dai prodigi, perchè offerito aven-
do certo sacrifizio, mentre ai soldati parlava, piombò
gran numero di avoltoi e le vittime lacerò, e quasi lui
medesimo scosse dal suo tribunale ; ma molto più afflit-
to dall’annunzio della sconfitta ricevuta. Per questo
il fratello suo mandò sollecitamente a Terracina (a),
(i) Nota Tacilo che Cremona fu devastata a8G anni dopo la sua
fondasione ; che gran parte dell' Italia congregata vi si trovava per un
mercato ( o forse una fiera ) io quei giorni stabilita; che agli assalitori
serviva di eccitamento la speranza di ricchissimo bottino. Giuseppe
Flavio periti asserisce 3o, aoo Vitelliani , 5oo Flaviaui, ai quali
dorrebbero aggiognersi , secondo Dioue, circa i5, ooo uccisi in Cre-
mona. Forse questo numero è eccessivo.
(a) Riferendo Tacilo i prodigi allora osservali , noia con gran-
dissimo senno che il principale prodigio era Vitellio stesso, ignaro
della milizia, sprovveduto di consiglio. Il fratello di esso, di cui qui
si parla, era Lucio , già successore di 'Aulo nel , proconsolalo del-
l’Africa, posto da poi alla difesa della città. Terraciua era stata oc-
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175
e per di lui mezzo occupò quella piazza ben munita.
Ma allorché i duci di Vespasiano a Roma si avviai
rono (1), dal terrore fu per tal modo istupiditole
alterata ne ebbe la mente per modo , che nullg più
con sicurezza faceva o sentiva , ma smarrito su e
giù correva , come in grandissima procella. Percioc-
ché tal volta T imperio studiavasi di difendere , ed
alla guerra pienamente preparavasi ; tal’ altra quel
pensiero deponeva ed a vita privala del tutto si ac-
comodava 5 indossava qualche volta la clamide pur-
purea e la spada cigneva , altra volta vestivasi di
un abito oscuro ; allocuzioni teneva nel palazzo e
nel foro , ora di una , ora d’ altra natura , e i sol-
dati ora a combattere , ora a concliiudere la pace
esortava ; affettava in parte di tutto sacrificarsi per
cupata da CI. Giuliano, il quale ottenuto avendo da Vitellio il co-
mando della flotta e de' gladiatori , dato crasi al parlilo di Vespa-
siano $ ma Lucio facilmente riprese quella piazza , dai gladiatori e
dai marinai mal custodita. Egli ricuperò anche la flotta , del che
si ha la prova in una medaglia ; ed alcuni opinano che s’ egli dopo
quella vittoria recato si fosse a Roma , avrebbe potuto cangiare
1’ aspetto delle cose.
(t) Primo e Varo duci dei Flaviani, stanchi'di un’inutile dimora,
indotti dal romore sparso che assediato fosse il Campidoglio, celebrati
avendo an Otricoli i Saturnali, s’incamminarono a Roma. — Marra
Tacilo che Vitellio ai duci Flaviani per leLlere , a Flavio Sabi-
no , fratello di Vespasiano in voce, salute, danaro ed anche la ces-
sione dell’imperio promettesse, massime da che udito aveva la defe-
zione di una legione e di alcuue coorti , le quali a Marni cambiate
avevano d’ insegna ; che poscia, opponendosi tutti alla di lui abdi-
cazione . nel palazzo rientrò e preparossi alla difesa. Forse Dione
que’ fatti non trasandò , ma il grammatico compilatore fu contento
di descrivere P agitazione • I’ incertezza delle operaiioni di Vitellio.
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176
la repubblica, in parte di conciliarsi la compassione,
e il figliuolo per questo che nelle mani teneva , ac-
carezzando andava, e nella conclone mostravaio; i
pretoriani congedava, poi li richiamava; nella casa
del fratello riducevasi , il palazzo abbandonando ,
poi in questo tornava ; cosicché per queste strava-
ganze anche gli altri per la maggior parte le pre-
mure loro rallentavano. Perciocché qualora correre
lo vedevano qua e là con grandissimo furore, più i
di lui comandi non eseguivano , nè più curavano le
cose di lui che le loro proprie, e per molte cagioni
a ridere cominciarono , specialmente perchè nelle al-
locuzioni la spada ai consoli ed al senato offeriva ,
quasi con quella 1’ imperio depoueudo ; ne riceverla
osando alcuno de’ Senatori , molto più ancora ride-
vano coloro , che presenti trovavansi.
^ XVII. Per le quali cose e massime perchè già
Primo avvicinavasi , C. Quinzio Attico, e C. Cecilio
Semplice consoli*, e Sabino congiunto di Vespasia-
no ( 1 ) , ed altri uomini primarj , tenutosi fra di loro
consiglio , nel palazzo coi soldati del partito loro
ridussero , affinché Vitellio o persuadessero o for-
zassero a deporre l 1 imperio. Ma avvenuti essendosi
nei Germani custodi di Vitellio , malamente da essi
( 1 ) Non si sa di chi parli lo clorico. Già vedemmo un Flavio
Sabino fratello di Vespasiano , prefetto* di Roma; ma diverso da
questo era il consolo Flavio Sabino , che di Vespasiano fratello non
era, secondo il '1111 emoni. Dubita il Reimaro che Dione abbia con-
fuso il secondo col primo ; io crederei piuttosto essere questa una
iucuria di Sitìliuo.
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i?7
ricevuti trovandosi, partono e nel Campidoglio friggo-
no (i). Colà chiamano Domiziano figliuolo di Vespasia-
no e i di lui congiunti , e di presidj si muniscono. U
dì seguente gli assalti dei Vitelliani essi per qualche
tempo respinsero, ma, frastornati essi vedendosi dal-
P incendio degli edifizj che intorno al Campidoglio
trovavansi , i Vitelliani al Campidoglio stesso ascen-
dono , e gran numero dei difensori nccidono (a) ; e
rubato avendo tutto quello che nel Campidoglio era
stato riposto , e dato tra gli altri alle fiamme il
tempio di Giove Ottimo Massimo , presi Sabino ed r
Attico, a Vitcllio li mandano (3), giacché Domiziano
(i) Flavio , come prefetto della oiltà , comandava alle coorti ur-
bane ed anche ai vigili ; ma i Germani erano fedelissimi cusiodi de-
gl’ imperatori , e Tacito nota che animosissimi eraosi mostrati con-
tra Sabino. Giuseppe Flavio nota altresì , che da essi etti stato as-
sedialo il Campidoglio. Il testo originale porla Celti invece di Ger-
mani , ma ben si vede che Germani erano con qual nome indicali,
(a) La fuga di molli nel Campidoglio avveuuta era nella nuLte ,
secondo Giuseppe Flavio , secondo 't acito nel giorno ,• e nella notte
introdotti si erano Domiziano e i figliuoli di Sabino stesso. Mola
pure Tacito che spedilo si era I’ avviso ai Flaviani, affinchè pronto
soccorso recassero , e che mandalo crasi pure Marziale a Vilellio ,
perchè si lagnasse dei palli violati. Nel giorno seguente, cioè nel
19 di decembre , avvenne I’ incendio , che dai Vitelliani suscitato
dice Giuseppe Flavio , benché Tacito lasci dubbio se questo avve-
nisse per fallo degli assediali o non piuttosto degli assediami. Il
console Attico, fatto prigioniere con Sabino, diebiarossi egli stesso
amore dell’ incendio , ma questo fece egli per diminuire l’odio ec-
citato conira i Vitelliani.
( 3 ) Il solo Aurelio Vittore suppose Sabino abbrucialo nel Cam-
pidoglio ; Tacito dice all’ iueootro che Sabino ed Attico incatenati,
condotti furono iuuanzi a Vilellio , e che la parte più stolida della
UtosK, turno ly, /.* ci Siringo. 11
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178
e Sabino figliuolo di Sabino , nel primo tumulto dal
Campidoglio erano fuggiti, e celati in alcune case,
erano rimasti occulti.
XVIII. Poiché non lontani trovaronsi i soldati di
Vespasiano , che condotti erano da Q. Petilio Ce-
reale , uno de’ primarj senatori ed affine di Vespa-
siano stesso (t), e da Antonio Primo (giacché giunto
non era per anco Muoiano ) , un timore straordinario
Vitellio concepì. Perciocché quelli per mezzo di in-
ternunzj da prima , poi di lettere inserite nelle bare
dei defunti (a) , nelle corbe che frutta contenevano ,
plebe con grandi grida il supplirlo di Sabino chiedeva. Riuscirono
di fatto i tumultuanti a far ritirare Vitellio, che già su i gradini del
palasso trovatasi , ed allora fatto avendo in pesti Sabino , gli ta-
gliarono il capo, ed in luogo infame lo gettarono. Accusavasi da
alcuni Sabino , perchè un luogo inespugnabile come il Campidoglio,
non avesse saputo difendere contra tre sole' coorti. Domiziano fu
nascosto da prima presso il custode della porta, poi in abito sacer-
dotale , mescolato col popolo , salvossi , e quindi una cappella eresse
da poi ed un’ ara a Giove Conservatore , e giunto all’imperio, anche
un tempio a Giove Custode.
(1) Cereale il rimanente dell’esercito precedeva con 1000 cavalli,
e poco lungi dalla città su la via Salaria assalito fu in mezzo alle
case ed agli orti, il che riusd alla cavalleria svantaggioso. Egli era
alato battuto anche nella Britannia sotto Nerone , e Svetonio Pao-
lino , governata avea quindi la Germania, e consolo fn poi dichia-
rato da Vespasiano.
(a) Ai fiatati porta l’originale, e sono queste casse di legno co-
perte , nelle quali i cadaveri de’ plebei riponevansi con qualche ma-
teria combustibile , affinchè imposte al rogo coi cadaveri si abbru-
ciassero. 1 cittadini più agiati non si riponevano nelle casse , ma su
di un letto , e quelle casse fuori della città portavansi , perché vie-
tato eia il seppellire alcuno entro le mura. Si vede da questo passo
che gli antichi molto bene intendevano la pratica della esploratone
o di quello che ora dicesi lo spionaggi.
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>79
o nelle canne degli uccellatori , di tutto quello che
nella città facevasi , istrutti erano , e a norma degli
avvisi si consigliavano. Allora poi che le fiamme
vedute avevano alzarsi dal Campidoglio , come da
qualche specola, si affrettarono, e tra questi Cercale
il primo colla cavalleria alla città drizzossi. [li quale
veramente nell’ ingresso medesimo fu vinto, intercet-
tato essendo coi cavalli in luogo angusto ; sostenne
tuttavia l’ impeto de’ nemici , cosicché danno alcuno
non ricevette. Vitellio intanto , lusingandosi che la
vittoria egli ottenendo , si sarebbe venuto ad accor-
do , i soldati suoi tratteneva ] , e convocato avendo
il senato , legati scelti da quel corpo colle Vestali
spediva a Cereale.
XIX. Questi , alcuno ascoltarli non volendo , e
trovandosi essi medesimi in pericolo della vita , da
Primo si recano , il quale egli pure già alla città
avvicinavasi, ed ottengono di potere con esso parlare.
Nulla però fecero essi per questo ; ma dai soldati, che
con grande furore contro Vitellio portavansi , i pre-
sidj posti al ponte del Tevere facilmente furono dis-
sipati. Perciocché vietato essendo loro il passaggio
da coloro che il ponte custodivano , i soldati a ca-
vallo valicarono il fiume a nuoto , e que’ difensori
alle spalle assalirono. Altri quindi da altra parte fa-
cendo irruzione nella città , non si trattcnero da al-
cuna scelleratezza , e moltissimi ancora trucidando
commisero tutti quc 1 delitti, che a Vitellio ed ai Vi-
telliani si apponevano , e per cagione dei quali si-
mulavano di f^re loro la guerra. Molti a vicenda
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perirono dei soldati di Vespasiano , giacché colle te-
gole colpiti erano dai tetti delle case , e nelle vie
anguste dalla moltitudine di coloro che resistevano ,
erano oppressi, cosicché in que’ giorni caddero presso
a poco cinquantamila uomini.
XX. Mentre adunque si saccheggiava la città ed
altri pugnavano , altri fuggivano , e que’ medesimi
poi rapine e stragi parimenti commettevano , affinchè
reputali del numero di coloro , che invasa la città
avevano , conservati fossero illesi ; Vitellio per lo
timore , vestito di un sajo lacero e sordido , si na-
sconde in una oscura cella, ove i cani nutrivansi (i),
disegnando di fuggire nella notte a Terracina presso
il fratello; ma ricercato diligentemente e scoperto dai
soldati (a) (giacché non poteva lungamente rimanere
celato colui che era stato imperatore ) viene preso ,
tutto coperto di sozzure e di sangue , perchè i cani
morsicato lo avevano ; stracciata quindi la di lui
veste , legate le di lui mani di dietro ed un capestro
postogli al collo , i soldati Cesare conducono fuori
(l) Scrissero altri che nascosto si fosse Vitellio nella cella del
guardiano della porta, e Svclonio solo aggingne che legalo era al-
l’uscio di quella cella il cane. Tacito però dice che occullossi pu-
denda laltbra , e questa potrebb’ essere anche un canile. Il solo Giu-
seppe Flavio narrò che negli ultimi momenti Vitellio splendidamente
banchettato aveva e largamente bevuto.
(a) Da Giulio Placido tribuno di una coorte, secondo Tacito.
Svelonio soggiugne che estratto dal nascondiglio e non conosciuto es-
sendo, ingannò per qualche tempo colle menzogne. Scoperto alfine,
non cessò di pregare che custodito fosse , dicendo di serbate qual-
che segreto per la salute di Vespasiano importantissimo.
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1 8 1
dal palazzo , nel quale tanto lusso sfoggiato aveva ,
e per la via sacra strascinano quell’ imperatore, che
superbamente più volte era stato per quella in regale
sedia portato , e lo stesso Augusto al foro condu-
cono , nel quale spesso tenute aveva le sue allocu-
zioni. Colà altri lo schiaffeggiano , altri gli strappano
la barba , tutti lo beffano e lo caricano di contu-
melie , rinfacciandogli tra le altre cose la vita sua
lussuriosa, perchè il ventre obeso aveva (i).
XXI. E siccome Vitellio da grande vergogna per
queste cagioni oppresso , chinando il capo la terra
guardava , i soldati coi pugnali sotto il mento lo
pugnevano , affinché suo malgrado il viso rialzasse ;
il che osservando certo Germano (a), più lungamente
(i) Qualunque genere di strapazzi lecito era contra i colpevoli,
e non solo ai lillofi ed ai soldati , ma al popolo ancora ne era data
la facoltà. La parola che io ho tradotto schiaffeggiare, significa ve-
ramente vergheggiare , ma dottamente osservò il Reimaro che quel
vocabolo si è usurpato piò volte anche per indicare gli schiaffi , e
questo riesce assai più applicabile al caso di Vitellio. — - Gli impe-
ratori da Augusto fino ad Adriano non portavano se non pochi peli
su le gnancie ; ma si osserva che Vitellio, venuto in uno stato ca-
lamitoso e sempre piangente', la barba aveva lascialo crescere. — -
Una specie di epilogo aveva forse inserito Oione di tutti i rimpro-
veri dati a Vitellio , ma il compilatore non conservò) che il rimpro-
vero del ventre obeso. Svetonio dice che altri incendiario lo voci-
feravano, altri patinarlo per la sordida sua gola ; che una parte del
volgo gli rinfacciava i corporali difetti , cioè 1’ enorme grassezza , il
viso per la vinolenza rubicondo e la eccessiva pinguedine del ventre.
(a) Anche in questo luogo è scritto un Celta. Tacito però dice
che uno dei soldati germani gellossi sopra Vitellio con impeto , e
che incerto era tuttora, se per ira lo facesse o per sottrarlo ai ludi—
brj , o se offèndete volesse il tribuno , al quale un orecchio tagliò ,
e tosto fu da piò colpi trafitto.
non sopportò , ina mosso a compassione , disse :
« io nel solo modo ch’io posso, ti presterò ajuto ».
Lo ferì adunque, e quindi sè stesso uccise. Nè morì
tuttavia Vitcllio di quella ferita , ma trascinato fu in
carcere , dove trascinate furono parimenti le di lui
statue colla giunta di molli detti procaci , tanto ri-
dicoli, quanto osceni (i). Colà Vitellio sommamente
. addolorato per quello che soffriva ed udiva , disse :
« io fui tuttavia una volta il vostro imperatore ! »
Per la qual cosa sdegnati i soldati , condotto aven-
dolo alle scale gemonie , lo decollano , e il di lui
CBpo reciso portano intorno per tutta la città fa).
XXII. Vitellio fu poscia dalla moglie dato a se-
poltura , vissuto avendo presso a cinquantaquattro
anni [ oltantauove giorni ] e regnato un anno , meno
dieci giorui (3). Mosso crasi il di lui fratello da
(!) Conira le statue e te immagini si procedeva o per decreto del
Senato o per furore del popolo; quindi le medesime venivano spesso
strascinate, come se condotte fossero al suppliiio , tra i ludibrj del
popolo medesimo, ed alcuni i volli coulra il suolo spezzavano, al-
tri incrudelivano colle scuri, non altrimenti, dice Plinio il giovane,
che se qite’ corpi do'ore risentissero, o il sangue ne sgorgasse. A
Vitellio si aggravò il dolore, perchè le sue statue insieme con esso tratte
furono al carcere affine di moltiplicare gli insulti. Il solo Dione parla
di questo imprigionamento delle statue ; Tacilo riferisce soltanto che
Vitellio fu costretto a vedere le sue statue cadenti o rovesciate.
(3) Dione parla soltanto delle Scale , omettendo 1’ epiteto di Ge-
mmi’ e , come i Ialini Gemonie scrivevano d’ordinario senza nomi-
nare le scale. Erano però queste da Dione collocale presso il car-
cere Tulliano, non lontano dalle radici del Campidoglio, ed anche
Svctonin , Tacilo, Eutropio ed Aurelio Vittore, notano che Vitellio
fu colà decapitato; il solo Eusebio lo credette ucciso nel palazzo.
(3) Avvenne la morte di Vitellio, per quanto apparisce dalle
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i83
Terracina, affine di recargli soccorso ; ma in viaggio
udita avendo la di lui morte , ed incontrati avendo
i soldati che contra di esso erano spediti, con questi
patteggiò della sua salvezza. Nè per questo egli tardò
molto ad essere ucciso , e quindi lo fu pure il fi-
gliuolo di Vitellio (1) , sebbene Vitellio tolta non
avesse la vita ad alcuno t nè pure dei congiunti di
Ottone o di Vespasiano. Compiute già essendo tutte
queste cose , giunse Muoiano , ed egli non solo co-
minciò con Domiziano a disporre delle cose tutte ,
ma anche presentollo ai soldati , affinchè , sebbene
fanciullo una allocuzione in mezzo ad essi tenesse ;
allora cento monete sesterziali date furono a ciascun
soldato (a).
storie di Gioseppe Flavio , nel giorno ao di decembre. Quegli ot-
tantanove giorni sembraoo aggiunti da Zonara , ma secondo quel
computo morto sarebbe Vitellio nou nel giorno ao , bensì nel ai di
quel mese. Svetonio attribuisce a quell' imperatore cinquantasetle
anni di vita , nel che convengono anche Tacito , Entropio ed Au-
relio Vittore.
(t) Questi non fu ucciso se non nell’anno seguente 8a3 per or-
dine di Mudano, il quale temeva di vedere rinnovarsi le discorditi
e le guerre. Una figliuola di Vitellio fu splendidamente maritata da
Vespasiano, forse con Valerio Asiatico, al quale era stata dal pa-
dre promessa.
(a) Oione e Giuseppe Flavio l’ ingresso di Mudano riferiscono nel
giorno susseguente alla morte di Vitellio , e Domiziano dicono pre-
sentalo ai soldati ed al popolo, e stabilito reggente sino all’arrivo
di Vespasiano. Ma Tacito fa gingnere Muoiano assai più tardi,
benché Domiziano fosse Cesare salutato nel giorno stesso della morte
di Vitellio. Il Senato con decreto, aveva lutti gli onori conceduti a
Vespasiano , il consolalo ad esso e a Tito , la pretura e l’ impe-
rio consolare a Domiziano. Il maggior potere in allora risedeva in
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DELLA
ISTORIA ROMANA
» i
DIONE CASSIO
COMPENDIATA
DA GIOVANNI SIFILINO
LIBRO LXVI.
SOMMARIO
Vespasiano fatto imperatore , indicato anche per
mezzo de' prodigj : cap. i. — Insolenza di Mu-
dano e di Domiziano : 2. — Rubellione dei Ger-
mani : 3 . — ■ Di Gerosolima presa da Tito : 4 ~
y. — Vespasiano in Egitto raccoglie danaro: 8. —
I Romani tratta cortesemente , i filosofi caccia dalla
città : 9 - 1 3 . — Per mezzo della concubina Ce-
Antonio Primo; prefetto del pretorio era Arrlo Varo; ma al ghignerò
di Muciano fu tolta qualunque autorità a Primo ed a Varo , e Do-
miziano cominciìr a dominare liberamente. Bella è la espressione di
•Tacito , che questi cogli stupri e cogli adolterj si comportava come
figliuolo di principe ,/ilium principi $ apebat.
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1 85
nide , e da sè stesso accumula danaro : 1 4 - • — Si
erigono il tempio della Pace , ed il Colosso ; Be-
renice viene congedata, i Cinici sono puniti: i 5 . —
Supplizio di Giulio Sabino , e così di Allieno e
di Marcello congiurati : 1 6. — Come Vespasiano
morisse : 17. — Della clemenza di Tito Cesare
Augusto : 18. 19. — Guerra nella Britannia, che
si scorge essere un isola : 20. — Come il monte
Vesuvio ardesse ; incendio di Roma : 2 1 - a 4 * —■ ■
1 Spettacoli; morte di Tito: a 5 . 26.
i *
PERIODO DELLA ISTORIA.
Anni
Anni
Anni
deir Era
di
di
Volgare.
Roma .
Vespasiano.
;°.
8a3.
Consoli. - FI . Vespasiano Aug. per la
seconda volta , e Tito Cesare.
I. 1 luglio.
V-
8 i 4 -
FI. Vespasiano Aug. per la terza
volta, e M. Coccejo Nerva.
II.
7»-
825 .
FI. Vespasiano Aug. per la quarta
volta , e Tito Ces. per la seconda.
III.
73 .
816.
Domiziano Cesare per la seconda
volta, e M. Valerio Messalino.
IV.
74-
r*
C3
CO
FI. Vespasiano Aug. per la quinta
.
volta, e Tito Ces. per la tersa.
V.
75.
8aS.
FI. Vespasiano Aug. per la sesta
volta, e Tito Ces. per la quarta.
VI.
76.
829.
FI. Vespasiano per la settima volta.
e Tito Ces. per la quinta.
VII.
77-
83o.
FI. Vespasiano per l’ottava volta.
, e Tito Ces- per la sesta. Vili.
78 .
83>.
L. Cejonio Commodo, e D. Novio
Prisco.
IX,
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i8 6
Anni di Tito •
79-
83a.
FI. Vespasiano per la nona volta (
c Tito Cesare per la sesta.
I. a3 giugno.
80 .
833.
FI. Vespasiano per l’ottava volta,
e Domiziano per la settima.
II.
81 . ,
834-
L. FI. Silva Nonio Basso, ed Asinio
Poli ione Verrucoso.
III. f i3aeu.
I. Fatte queste cose, Vespasiano anche dal senato
è creato imperatore, e Tito e Domiziano sono Cesari
designati (i) • inoltre Vespasiano e Tito assumono
la consolare dignità , mentre uno nell' Egitto, 1' altro
nella Palestina trovava-si. A Vespasiano da lungo
tempo il regno era stato coi prodigj annunziato.
Perciocché in una campagna , nella quale egli gran
parte della- vita traeva , un bue , fattoglisi innanzi
mentre cenava , le ginocchia piegò ed il capo sotto-
pose ai di lui piedi , e di nuovo , mentr’ egli ciba-
vasi, un cane sotto la di lui mensa deposc la mano
di un uomo. Così pure un cipresso altissimo per la
violenza de’ venti ( 2 ) dalle radici schiantato , nel dì
seguente rialzossi da sé stesso e continuò a vegetare.
Fu altresì avvertito in sogno ch’egli principe romano
sarebbe , qualora Nerone Cesare un dente avesse
perduto , e questo avvenne il giorno susseguente al
sogno. Che anzi lo stesso Nerone fu da esso veduto
( 1 ) Quindi la medaglia riferita dal Metzabarba e dallo Spanemio
eoi lemma titvs et non ìTrAti . caesabes paure, iwemt.
( 3 ) Senza alcuna procella , dice Svetonio , il che veramente può
sembrare prodigioso.
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187
una volta mentre riposava , il carro di Giove con-
durre nelle case di Vespasiano (1). Tutte queste cose
però di interpretazione abbisognavano {%). Ma Giu-
seppe , giudeo di nazione , già da prima fatto pri-
gione di Vespasiano ed incatenato , ridendo disse :
« ora tu mi cignerai di catene , ma di qua a un
anno , allorché imperatore sarai fatto , mi scioglie-
rai ( 3 ) ».
II. Era dunque Vespasiano , al paro di alcuni al-
tri , nato al principato. Ma siccome egli ancora tro-
vavasi nell’ Egitto , Muoiano tutte le cose dell’ im-
perio insieme con Domiziano amministrava , e gran-
demente-vantavasi , conte se egli l’ imperio a Ve-
spasiano procurato avesse, e tra le altre cose ancora
che fratello fosse da esso nominato, e che la facoltà
avesse , quasi ancora seuza alcun mandato di Ve-
spasiano, di fare e di scrivere qualunque cosa a suo
arbitrio, aggiugnendo soltanto il nome di Vespasiano
medesimo (4) 5 e per questo 1’ anello portava , che
(1) T«» Alar i£a> nell’ originale. I Latini davano a que’ carri
«acri il nome di thensae , ed allorché ne’ giuochi conducevansi, gli
imperatori solevano accompagnarli.
(a) Si , dopo il fatto avvenuto ; dice a proposito il Reimaro.
Anche l’avveduto Tacito, parlando de’ prodigi che l’ impero a Ve-
spasiano promettevano, soggiugne : posi fortunam credidimus .
(i) Giuseppe fu fatto prigione dopo la presa di Jotapa nell’ anno
di Roma 8ao ; e con questo augurio o questa profezia pii dolce
cattività ottenne e quindi per intercessione di Tito fu liberato ,
spezzale essendosi non sciolte le di lui catene , come si costumava
con coloro che ingiustamente erano stali incatenali.
( 4 ) Egli solo , secondo Tacilo , voleva essere corteggiato e vene-
rato ; circondalo di armali , le case e gli orli permutava a ea-
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i88
ad esso Vespasiano aveva mandato , affinchè le cose
da esso per editto pubblicate , munite fossero del
sigillo del principe (i). [Egli e Domiziano adunque
molte magistrature e prefetture conferirono , e molti
presidj , e consoli gli uni dopo gli altri designarono ].
In somma le cose tutte per tal modo a piacer loro
facevansi , non altrimenti che se essi imperatori fos-
sero , che Vespasiano scrisse alcuna volta a Domi-
ziauo : « figliuolo , ti ringrazio , perchè tu mi per-
metta di ritenere il principato , e non mi abbi an-
cora da quello espulso (a) ». [ Muoiano poi voleva
egli solo più di tutti essere rispettato , e di cattivo
animo sopportava , non solo se alcuno iag-4>riato lo
avesse , ma ancora se tributato non gli avesse i più
sublimi onori. Siccome adunque fuor di modo favo-
reggiava coloro dai quali il più lieve omaggio rice-
priccio , e nel contegno , nel portamento , nelle guardie , il potere
sfoggiava di principe, benché il nome non ne portasse. Altrove
Tacito descrive Muoiano supeiho verso la repubblica , ingiurioso
verso il principe, perché vaotavasi di avere avuto nelle mani l'im-
perio e di averlo donato a Vespasiano. La forza , die' egli in altro
luogo , era presso Mudano : ma molle cose osava fare Domiziano ,
o per propria libidine , o per istigazione degli amici. Il di lui nome
altresi apponevasi alle lettere ed agli editti.
(i) Augusto dato aveva 1’ anello suo a Mecenate e ad Agrippa.
I.a facoltà di promulgare editti e di munirli del sigillo , accordavasi
talvolta dagli imperatori ai loro più fidi ministri , o nei civili tu-
multi , o allorché qualche provvedimento oou ammetteva dilazione.
( 3 ) Se questo scrisse Vespasiano , fu probabilmente allorché Do-
miziano s ! . fece lecito di abrogare i consoli stabiliti da Vilellio , e
in un giorno distribuì più di venti oflficj nella città e nelle provin—
eie. Svetonio dice , che Vespasiano stupiva, perché anche un suc-
cessore non gli deputasse. .. ..
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iS 9
vtito aveva , cosi contro gli altri tutti odio acerbissi-
mo dimostrava]. Inoltre da qualunque parte poteva,
infinita copia di danaro sollecitamente nell’ erario
accumulava , e la colpa sopra di sè ne assumeva di
Vespasiano in vece , dicendo al tempo stesso , che
la pecunia i nervi costituiva del principato (i). Per
la qual cosa , siccome autore egli’ facevasi dell’ adu-
namento del danaro da ogni parte a favore di Ve-
spasiano , così egli fino da principio non cessò dal
raccogliere monete , e quindi grandissima quantità
di danaro all’ imperio procurò, grandissima egli pure
ne acquistò. (
III. Altre ribellioni insorsero allora nella Germa-
nia contro i Romani , delle quali la memoria all’i-
stituto nostro non giova (a) ; certa cosa avvenne
però degna d’ ammirazione. Giulio Sabino ( 3 ) , pcr-
(i) L’erario era difatti rimasto esausto dopo le lussuriose strava-
ganze di Nerone e di Vitellio , e sotto Mudano si era proposto nel
Senato di levare un grandioso imprestilo dai privati.
(a) Il testo originale dice : non serve all' uso nostro , il che io ho
tradotto con qualche licenza , lauto più che non ben veggo , come
straniere all’ argomento possano reputarsi le rubellioui della Ger-
mania , delle quali Oione stesso parla in appresso , e Tacito grau
parte della sua istoria riempi. Apparlengouo a quel periodo le iu-
surresioni di Claudio , o piuttosto Giulio Civile , nato di regia
stirpe tra i Baiavi , il quale , fingendo di sposare il parlilo di \ e-
spasiauo conira Vitellio , dopo la morte di questo assaliti aveva i
Romani; e la influenza esercitata da Velleda vergine indovina / che
una specie di dominio assumo aveva , e molti danne ai Romani
arrecali. ■ -,
(3) Tacito nota, che da Giulio Cesare vantavasi di discendere per
mezzo della proava sua, la quale Cesare, mentre nelle Gallie guerreg-
giava , conosciuta aveva per adulterio.
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* 9 °
sonaggio primario tra i Litigoni, un'armata egli pure
riunì, e Cesare fu cognominato, perciocché da Giu-
lio Cesare descendeute dicevasi. Vinto quindi in al-
cune battaglie, in certa campagna fuggì, e colà in
un sepolcro sotterraneo, al quale egli da prima avea
dato il fuoco , entrò ; e siccome costante era 1’ opi-
nione che perito egli fosse , per lo spazio di nove
anni vi rimase colla moglie nascosto, e da essa due
figliuoli ottenne. Le ribellioni poi della Germania
Cereale compresse , date avendo molte battaglie , e
in una di queste perì numero sì grande di Romani
e di barbari , che i cadaveri degli uccisi il corso
trattennero di un fiume che colà scorreva. Domiziano
per quelle cose che fatte aveva , e molto più per
quelle che aveva tentate ( giacché nulla di lieve
egli meditava (i) ) conceputo avendo timore del
padre , nel monte Albano (a) per lo più dimorava.
Questi volto erasi ad amoreggiare Domizia figliuola
(i) Il Reimaro crede che questo passo ai riferisca all* insolenza
sviluppata da Domiiiaoo nella città, ed all* affettazione del supremo
comando nelle armate. Io loti’ altra cosa credo di vedere in quella
frase , che Domiziano cose non lievi meditava ; noto è diletto per
la relazione di Tacito , che per mezzo di segreti messaggi tentata
egli aveva la fede di Cereale , lusingandosi che quello 1’ esercito e
l’imperio dato gli avrebbe, per il che uon è ben noto, dice quello
Storico , se guerra muovere volesse al padre , o le forze e il danaro
riunire conira il fratello. A queste trame tendenti ad usurpare l’im-
perio , io credo doversi piò veramente riferire le parole di Dione.
(a) Cioè alla villa situata sotto quel moute , come si raccoglie da
tulli gli altri scrittori. Tacito parla della rocca o del castello di
Albano, e probabilmente in questa lenevasi Domiziano come in una
fortezza .
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* 9 *
dì Corbulooe , e via condotta avendola dal di lei
marito Lucio Lamia Emiliano , seco la riteneva nel
numero delle amiche, e poscia moglie sua la fece (i).
IV. Intanto Tito duce della guerra contro i Giu-
dei [cominciò a fare ogni sforzo onde conciliarsi gli
animi loro per mezzo di ambasciate e di alcune pro-
messe ; ma vedendo che persuadersi non potevano ,
stabilì di trattare la cosa colle armi (a). E pugnato
avendo nei primi conflitti con incerta sorte , dive-
nuto quindi superiore assediò Gerusalemme. Era que-
sta colla fortificazione dei tempio , cinta da tre mu-
ra. I Romani adunque i terrapieni sino alle mura
conducevano , e le macchine applicavano , ed a zuffa
venendo con coloro che uscivano , le loro sortite re-
primevano , e quelli pure che stavano sulle mura
colle fionde non meno che coi dardi allontanavano ;
giacché gran numero di soldati anche da alcuni bar-
bari era stato ad essi mandato j i Giudei parimenti
(i) Svetonio narra , che dopo di avere moki mariti vituperati,
abusando delle mogli loro, finalmente Domina Longina rapi ad Elio
Lamia , il di cui vero nome era Lucio Elio Plauiio Lamia , come
ai raccoglie dal monumento dei fratelli Arvali- Questi fu console
costituito nell' anno di Roma 834 '■> fu poscia mandalo a morte da
Domiaiano.
(a) Nata era la guerra giudaica sotto il procuratore Gessio Floro,
e tentato avendo di sopirla Cestio Gallo legato nella Siria , era
alato disfallo con grande strage de’ suoi; sotlentrato a quel comando
Vespasiano , tutte le città in due anni conquistate aveva a riserva
di Gerusalemme. Tito al principio dell’anno 8a3 tentalo aveva più
volle di venire ad accordo eoi Giudei, e più volle aveva loro man-
dato Giuseppe Flavio , pigliando in testimonio Dio e gli uomini ,
ohe di mala voglia si accigneva a distruggere la ciuà ed il tempio»
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assistiti da molti , parte di quella loro regione, parte,
di coloro che della stessa religione erano , non solo
dell'imperio romano medesimo, ma ancora dei luo-
ghi posti al di là dell' Eufrate , dardi e sassi lan-
ciavano , quinci colle mani , quindi colle macchine ,
con impeto assai più veemente , siccome da luogo
più elevato (i). Conciossiachè qualunque volta l'oc-
casione lo portasse, di notte ed anche di giorno fuori
della città uscendo , alle macchine il fuoco appicca-
vano , molti trucidavano , e la terra altresì scavava-
no , e questa sotto le mura riducevano ; gli arieti
poi dei nemici altri con lacci gettati attraevano, altri
smovevano con uncini , e 1' urto degli altri evitavano
fi) L’assedio cominciò nel giorno <4 di aprile dell’anno 8 u 3 , in
tempo appunto che i Giudei tutti erano congregati per la pasqua. -
Delle tre mura menzionale dallo storico, una cigueva il monte Sion
e la città atta , e munita era di sessanlatre torri ; la seconda o
quella di metto munita era di quattordici torri ; la lerta chiudeva
anche il monte Belieta , e da novanta torri era fiancheggiata. -
Credette il Leunclavio , che da principio parlasse Dione di soc-
corsi spediti ai Giudei ; ma anche Giuseppe Flavio parla degli ausi-
liarj ai Romani spediti da Antioco , da Agrippa , da Soeme , e da
Malco Arabo , non che della cavalleria de'Sirj. 1 Giudei non ave-
vano io ajuto se non se altri della loro religione o pure proseliti ,
che i costumi loro adottavano. Tacito suppone, che 600,000 fos-
sero i difensori della città ; Giuseppe Flavio li porla a tre milioni;
considerando però il numero dei prigionieri, dallo storico medesimo
ridotto a 97,000 , e quello degli uccisi o morti ,11 e I l’assedio, ridotto
1 100.000, io sono d’avviso, che piò al vero si accosti la relazione
di Tacito , qualora con Eusebio non si creda il numero dei morti
maggiore di un milioue. - I Giudei le macchiue adoperavano , che
a Cestio tolte avevano , e Giuseppe Flavio conta fino a 3 oo baliste
e 4* altre macchiue da lanciate sassi , disposte su le muta.
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iq3
con grosse tavole riunite insieme e ferrate che innanzi
al muro si calavano. 1 Romani però sommamente
travagliati erano dalla scarsezza dell’ acqua , che an-
che putrida forzati erano a cercare a grande distan-
za : i Giudei all’ incontro molta ne introducevano
' /
per i sotterranei acquedotti , che formati avevano
dalla città e sotto le mura medesime , fino ad al-
cuni luoghi remoti della provincia ; e per que’ me-
desimi acquedotti uscendo , i Romani che 1’ acqua
andavano a cercare , assalivano , e ai soldati qua e
là dispersi gravissimi danni arrecavano. Tito tutti
que’ meati riuscì a chiudere ( 1 ).
V. Mentre però queste cose facevansi, molti da
una parte e dall’altra feriti o uccisi rimasero. Tito,
stesso colpito da un sasso nell’ omero sinistro , ne
riportò da poi una debolezza nella mano. Finalmente
i Romani giunsero dentro al muro esteriore. E sic-
> come in mezzo a due mura posto avevano il campo,
1’ altro muro assalirono con non felice esito de’ comi
battenti. Perciocché raccolti essendosi tutti gli asse- 1
diati entro questo muro medesimo , più facilmente
( 1 ) Giuseppe Flavia narra all’ opposto , che inaridite si erano
quelle fonti avanti 1’ avvicinamento di Tito , e che al di lui arrivo
più copiose scaturirono. Fórse è più credibile Dione , perchè lo
storico ebreo adulare voleva Tito $ noto è altronde , che la Pale-
stina mancava di fontane, e che intorno a Gerusalemme' non si ot-
teneva acqua se non dalle cisterne. - Quelli che i Greci appellano
txrtlfiut , i latini cuniculos , io ho tradotto acquedotti sotterra-
nei , per uniformarmi anche al contesto , non osando , come altri
fecero, di servirmi del vocabolo troppo recente di mina .
VlOHK, turno IV, 1 0 di Siriuxo. >1
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*94
si difendevano , siccome da un circuito di minore
estensione. Di nuovo adunque fu ad essi da Tito
per mezzo di banditori proposta P impunità , e tut-
tavia essi la oppugnazione sofferivano. Quelli ancora
tra di essi , che o presi erano , o fuggivano , P acqua
dei Romani di nascosto corrompevano , e se alcuni
trovavano isolati , gli scannavano. Tito adunque più
alcuno di essi non ricevette (i). Intanto anche alcuni
Romani , inviliti essendo gli animi loro per P ango-
scia , come accadere suole in un lungo assedio , e
sospettando inoltre che , siccome volgarmente dice-
vasi , la città non potesse essere presa ; dagli asse-
diati passarono , i quali sebbene travagliati da gran*
de inopia di viveri , tuttavia li nutrivano , affinchè
ai nemici mostrassero che anche ad essi i disertori
non mancavano.
VI. Allorché le macchine guerresche rotto ebbero
anche il secondo muro , non per questo debellati
furono i Giudei , ma molti che a forza entrare vo-
levano , trucidarono. Ed incendiati avendo alcuni vi-
cini edifizj , affinchè per questo modo i Romani, se
padroni ancora renduti si fossero di quel muro , da
ulteriore progresso respignessero ; lo stesso muro an-
cora distrussero , e loro malgrado la fortificazione
(i) Giuseppe Flavio narra invece, che i fuggitivi lasciavansi da
Tito andare ovunque volevano , ma che essendosi veduti alcuni di
questi che 1’ oro inghiottito avanti la fuga nei loro escrementi cer-
cavano , i Sir j e gli Arabi cominciarono ad aprire loro il ventre ,
cosicché in una notte sviscerali ne furono fino a due mila. Egli
non accenna , forse per motivo di adulazione , che alcuno dei Ro-
mani fuggisse tra i Giudei.
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ad un tempo incendiarono , che il tempio racchiu-
deva. Così fu ai Romani aperto 1’ adito al tempio.
Non per questo tuttavia subitamente si inoltrarono ,
trattenuti da una specie di religione * ma finalmente
spinti da Tito, appena penetrarono nelle parti inter-
ne. I Giudei molto più lietamente li ricevettero , co-
me se loro propizia occasione si presentasse , nella
quale egualmente e presso il tempio e per il tempio
medesimo , le vite loro combattendo profondessero ;
nella parte più bassa stabilito erasi il popolo al ve-
stibolo del tempio } su i gradini stavano i senatori (i) ,
nel tempio stesso i sacerdoti. E sebbene pochi con-
tra un numero molto maggiore combattessero , non
prima furono vinti , che una qualche parte del tem-
pio fosse incendiata. Perciocché allora altri sponta-
nei alle spade dei Romani presentavansi onde essere
trafitti , altri tra di loro trucidavansi a vicenda , al-
tri da loro stessi davansi la morte , altri finalmente
si slanciavano nel fuoco ]. E tanto agli altri tutti ,
quanto a questi massimamente, non sembrava quella
una morte , ma una vittoria , ma una salvezza , ma
una certa felicità , perchè col tempio stesso periva-
no (a).
VII. Furono tuttavia fatti prigioni in questo mo-
ti) Cosi Dione: meglio si leggerebbe i seniori.
(a) Secondo Giuseppe Flavio, il secondo maro fu due volte espu-
gnalo ; i Giudei il terrapieno o la trincea alzata centra il terso
muro incendiarono ; fu presa finalmente ‘la rocca, detta Antonia , e
allora incendiati vennero i portici d’ intorno al tempio , e il tempio
stesso dato alle fiamme , avanti che Tito potesse arrecare alcun
soccorso ■
196
do , siccome altri, cosi anche il duce loro Bargiora ,
il quale solo nel trionfo subì capitale supplizio (i).
Così Gerusalemme nel giorno stesso di Sabbatp, che
i Giudei ancora al presente principalmente rispetta-
no , fu presa e rovesciata ( 2 ). Da quel tempo fu sta-
bilito , che i Giudei ogni anno due dramme pagas-
sero a Giove Capitolino , tutti quelli cioè che le pa-
trie leggi conservare volevano (3). Per queste cagioni
Puno e l’altro (4) il nome di imperatore ottennero;
( 1 ) Barpora è scritto nel testo , ma forse & questo un errore , e
della lettera r unita alla I si fece un n. Bargiora scrive anche
Tacito; altri scrivono Bargiona. Nel trionfo condotti furono i due
capi , Simoue e Giovanni , che Tacito per errore confuse in un solo,
mentre la stessa cosa erano invece Simonc c Bargiora ; inoltre set-
tanta bellissimi giovani , scelti da Frontone , che Tito aveva pre-
posto ai prigionieri. 11 solo Simone fu ucciso in mezzo alla pompa,
e allora si cominciarono i sacrifizj. - Il tempio fu abbruciato nel
giorno 5 di agosto , la città tutta non fu presa se nou nel giorno 1
di settembre. Il Noris però con molla dottrina ha provata falsa
l’asserzione di Dione e di altri storici, che quella città fosse presa
in giorno di sahbato.
(a) Tutta fu rovesciala c distrutta, lasciate essendosi sussistere
soltanto alcune torri più alte , come monumento della vittoria dei
Romani , e il muro occidentale , affinchè vi ponessero campo i sol-
dati destinati alla custodia.
(3) A porta 1’ originale, c da Giuseppe Flavio si racco-
glie, che due dramme formavano appunto il valore di mezzo sicln.
Questo si volle esigere ancora da Cristo e da s. Pietro , come ab-
biamo in s. Manco.'
(4) Cioè Vespasiano e Tito. Giudaici delti non furono per di-
sprezzo della nazione. Pompeo, che presa aveva Gerusalemme , da
alcuni per derisione detto era Gerosolimario. - Tito trionfò col padre
in uno stesso trionfo, benché due fossero stati ordinati per decreto
del Senato ; non fu però celebrata quella solennità su non dopo il
ritorno del figliuolo.
Dijitize
>97
alcuno però non fu cognominato Giudaico , sebbene
molle altre cose fossero loro per decreto attribuite ,
come a sì grande vittoria si conveniva , e principal-
mente gli archi di trionfo (i).
Vili. Essendo Vespasiano entrato in Alessandria ,
crebbe in un giorno l 1 * 3 inondazione del Nilo piu di
quattro digiti oltre il consueto , il che dicevasi non
essere mai avvenuto se non una sola volta (a). Lo
stesso Vespasiano un cieco ed altro ancora che 1* u-
so non aveva della mano , i quali in sogno erano
stati avvertiti di andare da lui, risanò, aspersi aven*
do di saliva gli occhi dell’ uno e compressa la mano
dell’ altro (3). E con queste cose il Nume venerabile
lo rendette ; nè tuttavia accetto era agli Alessandri-
ni , tanto gravemente ad esso avversi , che in pri-
vato e in pubblico facevansi beffe di lui e lo male-
dicevano. Di questo era cagione che mentre sperato
(i) Due archi di trionfo erano stati per decreto del Senato or-
dinali , 1’ uno a Vespasiano , l’altro a Tito ; ma sembra che ubo
solo ne fosse eretto , giacché uno solo se ne conserva , che è quello
appunto di Tito.
(a) Vespasiano trovavasi ancora in Egitto dopo il solstizio , che
& 1’ epoca ordinaria dell’ incremento del Milo. Narrasi che allora
crescesse l’ inondazione un palmo intero al disopra dell’ ordinario.
(3) Dubitò alcuno, che questi miracoli introdotti fossero nelle
storie solo per deridere quelli di Cristo. Il fìeimaro crede invece ,
che introdotti siensi ad imitasioue di quelli , affine di accreditare
Vespasiano presso una nazione superstiziosa. - Gli infermi porta-
vanti in Egitto nel tempio di Serapide , dove attendevano che in
sogno fosse loro indicato quello che fare dovevano per guarire , e
colà furono avvertiti in soguo i due infermi , che recare dovevansi
da Vespasiano.
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avevano di ricevere da esso qualche grande donati*
vo , siccome quelli che i primi tra tutti fatto lo ave*
vano imperatore ; non solo egli non donò loro alcuna
cosa , ma da essi altresì volle esigere copia di da*
naro. Imperciocché e molte contribuzioni ad essi im*
pose , niun povero nè pure mendico lasciando im-
mune, e dovizie accumulò di tutte le cose pubbliche
egualmente e delle sacre. Molti tributi invero, che già
più non solevano pagarsi, rinnovò , e molti aumentò
di quelli che già erano in uso, (ed altri nuovi ne im-
pose ) ; e lo stesso poscia fece in tutte le altre pro-
vincie sottoposte al romano imperio , ( in Italia ) e
nella città. Per questo gli Alessandrini (aggravati an-
cora , perchè la maggior parte dei diritti regali ave-
va egli venduti ) molti delti procaci contra di esso
lanciavano , e dicevano tra le altre cose che egli sei
oboli esigeva. Per la qual cosa Vespasiano, uomo al-
tronde moderatissimo , fu da sì grande ira commos-
so , che sei oboli per testa ordinò di esigere , e il
disegno formò di punirli. [ Perciocché anche ne’ detti
procaci medesimi la contumelia si nascondeva , e i
metri voltati per ogni modo in anapesti , Io sdegno
di lui necessariamente accendevano] (1). Ma la loro
pena Vespasiano alle preghiere di Tito condonò 5 nè
( 1 ) Gli Alessandrini solevano, al dire di 8vetonio, nominarlo Ci-
biosatle, pigiando quel nome da uno de'loro re, infame per le sue
sordidezze. Gli anapesti poi erano piik d’ ogni altra ragione di versi
alle satire accomodati. Tutti gli antichi parlano della procacità degli
Egizj , e specialmente degli Alessandrini ; Vopisco li chiama ven-
tosi , furibondi , millantatori , vani , perchè ingiuriosi , amanti di
novità e fino di pubbliche cantilene , versificatori , epigrammatarj .
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per ciò gli Alessandrini tuttavia desistevano. Con-
ciossiachè con grandi schiamazzi molti gridarono
verso Tito in pubblica adunanza : « Noi gli perdo-
niamo , giacché non ancora ha imparato a farla da
Cesare ». Così allora, temerariamente esponendosi da
loro medesimi ai pericoli , abbondantemente sfogava-
no la loro libidine di maledire, per la quale sempre
in ultimo vengono puniti , della clemenza dell’ impe-
ratore abusando.
IX. [ Vespasiano , queste cose lasciando da parte,
lettere spedì a Roma , nelle quali la fama restituì a
coloro , che sotto Nerone c i principi susseguenti
erano stati dannati per titolo di empietà (i), sia
che superstiti fossero ) o pure defunti , e tutte tolse
di mezzo le loro accuse. Comandò ancora che gli
astrologi dalla città partissero , sebbene egli pure si
servisse di un peritissimo maestro di quell’arte} co-
sicché a riguardo di certo Barbillo astrologo giuochi
sacri solenni agli Efesj concedette (a) , che ad al-
ti) Io ho tradotto letteralmente ; ma è d' uopo notare che em-
pietà dicevasi volgarmente dai Greci quello che noi ora diciamo
delitto di lesa maestà , giacché empietà nominatasi 1' offesa fatta a
Dio o al genitore, e padre pubblico il sovrano si appellava. Anche
Tacito descrive Albucilla accusata di empietà , cioè di delitto con-
tro il principe. L’ alto tradimento non trovasi se non nella giuris-
prudenza criminale di alcune moderne nazioni.
(a) Mei marmi di Oxford trovasi una iscrizione, nella quale si fa
menzione dei giuochi efestii barbillei. Earbillei e non Babbilclei dee
pure leggersi nella iscrizione farnesiana , pubblicata dal Lipsio e dal
Grulero j giacché spesso que’ giuochi assumevano il nome del loro
istitutore; quindi i giuochi euriclei , adriaaei , ccc. Io ho aggiunto
1’ epiteto di solenni a quello di sacri , perché que’ giuochi molto su-
200
cun’ altra città non accordò ]. Dopo di questo awiossi
a Roma , e ad incontrarlo venne Muoiano coi pri-
marj personaggi fino a Brindisi. Domiziano trovò in
Benevento , il quale tanto diffidava per coscienza
dell’ animo suo delle cose che da prima fatte aveva,
che talvolta pazzo fingevasi. Imperciocché , gran par-
te della vita traendo in Albano , e molte ridicolag-
gini facendo , anche le mosche cogli stili trafiggeva.
Il che sebbene indegno sia della gravità dell 1 istoria,
tuttavia ho creduto opportuno lo scrivere , perchè
abbondantemente fa conoscere i di lui costumi , e
molto più ancora , perchè lo stesso fece creato im-
peratore. Per la qual cosa facetamente fu risposto
da alcuno alla domanda fattagli , che mai Domizia-
no facesse ? « Egli è solo , disse , con esso non avvi
nè pure una mosca. •»
X. Mentre Vespasiano lo spirito borioso di questo
periori erano agli altri detti dooalizj , o privati , e periodici erano
al pari dei Pizj , dei Nemei, ecc. Non altro premio però vi si di-
stribuiva se non la sola corona , la quale però molti privilegi ai
vincitori arrecava. - Svetonio nomina l'astrologo Babilo , che forse
è il Barbillo medesimo. - Alcuno per avventura non ba fatto osser-
vazione alla contraddizione che a tutta prima sembra manifestarsi
net carattere di Vespasiano, il quale , mentre gli astrologi cacciava
da Roma, uno di quegli impostori teneva presso di sè e con grandi
favori onorava. Dione trovò questo, secondo il suo costume, stra-
nissimo ; io altro non veggo in Vespasiano se non un uomo astuto,
il quale, vedendo una notabile influenza degli astrologi sulla eleva-
zione degli imperatori per cagione della interpretazione frequente-
mente richiesta dei varj prodigj , un astrologo a questo fine teneva
presso di sè ed accarezzava , ed al tempo stesso tutti que’ sicofanti
cacciava da Roma , e forse dall' Italia , affinchè alcun altro , tra i
Romani almeno , dell’ imperio non lusingassero.
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QOI
comprimeva , gli altri tutti accoglieva non come im-
peratore , ma come privato e memore della primiti-
va sua fortuna. Cominciò tosto ad edificare il tem-
pio di Giove nel Campidoglio , e il primo si diede
a smuovere la terra, e volle che le altre persone più
illustri lo stesso facessero , affinchè il rimanente del
popolo l’opera sua ricusare non potesse (i). E sic-
come sempre nelle cose pubbliche tutto quello che
era d’ uopo , con grandissima magnificenza spende-
va , e i giuochi con grandissimo dispendio celebra-
va ; così in tutte le altre cose viveva con molto ri-
sparmio , e nulla spendeva oltre il necessario } e per
questo non permetteva ne pure che alcuna vivanda
cotta , a riserva dei legumi , nelle taverne si ven-
desse. Dal che cominciò ad essere manifesto che
egli si grande quantità di danaro non per i piaceri
suoi , ma per gli usi pubblici raccolta avesse (a). Ve-
spasiano del resto quest’ ordine di vita stabilito ave-
va. Di rado abitava nel palazzo , molto si tratteneva
negli orti Sallustiani (3) , e colà riceveva qualunque
(t) Con Dione si accorda Svctonio , ma Tacito e Giuseppe Flavio
gettati asseriscono i fondamenti del Campidoglio, mentre ancora era
assente Vespasiano ; pretese alcuno di conciliare questo dissenso
degli sLorici col supporre al tempo di Vespasiano rimosse le mace-
rie delle mine , il che non sembra potersi ammettere , se già poste
erano le fondamenta del nuovo tempio. L’opera era già perfezionata
nell’ anno 8a4 di Roma.
(a) Svetonio liberalissimo verso tutti appella Vespasiano j Aurelio
Vittore celebra le nuove «pere da esso costrutte in Roma e le città
rinnovale.
(3) Gli orti amenissimi da Sallustio adornati sotto il Qnirinalc
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persona, non solo del senatorio, ma di qualunque
altro ordine. Avanti il giorno ancora , mentre nel
letto tuttora giaceva , parlava con quelli che ad
esso erano assai familiari *, gli altri per le strade lo
salutavano. Le porte della casa reale erano aperte
per tutto il giorno , e sguernite di qualunque custo-
dia. Egli veniva sempre nel Senato , e tutto coi pa-
dri comunicava 5 spesso ancora nel Foro la giustizia
amministrava ; quegli scritti che egli per la vecchiez-
za leggere non poteva, o che assente al Senato man-
dava , comandava il più delle volte che dai suoi
figliuoli si recitassero , in questo ancora onorare vo-
lendo il Senato. Alla sua mensa altresì molti con-
vitati ammetteva ogni giorno , scelti tanto tra i se-
natori , quanto tra gli altri , ed egli pure spesso ce-
nava presso le persone che maggiore familiarità con
esso avevano.
XI. In somma per quello che la cura della repub-
blica concerneva , come imperatore tenevasi ; nelle
altre cose tutte un metodo di vita serbava comune
ed eguale con tutti. Nè soltanto popolarmente scher-
zava , ma soffriva altresì volentieri che di esso me-
desimo giuoco dagli altri si prendesse. Se alcuni
libelli presentavansi senza il nome dell’ autore , co-
me fare solevasi contra gli imperatori , i quali ten-
dessero ad inferirgli contumelia , egli niente sdegna-
to , quelle cose che opportune fossero proponeva.
colle ricchezze , che portate aveva dalla pretura nell’ Africa soste-
nuta , (ino dall' età di Augusto diventarono le delizie degli im-
- paratori .
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203
Essendo però venuto da esso Febo affine di scu-
sarsi , perchè ai tempi di Nerone nella Grecia in tea-
tro , avendo Vespasiano raggrinzata la fronte al ve-
dere l’ imperatore che alcuna cosa faceva contra la
propria dignità, irato imposto gli aveva di andar-
sene , e domandando Vespasiano dove volesse che
egli andasse , risposto gli aveva : « alla malora ; »
A quel Febo, che si difendeva in quella causa, non
solo alcun danno non arrecò , ma nuli 1 altra cosa ri-
spose , se non quelle stesse parole : « va alla ma-
lora! (i) n Nè tampoco rimproverò Vologeso che
scritto gli aveva in questi termini : « il re dei re
Arsace a Flavio Vespasiano salute ; » ma ad esso
rispose colle stesse parole , non apponendo i titoli
imperiali (a).
XII. Siccome però Elvidio Prisco (3) , genero di
(i) 'Ef k« fattiti sta scritto nell’ originale , il che gli interpreti
latini voltarono in malam crucern . Io ho creilnto di non poterlo
meglio tradurre in italiano , tanto più che Svetonio lo stesso fatto
riferendo, dice che Febo a Vespasiano impose di andare nella Mor-
bonia , abire Morboniam.
(a) Quel titolo di re dei re era stato qualche volta dai Romani
stessi attribuito ai Parli. Crede il Tillcmont, che scritto avesse
Vologeso in quella foggia , perché Vespasiano ricusati gli avesse i
sussidj contra gli Alani; ma questo assai più tardi avvenne. Forse,
come accenna Giuseppe Flavio, scritto aveva Vologeso in favore
de’ figliuoli del re di Comagene , che esali si trovavano.
(3) Era questi nato in Terracina , e da Trasea suu suocero suc-
chialo non aveva che i principi di una libertà insensata; mandato
in esilio all’ epoca della di lui morte , tornato era sotto Galha , e
perseguilo aveva Marcello Eprio delatore di Trasea. Fatto pretore
sotto Vespasiano , allorché questi tornò dalla Siria , non con altro
nome lo salutò se non con quello di Vespasiano , e in lutti i suoi
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Trasea e fino dalla infanzia imbevuto de’ precetti
degli stoici , la libertà del parlare di Trasea imita-
va , sebbene in tempi meno opportuni , ed allora
pretore essendo, nulla faceva ad onore dell’impera-
tore , ma sempre contra di esso declamava , per la
qual cosa una volta preso dai tribuni della plebe
era stato consegnato ai littori ; Vespasiano confuso
lagrimò e dal Senato uscì , questo solo dicendo :
O a me succederà il figliuolo mio , o niuno. » [ Dal
ebe abbastanza chiaro vedevasi che Vespasiano era
stato da Primo offeso , non tanto colle contumelie ,
colle quali colui di continuo Vespasiano e i di lui
amici insultava , quanto perchè fazioso era ed an-
sioso troppo di secondare 1’ aura popolare , e per-
chè vituperando assiduamente il principato, lo stato
popolare colle lodi esaltava , c cose faceva a queste
consentanee , suscitando fazioni : non altrimenti che
se proprio fosse della filosofia lo attaccare con rimpro-
veri i principi , il turbare il popolo , lo smuovere le
cose stabilite dalle leggi , ed altre nuove invece in-
trodurne. Era quello veramente genero di Trasea ,
del quale emulo fingevasi , ma assai lontano dal ser-
bare i costumi suoi. Perciocché Nerone era quello ,
sotto il quale Trasea viveva , e il di cui metodo di
vita riprovava j nè però alcuna cosa egli diceva o
editti alcuna menzione non fece dell’ imperatore. Vespasiano non ne
mostrò alcun risentimento ; ma per fé sue frequenti altercasioui in-
solentissime Prisco fu poscia esiliato. Tacito sembra ad alcuno ec-
cessivamente diffondersi nelle lodi di Prisco, ma anche Arriano gli
rimprovera una proterva loquacità. I
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205
faceva , che di contumelia riuscisse al principe , ma
soltanto intervenire non voleva alle cose clic allora
si facevano. Questi all’ incontro irritato era contra
Vespasiano , e in privato e in pubblico lo persegui-
va , affinchè in questo modo colle sue stesse scelle-
ratezze alla ruina sua si incamminasse, onde pagare
il fio de’ suoi delitti in addietro frequenti. ]
XIII. Ma siccome altri molti dalla dottrina stoica
eccitati , e tra questi anche Demetrio Cinico ( 1 ) , di
molti argomenti poco al presente stato delle cose
convenienti, pubblicamente, del colore della filosofia
abusando , disputavano , ed in questo modo mollis-
simi occultamente a diversi sentimenti traevano ;
Muoiano assai quislioni contra di essi , più per la
passione dell’ ira che per amore della dottrina agi-
tando , a Vespasiano persuadette che tutti i seguaci
di quella setta cacciasse dalla città (a). Vespasiano
adunque tutti i filosofi all’istante, a riserva di Mu-
sonio (3) , mandò via da Roma * Demetrio poi ed
Ostilio (4) nelle isole relegò. Ostilio veramente, av-
(i) Questo Demetrio Sunieuse non dee confondersi con Demetrio
Alessandrioo, altro cinico. Quello di cui si {tarla, soleva filosofare
in Corinto , ed a Roma era venuto con Apollonio. Ne parla il
Bruckero nella Storia critica della filosofia.
(a) Credesi questo avvenuto nell’anno 8aa, o nel seguente.
(3) Di questo ha già parlato altre volte 'Dione nel libro lui
della istoria.
( 4 ) Non si sa bene, se questo fosse cinico o stoico. Invece di
tradurre , come io ho fatto : tuttavia ben presto parti , malameule
tradussero alcuni latini interpreti subito senlcntlam mutavil , il che
non si accorda coll’ originale. Al proposito di Demetrio osserva il
Ditisco , che il nome di caue non riguardavasi dai cinici , se non al
più come lieve ingiuria.
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vertito essen do del suo esilio , e con altro per acci*
dente allora disputando , non ristette dalla contesa,
ma con maggior forza ancora la podestà di un solo
censurò ; tuttavia ben presto partì. A Demetrio poi
che non ancora acquetavasi , Vespasiano mandò a
dire queste parole : « Tu veramente non trascuri al-
cuna cosa , perchè io comandi di ucciderti ; io tut-
tavia un cane che latra non uccido. »
XIV. Verso quel tempo morì Genide concubina
di Vespasiano, della quale io ho fatta menzione^
perchè dotata fu di massima fede e di eccellente
memoria (i). Perciocché questa alla padrona sua An-
tonia , madre di Claudio , che alcune cose scritte
aveva intorno a Sejano , perchè da essa si portas-
sero a Tiberio , e comandato aveva di distruggere
quello scritto , affinchè alcun indizio di esso non ri-
manesse : « Invano , rispose , invano , o padrona ,
me lo dicesti , perciocché queste e le altre cose tutte
che mi comandi , sempre nella memoria serbo per
tal modo , che scancellare non si possono ». Que-
sto adunque io ho ammirato in quella donna , e
cosi pure che Vespasiano molto si compiaceva della
di lei familiarità , per cagione della quale essa con-
seguì ancora moltissimo potere, e ricchezze innume-
ri) Nota Svetonio , che dopo la morie della consorte Flavia
Dominila , Vespasiano prese a convivere con Cenide liberta di An-
tonia, che altre volte aveva amata, e anche imperatore la tenne
in luogo di legittima moglie. Non crederemo tuttavia a Tristano ,
che in un rovescio di Vespasiano trovisi il volto di Cenide. Guar-
dala fu cou dispreuo da Domiziano , e dopo la di lt;i morte molle
concubine Vespasiano si procacciò.
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207
rabili accumulò ; cosicché per mezzo di essa mede-
sima credevasi Vespasiano accumulare danaro. Per-
ciocché varj donativi essa da molti riceveva, mentre
le magistrature , le cariche di procuratori delle pro-
vincie , e le spedizioni militari e i sacerdozi , e lino
gli stessi rescritti del principe essa ad alcuni vende-
va. Vespasiano tuttavia non mandò a morte alcuno
per motivo di danaro , ma molti appunto perchè pe-
cùnia fornivano , illesi conservò (i). I quali danari
tutti 3 siccome Cenide riceveva , così sospettavasi
che questo si facesse per volere di Vespasiano , que-
sto desumendosi dalle altre cose che egli faceva ,
delle quali alcune poche per esempio esporrò. Es-
sendo stato da alcuni stabilito di erigergli una statua
del prezzo di dieci milioni di sesterzj , stendendo la
mano disse : • Voi però datemi 1’ argento , giacché
questa mano è la base della statua (a) ». Inoltre mal
soffrendo Tito una imposizione su 1’ urina , che con
altri tributi era stata stabilita , le monete da quella
imposizione risultanti gli mostrò } dicendo : « Osser-
va , figliuolo mio, se per avventura puzzino ? (3) »
(i) Lo stesso Svetonio diceva essere pubblica opinione, che i più
rapaci tra i procuratori ad amplissimi uffizj Vespasiano promo—
resse , affinché ricchissimi divenuti li condannasse , per il che vol-
garmente spugne erano appellati. Non era d’avviso quello storico ,
che Cenide le cariche mercanteggiasse, ma piuttosto Tito, che egli
diceva solilo a trafficare delle disposizioni del padre.
(a) Forse fu un errore di Sifilino , seguitato dagli interpreti , lo
attribuire ad alcuni privali la risoluzione di erigere a Vespasiano
una statua , che Svetonio chiaramente dice essergli stala disposta
colossale per pubblico decreto, cioè di una provincia o di un mu-
nicipio.
(3) Dubitossi da alcuni, che quella imposisioue cadere dovesse su
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ao8
XV. Consoli sedendo Vespasiano per la sesta vòl-
ta , Tito per la quarta (i), fu dedicato il tempio della
Pace, e quello che nominavasi il Colosso collocato nella
Via Sacra, il quale dicevasi essere alto 100 piedi, e
portare l’ immagine di Nerone , come alcuni asseri-
scono, o come altri vogliono , di Tito (a). Molte ucci-
sioni di fiere furono da Vespasiano ordinate ne' tea-
i purgatori de’ panni , o come ora diconsi, sodatori. II Casaubono però
è d’ avviso , che una moneta si esigesse da coloro , che per via
scaricare volevano la vescica nelle anfore ai capi delle vie medesime
collocate, giacché anche le latrine pubbliche si affittavano ad alcuni
schiavi detti forìcarii, che una moneta dai concorrenti esigevano.
(i) Dione salta in questo luogo, come noi diremmo, a piè giunti
un intero quadriennio. Forse la colpa è di Sifilino.
(3) Svctonio ed Aurelio Vittore tra le opere pubbliche nuovamente
erette da Vespasiano annoverano il tempio della Pace, e Giuseppe
Flavio soggiugne , che ornato fu colle spoglie del tempio di Geru-
salemme. Staiio ne attribuì , forse per sola adulazione , la costru-
xione a Domiziano- trovasi però quel tempio nelle medaglie di Ve-
spasiano stesso , presso il Tristano , il Mezzabarba , lo Spanemio ed
altri. J Nuovo non era il colosso, ma bensì quello di Nerone rac-
concialo. Secondo Svetonio, era dell’ altezza di tao piedi , ed era
opera dell’artefice Zenodoro. Plinio nota, che quel colosso era di
marmo ; al solo Eusebio piacque di immaginarlo di bronzo. Credesi,
phe quel colosso giacesse dopo il ristabilimento della casa di Nero-
ne , e che in quel luogo stesso fosse rialzato ; nè questo ripugna
alle parole di Dione , perchè quello che altre volte era il vestibolo
amplissimo della casa di Nerone , ristrette le dimensioni della me-
desima , divenuto era una pertinenza della Via Sacra. - A quel co-
losso sembra , che Vespasiano sostituito avesse un nuovo capo ra-
diato , affinchè 1’ immagine del Sole rappresentasse , nel quale però
alcuni i lineamenti di Neroue trovavano, che le sembianze di Apollo
affettando , voleva pure essere cinto di taggi. Nè strano è , che
quella testa da altri si attribuisse a Tito, perchè a molti imperatori
il capo radialo si apponeva.
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2 or>
tri ; molto però non dilettavasi degli spettacoli dei
gladiatori ; sebbene Tito ne’ giuochi de’ giovani, che
nella di lui patria éransi fatti , còlle armi pugnato
avesse con AHicno , cioè in finto combattimento. Ve-
spasiano ai Parti (t), che con alcuni popoli- guerreggia-
vano ed ajuto chiedevangli , soccorsi non mandò ,
e disse clie ad esso non conveniva il prendersi cura
delle cose altrui.' Verso quel tempo fioriva grande-
mente Berenice, e per questo venne in Roma col
fratello Agrippa. Questi fu ornato delle insegne preto-
rie; quella fu alloggiata nel palazzo , e familiare, con-
suetudine ebbe con Tito (a). Credevasi però dal vol-
go che Tito dovesse sposarla , giacché non altrimenti
egli conducevasi , che se già fosse sua moglie. Ma
Tito , udito avendo che il popolo romano quel con-
■ ; > ' - • . »
(i) Vologcso, come già si disse altrove, attaccalo era dagli Alaui
o Scili, che presso il Tanai e la palude Meolide abitavano * chie-
deva quindi , che Vespasiano soccorsi gli maudasse ed uuo de’ fi-
gliuoli suoi.
(a)- Questa Berenice era figliuola di Agrippa maggiore, maritata
da prima cou Erode re della Catcide suo zio ; sospetta quindi di
iucesluoso commercio col fratello; sposa finalmente di Poleinoue re
della Cilicia , che appunto per tornare col fratello abbandonò.
Agrippa Minore appella vasi il di lei fratello, che ancora dopo l’ec-
cidio di Gerusalemme regnava su l’Iturea, su la Traoouitide , sopra
Abita e una parie della Galilea. Anche Sveloniu dice, che sospel-
lavasi della libidine di Tito per 1’ amore straordinario , che a Be-
renice portava , alfa quale dicevasi avere promessa la mano di
sposo ; quindi nell’ epitome di Aurelio Vittore nominata vederi mo-
glie di Tito. A quegli amori appartiene forse una medaglia di Tito,
mila quale si vede uua Venere nuda cou Marte seminudo , riferita
dall’ (Disello.
VlOPX, tomo IP, /.• PI Si f i Lino.
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aio
nubio non vedeva di buon occhio , la congedò. Per-
ciocché altronde molte cose spargevansi , e molti
sofisti cinici (i) allora nella città tornati erano na-
scostamente ; Diogene veramente , il primo entrato
essendo nel teatro ridondante di popolo e molte in-
giurie lanciate avendo contra di essi (a), fu coi fla-
gelli percosso ; Erate quindi dopo di esso, reputan-
do che nulla di peggio gli sarebbe avvenuto , molte
cose insolentissime esclamò alla maniera de 1 cani, per
la qual cosa fu decapitato.
XVL Verso quel tempo avvenne che un vaso pieno
di vino in certa taverna talmente ridondasse che
fino venisse a scorrere nella via. Così pure quel Sabino
Gallo , che il nome aveva assunto di Cesare , e che
vinto dopo aver lottalo coll’ armi , nascosto erasi in
un monumento , fu scoperto ed in Roma condot-
to (3) ; e con esso fu data a morte la di lui moglie
Peponilla (4), che illeso salvato lo aveva } benché
essa i figliuoli suoi a Vespasiano mostrando , affine
di ottenere misericordia, dicesse : « Questi , o Cesa-
re , io ho partoriti nel monumento e nutriti , affin-
chè il numero de' supplicanti accresce ssero ». Colla
quale preghiera , sebbene ad esso ed agli altri tutti
che presenti trovavansi , strappasse le lagrime , non
( 1 ) Non intendo per quale ragione, il Reimaro abbia tradotto pro-
fesiori cinici.
(a) Intendi oontra Tito e Berenice.
.(3) Se nove anni rimasto era Sabino naicotlo nel monumento ,
cadere dovette il di lui supplixio nell’ anno di fìoma 83a.
(4) Epponina, o Eponina la nomina Tacito, 'E f**tm Plutarco ,
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21 1
vi ebbe luogo per questi ad alcuna misericordia (i).
Mentre queste cose avvenivano , contra Vespasiano
insidie tramarono Allieno e Marcello ( 2 ) , i quali
ejjli a sè credeva sommamente affezionati , c d’ ogni
sorta d' onori colmati aveva. Non fu tuttavia da essi
ucciso , perchè scoperta essendosi la congiura , fu
Allieno* ucciso nel palazzo per ordine di Tito, men-
tre dal convito levavasi affinchè niuna novità avanti
la notte macchinasse , giacché molti soldati tratti
già aveva al suo partito j Marcello poi dal Senato
giudicato e condannato , da sè stesso la gola si ta-
gliò con un rasojo. Per tal modo gli uomini di tristo
a
(i) Si crederebbe per le parole di Dione che tolta fosse stala
estinta quella famiglia ; pure uno di que' figliuoli morì in Egitto ,
I’ altro in Delfo trovavasi a' tempi di Fiutarlo. Questi dice che
quella donna morì intrepida , la morte appellando una commuta-
aione. - Molli con Plutarco a Vespasiano non risparmiarono la tac-
cia di crudele per quel fatto ; solo certo Sicoiisse si studiò di pro-
vare nelle Memorie dell’ Accademia di Iscrizioni e belle lettere ,
lum. ix, pag. i 13 , che Vespasiano da furti ragioni era stato iudotto
ad ordinare, auche gemendo, il sacrifizio di que’ meschini. Egli ne
^apeva adunque piò di Plutarco , che una macchia disse quella del
nume di Vespasiano. Quella ricerca , altronde erudita , non era
punto degna di un patriolto di Giulio Sabiuo : io all’ incontro ho
dato il primo questo argomento al teatro musicale italiano : Ve-
nezia 1781.
(a) Svetouio narra che Allieno o Cecina fu ucciso , mentre da
cena iu casa di Tito usciva , e che Tito non senza urgente motivo
quella esecuzione ordinò , perchè tra le mani aveva lo scritto della
congiura presso i soldati ordita. Nella epitome di Aurelio Vittore
si narra che ucciso fu per sospetto che stuprata avesse Berenice. -
Quel Marcello era forse Eprio Marcello , I’ accusatore di Trasea ,
due volte accusato da Prisco « due volte assoluto , il quale forse
dopo 1 ’ allontanamento di Prisco sali in favore presso Vespasiano-
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213
ingegno forniti , non possono essere per alcun bene-
ficio guadagnali , avvegnaché questi insidie prepara-
rono a quello stesso , dal quale tanti benefizi rice-
vuti avevano.
XVII. Questo adunque fu l 1 esito di quelle mac-
chinazioni. Ma Vespasiano fu spento realmente da
malattia 5 non già dalla podagra , dalla quale soleva
essere travagliato , ma dalle febbri nelle acque Sa-
bine , che Cutilie si appellano (1). Altri intanto , e
principalmente Adriano imperatore f falsamente Tito
accusando , un romore sparsero come se in un con-
vito morto fosse per veleno sorbito (a). E sì che i
prodigi a quel fatto appartenenti f erano preceduti.
Perciocché per lungo tenipo era stata veduta una co-
meta, e il monumento di Augusto erasi da sé stesso
aperto ( 3 ). Rimproverato essendo poi Vespasiano dai
( 1 ) Anche Svetonio accenna che la di lui salute, buona d* ordi-
nario, turbala non era se non se dalla podagra ; soggiugne che an-
dato alle Cutilie, o alla villa di Rieti, coll’uso eccessivo dell’ acque
fredde le intestina vixiò, e sorpreso da violenta dissenteria, mentre
levavasi , dicendo che un imperatore morire doveva in piedi , re-
pentinamente fu spento. Le Cutilie erano distanti settanta stadj da
Rieti, ed ancora vi si trova un picciolo lago, detto di Contigliano.
Vitruvio quelle acque fredde diceva essere di un genere nitroso e
purgative, Seneca le diceva medicali.
(a) Singolare riesce in questo luogo il vedere Adriano anzi tempo
nominato imperatore , ma questo dee forse riferirsi alle memorie
eh’ egli scrisse della sua vita, e che pubblicò sotto il nome di Fle-
gonte suo liberto , nelle quali forse quell’ accasa , o piuttosto quella
caluuuia conira Tito couteuevasi. Nota però Svctonio che Tito da
quel sospetto ingiurioso si liberò.
(3) Già si era annunzialo un eguale prodigio sotto Nerone. Ve-
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2l3
medici , perchè sorpreso da malattia nulla cambiasse ,
del suo ordinario sistema di vitto , e tutto quello
continuasse a fare che al * principato apparteneva ,
rispose : u d’ uopo essere che l’ imperatore stando
in piedi morisse ». A quelli poi che della cometa
tra di loro ragionavano , disse: « Non a me , ma al
re dei Parli alcuna cosa di sinistro annunzia , giac-
ché egli è chiomato ed io son calvo (i) ». Ma poi-
ché si credette veramente di morire , « io già , dis-
se , sarò Dio ». Visse anni sessantanove , mesi otto:
e per anni dieci , meno sei giorni regnò (2). Dal che
nasce che- dalla morte di Nerone fino al principato
di Vespasiano passar debba l’intervallo di un anno
e venti giorni. La qual cosa io. giudicai opportuno di
avvertire, affinchè in errore non cadessero coloro che
spssiaoo ne fé probabilmente avvertito , ma ridendo disse , che ri-
guardare doveva quel prodigio non altri che certa Ghiaia Calvina ,
ultima superstite della schiatta d’ Augusto.
(1) Lunghe chiome nutrivano i Farli , in questo imitatori dei
Persiani. Queste veggousi anche nelle loro medaglie presso lo 8pa-
netnio.
(a) Concordano nell’ età di anni scssgntanove Svetoaio ed Entro-
pio ; Aurelio Vittore morto lo dice nelP anno settantesimo,' e lo fa
rrguare un intero decennio. Zonara agli òtto mesi agglunse-aUri otto
giorni , che il Reimaro vorrebbe in vece detrarre al computo, di
Dione stesso. - Il cominciameoto dell’ imperio di Vespasiano si
stabilisce nel giorno delle calende di luglio dell’ anno 8aa ; laonde
regnato avrebbe nove aooi , undici mesi, ventitré giorni , cosicché vi
avrebbe il divario di un giorno solo col calcolo di Dione. - L’ in-
tervallo tra la morte di Nerone ed il regno di Vespasiano , corre
dal giorno 9 di giugno dell’ anno 8a« , fino al prima di luglio dcl-
1' anno Mia.
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2l4
questo tempo per avventura stipulassero dalle età di
quelli che intauto il principato ritennero. Perciocché
non si succedettero essi & vicenda , ma vivo ancora
l'uno e regnante, ciascuno di essi si credette allora
imperatore , dacché in quello la prospettiva dell’ im-
perio vedeva. I. giorni loro adunque non dalla vicen-
devole successione computare .si debbono , ma bensì
in complesso, affinché si ottenga,, come si ò detto,
la vera ragione del tempo.
XVIII. Tito, dacché solo ottenne il principato fi),
né alcuno mandò a morte, né più si diede ad amo-
reggiare ; mia dolce ed affabile , benché insidie gli
si tendessero, e continente mostrossi , tuttoché Bere-
nice nella città fosse .tornata , forse perchè mutati
aveva di subito i costumi. Nè di vero in egual mo-
do le stesse persone si conducono , allorché presso
altri principi godono di un qualche potere , ed al-
lorché essi soli il regno ottengono ; perchè in quello
stato , negletta la gloria del principato , dello smo-
derato potere loro abusano , e molte cose operano ,
atte a destare al medesimo invidia e calunnia. Ma
»
(l) Malo era Tito il giorno 3 o dicembre dell'anno 79I ; educato
con Britannico' nella corte di Claudio , corso aveva il pericolo di
essere con quello avvelenato, e ad esso una statua d’oro eretta
aveva nel palazzo , altra d’ avorio nel Circo. Commendevole dice-
vasi per ingegnò, per lettere, per arti, per bellezza di corpo ; con
lode coperte aveva le cariche di tribuno nella Germania e nella
Britannia ; dato crasi quindi al foro e sposata aveva Arricidia Ter-
lolla , figliuola di un prefetto del pretorio , c poscia dopo la di lei
morte Marcia Furnilla , o come pretende il Patino , Fulvia , colla
quale fece divorzio dopo averne ottenuta una figlia.
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ai5
allorché si avveggono che tutti i pesi sopra di essi
ricadono , seriamente solleciti si mostrano della loro
reputazione. 11 . che Tito disse ancora alcuna volta a
quella di cui era stàio amante : « Diversa cosa , di*
ceva egli , è lo abbisognare dell’ opera di un altro ed
essere giudice 5 nè è lo stesso il domandare da altri
alcuna cosa o la stessa dare ad altri ». Cosi vera-
mente si condusse Tito , perchè vita ebbe tanto
breve , se il principato si riguardi , che in esso non
potè alcuna nequizia ravvisarsi (1). Perciocché dal-
1’ imperio assunto visse due anni , due mesi e venti
giorni , e morì d’ anni trentanove , cinque mesi e
venticinque giorni (a). E per questo motivo alcuni con
Augusto , benché più lungamente vissuto , lo parago-
nano, perchè nè Augusto com 1 essi dicono ^ sarebbe
stato bene accetto , se vissuto avesse minore spazio
di tempo, nè Tito , se più lungamente vissuto fa**
se ; perchè Augusto in vero , sltto essendo più a- .
spro da principio per cagione de’ nemici • delle se-
dizioni , potè da poi per sì lungo teiflpd coi benefizj
( 1 ) Divenuto imperatore , Tito fu detto P amore e la deliaia del
genere umano , mentre prefetto del pretorio sotto il padre , soletto
era divenuto di crudeltà , di libidine ed antbe di rapacità. (Questa
dubbia fama voltossi in grandissima lode, da cbe in esso non si,
ravvisò alcun visio , e molle virtù apparirono. • / *•
(a) Concorda Zonara con Dione ; soltanto Eusebio àggiufcne al
computo due giorni. Svetonio dice, che mori nella villa’ maiftóima ,
ove era morto Vespasiano , in età di 4> anni , dopo avere regnato
nn biennio, due mesi e venti giorni. L’errore di Aurelio, o piuttosto
dei codici, col (piale ti accennano mesi nove, debb’ estere corretto
io mesi duo.
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21 6
segnalarsi ; Tito altronde, perchè amministrato aven-
do con clemenza lo imperio , nel fiore stesso della
lode e della gloria morì ; che se più a lungo vissuto
avesse , forse mostrato si sarebbe più felice che vir-i
tuoso (l), . ' . • , >
XIX’. Tito adunque , mentre il principato ritenne,
non. solo alcun senatore non mandò a morte, ma
nè tpnre altri chiunque fu sqtto il suo imperio di
morte punito. Del delitto di empietà verso il prin-
cipe (a) , mai non giudicò , nè ad altri che ne giu-
dicassero permise : « Alcuno , diceva egli , non può.
con ingiurie attaccarmi o farmi oggetto di contume-
lia , poiché nulla io faccio che degno sia di ripren-
sione j quelle cose poi io non curo che di me di-
c onsi falsamente. Del rèsto i principi che già là vita
colla motte cambiarono , ( se veramente eroi sono ,
'o se alcuna c^sa essi possono ) da sé stessi si ven-
dicheranno , qualora alcuno si avvisi di ingiuriarli. »
Mòlt'altr^. cose parimenti stabilì, alla sicurezza e
tranquillità pubblica Conducenti , proposti avendo
editti, coi. quali confermavansi tutti i benefizi , che
ad alcuni accordati avevano i precedenti imperatori,
affinché l’ incomodo non avessero nè pure i graziati
lil » 1 • * I, .
( i )■ Il Reimaro crede queste ultime parole a Tito ingiuriose,
giai;-l;b sempre mostrossi dolce , clemente , affabile , compassione-
vole y\r so gli stessi .Giudei , sollecito di intercedere per gli Egiij e
fino per il. fratello, al quale, bencht: insidie gli tramasse, non ces-
sava di richiedere affetto.
(2) Vedi quello che si ì detto a questo proposito nella nota prima
alla pag. 199.
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?i7
di dovere ciascuno per sè proporre là domanda. I
delatori ancora cacciò dalla città (i). ■ ) ,
XX. Al tempo stesso uu’ altra guerra si fece nella,
Britannia ( 2 ) , nella quale guerra Gneo Giulio Agri-
cola tutta la regione de’ nemici devastò (d) , e il
primo, ch’io sappia, di tutti i Romani venne a sco*,
prive che la Britannia era d’ ògn 1 intorno dal mare
circondata (4). Perciocché , avendo alcuni soldati ec-
(1) Non si vede il motivo per coi Zonara abbia omesso questo
tratto luminoso della giustizia e della clemenza di Tito. Svetonio
aggiugne cha i delatori erano nel foro percossi con flagelli e con
bastoni, condotti d a poi Dell’arena dell’ anfi teatro , e alcuni pub-
blicamente venduti., altri deportali in isole asprissime. Lo stesso
metodo seguiiouo Nerva e Trajano. Il nutrire e !o accarezzare ì
delatori, non annunzia se non la nequizia o la debolezza dei governi.
(?) Dopo la partenza di Svetonio Paolino poco erasi fatto nella
Britannia; solamente sotto Vespasiano , Petilio Cereale assaliti aveva
i Briganti , e alcuna impresa tentala Giulio Frontino Siluro. Un’ala
peto dei Romani era stata dagli isolani distrutta poco avanti 1* ar-
rivo di Agricola. - Difficilmente io posso persuadermi che qui non
vi abbia qualche lacuna , perchè strano mi sembra che di un’ altra
guerra si parli , mentre di tntt* altro che di guerre si è parlato nei
capitoli precedenti , e quasi mi maraviglio che un eguale sospetto
nato non s ; a nel diligentissimo Reimaro.
(3) Agricola era nato in Ferii nell’ anno 70Q di Roma ; istrutto
nella guerra sotto Svetonio Paolino , dopo gli onori sostenuti detta
questura e della pretura , era stato! mandato da Mudano prefetto
nella Britannia. Vespasiano confidata gli aveva la prefettura del—
1’ Aqnilanìa , e dopo il suo consolato nell’ anno filo' tornato era
nella Brininola , che nello spazio di otto anni riuscì a domare inte-
ramente.
(4) Anche le Orcacfl erano state , . secondo Tacito , scoperte e
soggiogete, c si era veduta l’isola di Tile. - Agricola, giusta il
medesimo , le sue navi alla scoperta spedi dal porto Trntulenze e
dai confitti degli Oresti , 0 sulla situazione di que’ luoghi molte
congetture si sono formate anche di recente nell’ Inghilterra.
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ai8
citata una sedizione ed uccisi i centurioni loro ed
un tribuno , e rifuggiti essendosi nelle navi e con
esse partiti , navigarono intorno a quella parte della
Britannia , che riguarda l’ occidente , secondo che
portati erano dai flutti e dal vento ; e volti essen-
dosi imprudentemente all’ altro lato , ed approdato
avendo al campo de’ Romani che colà trovavasi ,
Agricola altri ancora ne mandò , che colle navi lo
stesso corso in tutto il circuito tentassero , e da
questi medesimi riseppe che quella era un’ isola. Le
quali cose fatte essendo nella Britannia , Tito fu
per la quindicesima volta appellato imperatore (i),
Agricola il rimanente della vita condusse nella igno-
minia (a) e nella povertà ; cioè perchè cose fatte
aveva maggiori di quelle che all’ ufficio di pretore
appartenevano , e per queste cagioni da Domiziano
finalmente fu dato a morte , sebbene da esso mede-
simo impetrati avesse i trionfali onori (3).
(i) Questo risulta ancora dalle medaglie presso il Meuabarba ed
il Golliio. Fu poi Tito di quel titolo onorato per la sedicesima e
diciassettesima volta per altre vittorie , il che maggiormente mi
conferma nella mia opinione superiormente annuosiala, che di altre
guerre parlalo avesse da prima Dione.
(a) Io avrei più volontieri tradotto nella oscurità , ma non ho
creduLo di dovermi staccare dall'originale. Tacito dice che di notte
vcune in città , di notte nel palano , come .gli era stato ingiunto ,
e che ricevuto con lieve abbracciamento e senza alcun sermone ,
nella turba de’ servi fu confuso.
(3) In quasi tutti i codici 6 scrìtto che ricevuto aveva quegli
onori da Tito: tr*fìt re! T/re! , ma il Reimaro legge truf «t>7e!;
assai meglio certamente , perchè si sa di certo che quegli onori ot-
tenuti aveva da Domiziano. E non solo quegli onori consegui per
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219
XXI. Verso quel tempo alcune orribili cose avven-
nero nella Campania, le quali degne sono di grande
ammirazione. Il monte Vesuvio (l) prospetta il mare
dalla parte di Napoli , e racchiude fonti copiosis-
sime di fuoco ; e questo altre volte la sommità ave-
va da qualunque lato eguale , cosicché nel centro
trovavasi il fuoco. Perciocché da quella parté soltanto,
alimenta le fiamme , esternamente poi da qualunque
lato intatto dal fuoco sino a questa età si mantiene.
Dal che avviene che non abbruciando il fuoco giam-
mai le parti esteriori, e solo quelle che trovansi nel
mezzo consumate dal fuoco essendo e in cenere
ridotte , le cime che sono all* intorno , conservino
fino a quest' ora l 1 antica loro altezza ; ma la parte
infiammata , col lasso del tempo consunta , sia fatta
concava per via del sedimento ; cosicché tutto il
monte ( se lecito è le piccole cose porre in confron-
to colle grandi ) abbia ]a forma di un anfiteatro. Le
parti elevate di quel monte vestite sono di molti
alberi e di viti } il giro interno è tutto occupato
testimonianza di Tacito , ma ancora per decreto del Senato una
statua insigne , a tntto il corredo del trionfo. - Riguardo alla
morte dj Agricola, altro non dice Tacito, se non che fama ai
aparse , che estinto fosse col veleno , il che egli però non osava
affermare.
(t) Zonara fa precedere alla relazione dell’ incendio del Vesuvio
la comparsa di un falso Nerone , cioè di certo Terenzio Massimo,
che Nerone si fece credere e riuscì a sedurre molti Asiatici. Ma
questo fatto debh’ essere reputalo posteriore all* incendio, del Vesu-
vio , del quale parlano Svetonio , Aurelio Vittore , Eusebio, Orosio,
Stazio e piò di tutti Plinio il giovane.
220
dal fuoco , e come il fumo di giorno , così di notte
manda fuori le fiamme , cosicché sembra che di con-
tinuo vi si facciano moltissimi suffumigi di vario gè-,
nere. E questo invero sempre avviene , talvolta con
maggiore intensità , tal’ altra con minore ; oltreciò
qualche volta anche la cenere lancia al di fuori ,
allorché molte materie sono insieme accumulate , e
sassi ancora rigetta allorché spinto è dalla gagliar-,
dia del vento; allora parimenti rimbomba e mugge ,
perchè non ha grandi spiragli , ma bensì tenui ed
Occulti fi).
XXII. Tale essendo la costituzione del Vesuvio ,
queste cose in esso quasi ogn’ anno sogliono avve-
nire. E sebbene 1’ altre tutte che avvennero in pas-
sato , grandi ed inusitate sembrate fossero a coloro
che in qualunque tempo le videro , ciononostante ,
anche tutte in complesso d’ uopo è che cose lie-
vissime si reputino in confronto di quelle che
allora avvennero. Questo era lo stato della co-
(t) Eusebio ragiona di quell’incendio, come se allora cominciato
avesse a formarsi un cratere. Eppure nominati - erano da prima il
monte ed i campi Flegrei , perché avvampati erano in «poca ante-
riore. Quello di cui ora ai tratta, è il primo incendio riferito dagli
storici. - Coloro che ben conoscono il Vesuvio per averlo esaminato
da virino , debbono trovarsi non affatto scontenti della descrizione
di Dione. Forse si potrebbe eccepire sugli effetti da esso attribuiti
alla forza del veplo } ma nlifta era per gli scrittori greci qualun-
que soffio , o (jnutunque azione dell' aria compressa , e quindi di
tutti quelli che ora si nominano gas , e che hanno la maggiore in-
fluenza nei fenomeni dei vulcani. - Dione accenna altrove che il
muggito del Vesuvio udito si era fino a Capita
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22 I
sa: gran numero d* uomini , che per la grandezza
loro tutta l’umana natura superavano, quali appunto
dipingonsi i giganti (i) , si videro aggirarsi nell’aria ,
o andare vagando sulla terra , la notte e il giorno ,
ora sul monte , ora nelle regioni situate all’.intorno
è nelle città vicine. A questo venne in appresso una
grandissima siccità , e di repente si fecero sentire sì
grandi tremuoti , che e tutta quella pianura fu scossa
da una specie di fervore , e saltellare si videro tutte
le eminenze. Inoltre si udirono strepiti , tanto sot-
terranei simili ai tuoni , quanto fuor della terra si-
mili ai muggiti. Poscia cominciò il mare insieme a
fremere , il cielo a romoreggiare y e si udì grande e
repentino fragore , come se i monti gli uni sopra
gli altri si rovesciassero. Allora pure cominciarono
a saltar fuori pietre di immensa mole , ed a toccare
perfino le cime più elevate ; uscì quindi grandissima
quantità di fuoco e di fumo, cosicché tutto l’acre
ue fu oscurato , e il sole , non altrimenti che. se
oscurato fosse , ne rimase ecclissato.
XXIII. Il giorno adunque cangiossi in notte , e la
luce in tenebre (a) , credendosi alcuni che i giganti
(«) Forse diede origine a questa credenza l’antica favola dei gi-
ganti , che fulminali credevano e giacenti sotto ai campi Flegrei 5
una tra le più belle che trovatisi nella mitologia introdotte aitine di
spiegare i più terribili fenomeni della natura-
fa) Di questo, come pure delle grandi pietre lanciate dal monte,
parla anche Plinio nelle epistole ; , e dice che quella fu una notte
più nera e più tenebrosa dell’ altre tutte , che però molte faci e
molli lumi rischiaravano , e che alcuni siccome nuovissima , o im-
provvisa , cosi eterna reputa vano.
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222
risorgessero (i) , perchè molti loro simulacri per
mezzo al fumo vedovatisi , c perchè inoltre come
un certo squillare delle trombe udivasi. Altri erano
d’ avviso , o che il mondo tutto si riducesse ancora
nel caos, o che consunto essere dovesse dal fuoco;
e per quella cagione altri affreltavansi dalle case ad
uscire nelle vie , altri dalle vie a riparare nelle ca-
se ; così pure altri dal mare sulla terra , altri dalla
terra sul mare agitati aiducevansi ; delle presenti o
vicine più sicure reputando le cose più lontane. In-
tanto , mentre questi fatti accadevano , una indici-
bile quantità di cenere portata dal vento , la terra
egualmente ed il mare , e 1’ aere tutto ingombrava ;
la quale cosa molti danni ( come la sorte portava )
arrecò agli uomini , alle campagne , alle greggie , e
i pesci e gli uccelli tutti fece perire , e due intere
città , Ercolaneo e Pompei (a) profondamente sep-
(i) Non è strano che 1* immaginazione riscaldata facesse vedere
le figure de’ giganti nei vòrtici del fumo densissimo, solcato sovente
dalle fiamme. Altri tradussero , che i giganti a sedizione moves-
sero , o pure , che contro di loro insorgessero ; più letterale e più
giusta è la frase che risorgessero, più analoga ancora all’idea mito-
logica summenlovata.
(a) Ercolaneo, nonErcolano, scrivono Dione, Vellejo Patercolo ,
Pomponio Mela , Seneca e Floro ; cosi ancora trovasi scritto nelle
antiche iscrizioni. Il Reiraaro ha malamente confusa tutta la geo-
grafìa di que’ luoghi , supponendo Ercolauo sitnata ove ora è la
Torre del Greco , mentre trovasi al di sotto di Portici , e Pompei
tra la torre del Greco e Portici , mentre è mollo al di là della
Torre del Greco e di quella dell’Anuuneiata , nè puulo ha che fare
culla situazione di Staggia , o Castellana re , da esso detto Castel-
lanute di Stabia. - Ma Ercolauo e Pompei , al dire di Seneca,
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aa3
pelli , mentre il popolo nel teatro cedeva (i). Per
ultimo 6i grande fu la quantità della cenere , che una
parte ne giunse fino nell’ Asia , nella Siria e nell’ E*
gitto , e fino in Roma entrò e 1’ aere ne riempì ed
oscurò il sole. Nè lieve fu il timore che per questo
provossi per molti giorni in Roma , ignorando tutti
quello che avvenuto era, nè potendo per via di con-
ghietture intendere cosa si fosse. Anch’ essi adunque
cominciarono ad immaginare che tutto andasse s os-
copra j e che il sole caduto sulla terra dovesse estin-
guersi e la terra salire al cielo. . E sebbene quella
cenere non grave incomodo subitamente arrecasse al
popolo romano , la stessa tuttavia produsse da poi
un morbo pestilenziale e gravissimo.
XXIV. Un altro fuoco però copra la terra susci-
tato nell’ anno seguente , grandissima parte di Roma
consumò , mentre Tito assente trovavasi , ito essen-
do a visitare le calamità della Campania (a). Per-
già erano siate per cagione di un terremoto distratte a’ tempi di
Nerone, cioè nell’ anno 816 di Roma , laonde può credersi che con
questa nuova erusione delle ceneri vesuviane esse non rimanessero
se non piè profondamente seppellite. Marsiale , Tertulliano ed An-
tonino imperatore, parlano di questa doppia calamita dal Vesuvio
cagionata.
(i) Alcuni eruditi sono d’avviso , che i cittadini si trovassero
nel teatro all’ epoca del terremoto avvenuto sotto Nerone , non già
della erueione , della quale ora si parla. Uno scrittore napoletano
opinò ancora che Pompei fosse distrutta , sedendo i cittadini , non
già nel loro teatro, ma iu quello di Napoli, mentre si celebravano
gli spettacoli da Neroue ordinati.
(0) Dione , o piuttosto il suo compilatore, mette lutto in un fascio.
La malattia pcstilensiale peto alcuni riferiscono al regno di Vespa-
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224
ciocché consunti rimasero dal fuoco il tempio di Se*
rapide, quello di Iside t»)> * tavolati di Gampo
Marzio (a) , il tempio di Nettuno , il bagno di Agrip-
pa , il Panteon , il luogo dove si pagavano i solda-
ti (3) , il teatro di Balbo , la scena di Pompeo , gli
edifìzj Ottaviani insieme coi libri, il tempio di Gio-
ve Capitolino coi templi vicini (4 j. Cosi questa .scia-
gura divina fu piuttosto che umana. Perciocché dalle
cose eh' io ho menzionate , libero è il conghictturare
le altre tutte che in quell' incendio perirono. Tito
ai Campani mandò due uomini consolari a ristorare
siano. - L’ incendio di Roma , che secondo Svelonio ed altri dui ò
Ire giorni c tre notti , avvenuto sembra, nell’ auuo 833 , giacché
nel 834 mori Tito , e quindi potrebbe crederai avvenuta I’ eruzione
del Vesuvio uell’ anno 83a. Cosi opina anche it Tillemout.
(t) Que’ luoghi sacri o que’ templi , viciui erano lutti al campo
Marzio, se nou pure in esse situati. Molli di quegli ed ifizj , secondo
Svetouio furouo ristabiliti da Tito, che gli ornamenti dei suoi pre-
torj ai templi ed al rislorameuto dell’ opere pubbliche desliuó ;
molli lo furouo da Domiziano.
(3) Cosi traduco io la parola sepia che non potrebbe rendersi in
altro modo acoonciameute, Erauo questi di fatto due recinti nel
campo Marzio chiusi da tavolali, che delti furono anche ovili, ma
che lull’allro erano in realtà perché alla mercatura servivano. O u e i
tavolati si fecero da poi auclie marmorei .
(3) Diribitoriwn dicevaulu i Lai ini ■ e singolare riesce il vedete
che mentre dai Greci piik comunemente appeilavasi Azyissp.sv,
Dione in questo luogo , quasi latiuizzaudo egli stesso , lo chiama
Aupi/3/lépitt.
(4) Il tempio di Giove Capitolino distrutto nell’ incendio di Vi-
tellio , era stato ristabilito da Vespasiano. I templi vicini, o con-
tigui , erauo quelli di Giunone e di Minerva. XI rislorauieutu di
questi fu 'cominciato da 'l’ilo.
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225
quella regione (i), e ad essi oltre altro danaro
quello principalmente assegnò, che lasciato fosse da
coloro che senza eredi morivano. Egli nulla ricevette
nè dai privati , nè dalle città , nè dai re , benché
molti di essi assai gli offerissero e promettessero ;
ma tutto ristabilì (a) con quello soltanto che era nel
patrimonio suo.
XXV. E nulla veramente produsse egli in occa-
sione di tutte le altre cose , che esimio fosse repu-
talo. Ma nella dedicazione dell' anfiteatro e del ba-
gno che da esso pigliato aveva il nome (3) , molti
spettacoli e questi maravigliosi espose. Perciocché le
gru tra di loro pugnarono (4) > e quattro elefanti e
(i) Anche Svetonio parla di queste disposizioni date in favore
della Campania, e molte iscrizioni ne conservano la memoria. Ma
dal solo passo di Diònc sul principio di questo capitolo impariamo
che Tito stesso nella Campania recalo si fosse.
(3) Intendi gli edifitj crollati della Campania. Altri tradussero ,
come se del suo restituite avesse le somme che gli erano state for-
nite , il che è un errore.
(3) L’ anfiteatro è il Flavio , cominciato da Vespasiano e dedi-
cato. da Tito, del quale gran parte tuttora sussiste. Presso il mede-
simo Tito aveva pure edificalo alcune terme , delle quali pure si
conserva .qualche vestigio. Quell’ anfiteatro da Dione in questo
luogo è nominalo cinegetico , come se dire si volesse teatro delle
cacete .
(4) Il Casaubouo trasformò le gru in Germani ; si sdegna di
questo il Reimaro ; io per verità non trovo le di lui obbiezioni di
forza tale che distruggano quella ipotesi , alquanto per si stessa
ardila. Intendo bene come si potesse formare spettacolo di un cota-
bauimenlo di galli , o di coturnici ; ma non vedo cosa potesse farsi
dglle gru. Altronde con questo nome sono stali talvolta indicali al-
tUoxE, tomo Ty, Z.° ni Si fiuto. |5
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22 6
novemila (i) tra fiere e pecore furono uccise , le
quali anche le donne , non però nobili, insieme co«
gli uomini si diedero a ferire. Molti uomini pugnarono
altresì alla foggia de 1 gladiatori ; molti ancora riuniti,
pedestri c navali combattimenti eseguirono. Percioc-
chè riempiuto d’ acqua di repente lo anfiteatro , in
esso introdotti* furono cavalli e tori ed altri animali
mansueti , che addestrati erano a fare nell’ acqua
tutto quello che usi erano a fare in terra. Uomini
ancora introdusse Tito nelle navi , i quali divisi in
Corciresi e Corintii , colà pugnarono in certame na-
vale. Altri ancora fuori della città pugnarono nel
bosco di Cajo e Lucio , che Augusto per quella ca-
gione appunto aveva fatto scavare (a). Conciossiachù
colà il primo giorno un combattimento di gladiatori
si eseguì , e Y uccisione di molte fiere , coperto es-
sendosi con tavole il lago dalla parte che riguarda
le statue , e al di fuori tutto circondalo egualmente
di un tavolato. 11 dì seguente celebrati furono i giuo-
cuni popoli , e la pugna stessa delle gru coi pigaei è suscettibile
di varie interpretazioni. £ la parola, greca yiimitl è tanto vicina a
quella di Germani !
(ì) Eusebio, Svetonio, Eutropio non parlano che di cinquemila,
ma tutte fiere. Quelle pecore non sarebbero forse buonamente in-
trodotte da Sifilino ? Ma anche le donne te uccidevano , nè queste
probabilmente affrontate avrebbero tigri , o lioni. Ma quale spetta-
colo era lo uccidere pecore ?...
(a) Un bosco era quello che ad onore di Cajo e Lucio Cesari ,
Augusto ave a formato intorno alla naumachia antica , non già nella
medesima , come altri credettero, piantalo. .Trovavasi esso vicino
al Tevere. - Quel tavolato è il luogo , ove celebravansi le cene
lussuriosissime di Iterane.
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2^7
chi Circensi , il terzo giorno si diede un combatti*
mento navale di tremila uomini , che susseguito fu
da una pugna di fanti. Perciocché gli Ateniesi , su*
perati avendo i Siracusani (giacché sotto questi no-
mi pugnato avevano ) , scesero nell’ isola , ed as*
salito avendo certo muro che intorno al monu-
mento di quel luogo era condotto , lo presero. Per
cento giorni durarono quegli spettacoli atti a pasce-
re la vista. Ma utile riuscì ancor questo alla pie*
he , perchè Tito piccioli globi di legno da luogo
eminente nel teatro gettava , i quali tessere contene-
vano colla indicazione di qualche vivanda , di una
veste , o di un vaso d’ argento o d’ oro , di cavalli ,
di giumenti , di bestiami , o di servi. Chiunque al-
cuno di que’ globetti coglieva , portavaio al dispen-
satore de’ donativi , e la cosa che dentro era scrit-
ta , conseguiva.
XXVI. Queste cose fatte avendo , nell’ ultimo gior-
no pianse alla vista di tutto il popolo , nè più fece
cosa alcuna di grande ; ma nell’ anno seguente , de-
dicali avendo i sopraddetti edifizj , consoli essendo
Flavio e Pollione , nelle stesse acque morì , nelle
quali il padre suo era mancato di vita. Corse la fa-
ma che il fratello data gli avesse la morte (i) , mas-
sime che da esso gli erano già state tese insidie ;
/
(i) Morto Tito di veleno asserisce Aurelio Vittore ; altri estinto
lo dicono col lepre marino , altri con una mosca introdotta nel cc-
rebro, ( tutte panie) , altri soffocato nel bagno, altri, come Sve-
tonio , abbandonalo per- comando di Donmiano , menlr’ era infermo
bensì, ma ancor vivo, nel che sembra convenire anche Dione.
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228
altri lo dicono da morbo estinto. Perciocché respi-
rando egli tuttora , e riaversi potendo , Domiziano
cacciollo in un’ arca piena di neve , affinchè più pre-
sto morisse. Essendo Tito ancor vivoj andò egli cer-
tamente in Roma cavalcando , ed entrò nel campo ,
ed il nome ed il potere di imperatore ricevette , ed
ai soldati diede quanto aveva loro dato il fratello.
Tito morendo , in una sola cosa disse di avere fal-
lito ; non manifestò tuttavia quale questa si fos-
se (i), ne alcuno la conobbe, sebbene si formas-
sero intorno alla medesima diverse congetture. L 1 o-
pinione più divolgata è quella che amata avesse Do-
xnizia moglie del fratello ; altri ( coi quali io consen-
to ) sono d’ avviso che Domiziano , colto sul fatto
mentre insidie disponeva , ucciso non avesse , ma
tollerato piuttosto che questa pratica continuasse j
e che il romano imperio ad uomo siffatto conse-
gnasse , quale il filo dell’ istoria lo dichiarerà. Re-
gnò , come di sopra si è detto , due anni , due mesi
e venti giorni.
(i) A coloro che Tito credevano dolersi di avere violato il tala-
mo del fratello , oppone Svetonio la testimonianza di Domizia che
giurava non avere mai essa avuto commercio col cognato ; nè .
Eoggiugne quello storico , donna era da tale da farne mistero , cbc
anzi gloriata se ne sarebbe, com’essa faceva di inoli’ altre iniquità.
Questo serve ad avvalorare l’ opinione , che da Dione sembra
preferita.
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DELLA
229
ISTORIA ROMANA
D I
DIONE CASSIO
compendiata
DA GIOVANNI S 1 FILIN O
LIBRO LXVII.
SOMMARIO
Indole crudele di Domiziano ; odio contro il padre
ed il fratello: cap. 1. 2. — Egli repudia Doriii-
zia ; amoreggia Giulia , uccide le Vestali : 3 . — —
Guerra Germanica : 4 - 5 .- — Guerra Dacica con
Decebalo : 6. 7. • — • Spettacoli e conviti notturni di
Domiziano : 8. 9. — Cose fatte nella guerra Da-
cica : io. — Antonio preside della Germania , si
rubella ; molti vengono uccisi : 1 1 - 1 4 - — Come
Domiziano per insidie da alcuni tramate fosse uc-
ciso : i 5 - 18.
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a3o
PERIODO DELLA ISTORIA.
Anni
Anni
•
. * Anni
dell’era
di
di
volgare.
Roma.
Domiiiano
Si.
834-
Consoli. - L. FI. Silva Nonio Basso,
e Asinio Pollione Verrucoso. I.
83 .
835.
Domiiiano Aug. per 1’ ottava volta,
e Tito Flavio Sabino. II.
83.
836.
Domiziano per la nona , e Q. Petilio
Rufo per la seconda. IH.
84 .
CO
w
va
Domiiiano per la decima , e Tito
Aurelio Sabino. IV.
85. ■
838.
Domiziano per l’ undecima , e T.
Anrelio Fulvo. V.
86.’
CO
&
Domiiiano per la duodecima , e Ser.
Cornelio Dolabella. VI.
87 .
«4o.
Domiziano per la decimatena , ed
A. Volnsio Saturnino. VII.
88 .
var
00
Domiziano per la decimaquarta , e
L. Minucio Rufo. • Vili.
89 .
843 .
T. Anrelio Fulvo per la seconda ,
ed A. Sempronio Atratino. IX.
90 .
843 .
Domiziano per la quindicesima , e
M. Coccejo Nerva per la seconda. X.
9 1 --
844-
M. Ulpio Trajano, e Manio Acilio
Glabrione. _ XI.
ga. •
845 .
Domiziano per la sedicesima , e Q.
Volusio Saturnino. XII.
9*-
846 .
Sesto Pompeo Collega , e Cornelio
Prisco. • XIII.
94-
847-
L. Nonio Asprena , e M. Arricinio
Clemente. XIV.
g5.
848.
Domiiiano per la diciassettesima , e
T. Flavio Clemente. XV.
sfi-
849 .
Manlio Valente , ed Antislio Ve-
XVI. t 1 8 seti.
/
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23i
I.' Domiziano era uomo di natura audace ed ira-
condo; al tempo stesso insidiatore altresì e segreto;
da un lato adunque precipitoso dall’ altro frodolen-
to (i). Perciocché a molti danni inferiva , sorpren-
dendoli colla celerità del fulmine , a molti all’ oppo-
sto con premeditazione. Minerva venerava egli prin-
cipalmente tra tutti gl’ Iddìi , e per questo le Quin-
quatrie con magnificenza celebrò , nelle quali gare
di poeti , di oratori , di gladiatori ogn’ anno in Al-
bano esponeva (a). Imperciocché quel luogo , così
detto dal monte Albano sotto il quale era situato ,
scelto erasi come una specie- di fortezza. A niuno
(1) Tito Flavio Sabino Domiziano, come è nominato presso il
Goltsio, nato era il giorno 24 di ottobre dell'anno 8o4- Secondo
Svetonio, da principio nemico mostrossi delio spargimento del san-
gue ; poi diventò rapace per l’inopia, crudele-per timore, e quindi
di una grande, astuta ed impreveduta sevizie.
( 2 ) Costume era di alcuni imperatori di venerare con culto par-
ticolare qualche divinità, cbe poscia anche nelle medaglie traspor-
tavano. Frequente è difalto Minerva in quelle di Domiziauo , e Fi-
lostrato narra che un magistrato di Taranto fu accusato , perchè
nelle pubbliche preghiere espresso non aveva , che Domiziano fi-
gliuolo era di Minerva. In un tempio cangiò la casa , ove nato egli
era, e sembra che questo nominato fosse di Minerva Flaviana . Egli
ristabili pure il tempio di Minerva Calcidica dedicalo da Augusto ,
e alcuni credono che 1’ Odeo di Domiziano medesimo nella re-
gione iz, nominalo fosse Minervio e tempio nuovo di fillade. In
Albano aveva pure istituito un collegio a Minerva , i di cui maestri
estratti a sorte , spettacoli glandiosi di caccie esponevano , e giuo-
chi scenici, e gare degli oratori e de’ poeti. Corrispondevano questi
esercizj ai panatenaici grandi dei Greci , tjiùnquairie appellati dai
Latini.
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a32
giammai portò veramente amore , eccello che a po-
che donne , sebbene sempre simulasse di amare
quelli che grandemente bramava di trarre a morte.
Tanto poi egli era perfido con que’ medesimi , che
in alcuna cosa lo compiacevano , o nelle cose più
indegne lo ubbidivano, che dopo di averne ritratto
moltissimo danaro , e dopo che essi molti calunniati
avevano , li mandava a morte , massime i servi se
alcuna cosa denunziata avevano contra i loro pa-
droni. [Per tal modo quelli ancora , benché premj ed
onori , ed anche magistrature con essi ricevessero ,
non godevano per questo di maggiore dignità o sicurez-
za in confronto degli altri ; ma per quelle cose stesse
che da Domiziano richiesti operate avevano , truci-
dati venivano , perchè da essi soli procedere crede-
vansi le scelleratezze. E con questo avvisamento
scritto aveva altre volte in pubblico editto , che il
principe , il quale non puniva i delatori , egli stesso
li formava ].
IL E di questa indole facendosi egli vedere co-
stantemente nel suo principato, superò anche di gran
lunga sé stesso nel dannare all 1 ignominia ed alla
morte gli amici del padre e del fratello , [ sebbene
confermati avesse con editto tutti i benefizj da essi
e dai precedenti principi conceduti. Questo però
aveva egli temerariamente fatto , un aspetto di bontà
simulando ]. Perciocché quelle persone odiava , per-
chè accordate non gli avevano le cose tutte che ri-
chiedeva , tra le quali molte ve ne avevano di meno
oneste ; e perchè tenuti erano da prima in qualche
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onore. [ E di vero tutti coloro che carissimi erano
stati al padre ed al fratello , e presso di essi goduto •
avevano qualche potere , egli teneva in conto di ni-
mici ]. Per la qual cosa , benché Eutino eunuco
amasse , tuttavia perchè Tito ancora ai castrati mo-
strata aveva moltissima affezione , affine di fargli
ingiuria , vietò che più alcuno in avvenire castrato
non fosse entro i confini del romano imperio (i).
Del rimanente fortunati piuttosto che buoni appellava
quegli imperatori, dai quali pochi fossero puniti.
[ Sprezzava egli coloro che Tito lodavano , per ciò
appunto che alcun senatore non aveva mandato a
morte , nè muovere si lasciava dal desiderio di quei
padri , i quali chiedevano che un senatusconsulto si
facesse , col quale tolta fosse al principe la libertà
dii mandare a morte un senatore. Molto di fatto ad
essi importante riusciva che il principe portasse sen-
tenza contra alcuno dell’ ordine senatorio, o per suo
privato arbitrio , o non piuttosto con cognizione del
Senato medesimo; come se ad essi libero fosse il con-»
traddire all’imperatore, o lo assolvere il reo. Alcuni
Tito lodavano , non però alla presenza di Domizia-
no ; perciocché questo stato, sarebbe non minore de-
litto , che il vomitare ingiurie contra Domiziano
(t) Quell’ Eutino lodalo, o piuttosto adulato vedesi da Marziale.
Anche Svelooio nota che Domiziano la mulilazione de’maschi vietò.
Egli parla altresì della inclinazione mostrata da Tito per gli eunu-
chi ; non so a quale fondamento si appoggi il Keimaro , asserendo
che questo non poteva riferirsi se non ai tempi , in cui non ancora
aveva assunto l’imperio.
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a34
stesso presente ed ascoltante. Pur tuttavia , sapendo
egli che questo in segreto facevasi , altra via pigliò ]
non dissimile da un comico > e conforme a qualche atto
della scena (i). Imperciocché fingeva d'amare e di
piangere il fratello, e le di lui lodi non senza lagrime
recitava ( e premurosamente ancora annoverollo tra
gl’ Iddii) (a) , tutto l’opposto mostrando di quello che
egli voleva ; conciossiachè i giuochi circensi che nel
di lui giorno natalizio si celebravano , abolì ; laonde
gli altri tutti più non sapevano in qual modo o con-
dolersi j o congratularsi con esso si dovessero senza
pericolo , affinchè colla tristezza loro non lo offen-
dessero , mentr’ egli altrimenti sentiva , o non sem-
brassero col loro giubilo rimproverarlo della sua si-
mulazione.
III. Mentre però volgeva in mente la uccisione
della consorte sua Domizia (3) a cagione del coni-
ti) A stento io credo in questo luogo accostato il frammento di
Dione colle parole di Sifitino. Per questo ho creduto di dovere
usare qualche libertà nella Iraduxione , altrimenti il senso non cor-
rerebbe.
(a) Dice Svetonio che di nuli’ altro onore degno credette Tito se
non che della consecratrone , o della apoteosi; che del resto obhti-
quamente pigliavalo di mira nelle sue allocuzioni e ne’ suoi editti.
Un tempio col motto zeterr itati flìviorvm, trovasi nelle medaglie
presso il Mezzabarba e lo Spanemio.
(3) Domizia Longina nominata vedesi in una medaglia presso lo
Spanemio. Svetonio nota che Domiziano repudiolla , perchè perdu-
tamente innamorata dell’istrione Paride; e poco dopo mal soffrendo
quella separazione, la ripigliò, come se questo il popolo richiedesse,
sebbene egli stesso dal ruoto de’ giudici tolto avesse un cavaliere ,
che ripigliala aveva la propria moglie , da esso dopo il repudio
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2 35
messo adulterio, pregato da Orso (i), repudiolla, e
Paride istrione per la cagione medesima in mezzo
alla pubblica via fece uccidere (a) ; e udito avendo
che da molti in quel luogo fiori ed unguenti spar-
gevansi , ordinò che essi pure uccisi fossero. Da
quel tempo cominciò più apertamente ad aver com-
mercio con Giulia (3) figliuola del fratello suo, non
altrimenti che se sua moglie fosse. [ Richiesto quindi
dal popolo , tornò di nuovo in amistà con Do inizia,
accusata di adulterio. Al ritorno di Domizia allude una medaglia
che trovasi presso il Mezzabarba colla iscrizione concordia, avo.
Strano dee quindi sembrare 1’ errore del Pitisco , il quale a Sililino
attribuì 1’ asserzione , che Domiziano ordinata avesse l’ uccisione
della consorte.
(i) Questi fu poi ad istanza di Giulia crealo console. Se ne
parlerà nel capo seguente.
(a) Paride elegantemente viene appellato da Marziale , decoro e
dolore del teatro romano. Secondo quel poeta, fu ucciso nella via
Flaminia , e Svetonio aggiugue essere stato ucciso con esso un suo
discepolo ancora impubere , che per la bellezza e per l' artifizio non
dissimile era dal suo precettore.
(3) S* ingannò forse Filostrato il quale scrisse che Domiziano Gialia
impalmata aveva , mandando a morte Flavio Sabino di lei marito ,
e che quelle nozze erano state dagli Efesj celebrate. Svetonio dice
che Giulia ancora vergine gli era stata offerta in isposa; che ricusalo
aveva quel connubio, perchè marito di Domizia ; che poi avendo
Giulia impalmato altro consorte, egli la sedusse, vivente ancora
Tito $ che finalmente perduti avendo essa il padre ed il marito ,
ardentemente ed in pajese la amoreggiò, o cagione fu della di lei
morte, costretta avendola a disperdere il feto conceputo. Anche Pli-
nio il giovane dice che Domiziano la nepote non solo incestuosa-
mente compresse , ma vedova perire la fece per aborto $ il che basta
a provare che moglie non fu giammai di Domiziano. In alcuna me-
daglia non si celebrano le sue nozze; in una sola presso il Mezza-
barba essa porta il titolo di Diva. ■'
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a36
ma non abbandonò per questo , nè rallentò la con-
suetudine con Giulia]. [Lo stesso molti fece perire,
spediti avendoli in diverse missioni ; alcuni costrinse
altresì con varie arti a darsi da loro stessi la mor-
te } affinchè spontaneamente periti si reputassero 7
non da alcuna necessità indotti ]■ Dopo di aver egli
molti primarj cittadini per diverse cagioni tolti di
mezzo colla morte o coir esilio , non perdonò nè pure
alle Vestali , ma procedere volle contra di esse ,
come se commercio avuto cogli uomini avessero (i).
Della quale cosa , siccome grave ed aspra inquisi-
zione facevasi } e molti che accusati ei’ano , al sup-
plizio mandavansi j questo non sofferendo il solo
Elvio Agrippa ; uno dei pontefici , dicesi che sor-
preso da terrore nel Senato stesso, nel quale allora
(i) Dai frammenti Dioniani si raccoglie, che non dei tutto irra-
gionevole era il rigore di Domiziano. Giudicate furone da prima
due sorelle Ocellate , poi altra vestale detta Varonilla, e a queste si
lasciò libera la scelta del genere di morte , eh’ esse preferivano ,
relegati essendo i loro seduttori. Poi fu seppellita viva d’ordine di
Domiziano la vestale massima Cornelia , accusata già altre volle ed
assoluta, poi di nuovo tradotta in giudizio e convinta; i di lei se-
duttori furono dati a morte, a riserva di un solo mandato in esilio.
Plinio il giovane parla di un cavaliere detto Celere , battuto colle
verghe nel foro in presenza di Cornelia. Svetonio e Filostrato sem-
brano commendare la severità di Domiziano.; il primo però - non
dissimula die questo egli faceva in odio del padre e del fratello, i
quali que’ disordini negletti avevano; Plinio aggiugne altresì che
Cornelia fu dannata assente, senza essere da prima sentita. Forse
spente furono in quella occasione medesima tre altre vestali , Emi-
lia, Licinia e Marcia, che il Tillemont sospettò condannale sotto
Trajano.
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237
trovatasi, cadesse estinto. [Egli (i) di questo van-
tatasi che le Vestali convinte di ignominia , vive
non aveva fatto seppellire , ma in altro modo man-
date le aveva a morte]. *
IV. Andato essendo quindi coll’ esercito nella Ger-
mania (2) 7 tornò senza avere mai ■ veduto il nimico.
In questo luogo non è necessario che io rammenti
gli onori che attribuiti furono allora a Domiziano ,
e in qualunque tempo agli altri imperatori ad esso
somiglianti; affinchè piccoli e lievi onori ottenendo,
e sospettandosi per questo redarguiti , gravemente
non se ne mostrassero offesi. In esso però fu come
pessima cosa riguardato, che mentre bramava di es-
sere adulato , avverso mostravasi egualmente agli
imi ed agli altri , tanto a quelli cioè che lo onora-
vano , quanto a quelli che gli onori gli ricusavano ,
a quelli perchè adularlo , a questi pérchè trascurarlo
sembravano. [ Del rimanente simulava e£li di godere .
degli onori, che dal Senato erano ad esso accor-
dati con decreto ; poco mancò tuttavia che Orso
uccidesse , il quale le cose da lui fatte non del tutto
(1) Cioè Domiziano.
(a) Non dee questa spedizione confondersi, (come alcuni fecero ),
con quella fatta da Domiziano sul principio dell’impero del padre
insieme con Muoiano, d’onde egli trasse il nome di Germanico. La
prima si esegui contro i Catti ; una ne fece egli pure coulra i Sar-
mali, due contro i Daci , e di questi e dei Calti trionfò, dei Sat-
inati la sola laurea riportò. Tacito nota che deriso fu , perchè in
quel falso trionfo germanico , condotti non avendo prigionieri, com-
però schiavi , le di cui vesti e le chiome mentissero l’ apparenza di
Germani.
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a38
approvava ; non pertanto consolo lo fece alle pre-
ghiere di Giulia ]. Tanto però per queste cose stol-
tamente insuperbì , che console per dieci anni con-
tinui, e censore per tutta la vita , primo e solo egli
tanto fra i privati , quanto fra gl’ imperatori fu de-
signato (i). Impetrò ancora il corteo di ventiquattro
littori , e l’uso della veste trionfale , qualunque volta
nel Senato venisse. Il mese di ottobre , perchè in
quello era nato , cognominò Domiziano (a). Due nuove
classi di. aurigi aggiunse, delle quali 1’ una appellò
aurea , l’ altra purpurea (3). Agli spettatori poi dei
giuochi molto donava nei piccioli globetti (4) ; alcu-
na volta imbandiva pure convito a coloro che in
(i) Non sembra al Reimaro che dicci consolati gli fossero col
medesimo decreto attribuiti ; crede egli in vece che essendo già in
corso alcuni di lui consolati , tanti se ne aggiugnessero dopo la
guerra germanica, che al numero giugnessero di dieci. Censore per-
petuo fu creata Domiziano nell’ anno 837 » come si raccoglie dalle
medaglie. — Il Reimaro trova stranissima 1’ aggiunta dei ventiquat-
tro fasci , non accordati se non ai dittatori.
/a) Dubita il Reimaro che Dione scritto avesse altresi, avere
Domiziano al mese di settembre aggiunto il nome di Germanico , il
che da Svetonio si raccoglie. Quel mese era già stato Germanico
nominato da Caligola.
(3) Nell’ originale in vece di purpurea sta scritto argentea ; ma
di cocchieri argentei non si trova alcuna menzione , e del purpureo
gregge dei corridori parla Marziale. Pure io osservo che purpurei
erand .anche gli aurei o i dorati, cioè vestili di porpora ornata o
trinaia d’ oro ; laonde potrebbe ammettersi anche la lezione di ai —
gemei, vestili cioè di porpora trinala di argento. In questo modo
sei divennero le fanoni, e sei carri faceyausi uscire ad un tempo ,
il che- però non durò lungo tempo.
(4) Di questo costume degli imperatori ne’ teatri si è parlato
altrove.
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quel luogo sedevano (j) , e vino somministrava che
in molti luoghi scaturisse in tempo di notte. La quale
cosa , come al popolo riusciva di grandissima vo-
lutlà , il che è facile a creder^., così agli uomini
potenti era cagione di rovina. Perciocché molti Do-
miziano mandava a morte , allorché i mezzi non
aveva di fare spese tanto grandiose , parte costituiti
rei nel Senato , parte , mentre assenti erano , accu-
sati ; alcuni ancora per mezzo di insidie segretamente
spense col veleno.
V. [ Cariomero però , re dei Cherusci , essendo
stato dai Catti cacciato dal regno suo , per cagione
dell’ amistà che coi Romani manteneva , da prima
con alcuni compagni si unì, ed a prevalere ebbe nel
recuperamento del regno ( 2 ). Da essi poscia abban-
donato , spediti avendo ostaggi ai Romani, Domiziano
supplicjhevole richiese d’ ajuto; questo però impetrato
non avendo , ricevette tuttavia soccorso di danaro.
Masio re dei Sennoni, e la vergine Ganna ( essa do-
po Veleda oracoli rendeva nella regione celtica ) (3);
(1) Intendi nel teatro. Noto è difatto che nelle Quinquatrie , o
nelle feste di Minerva si distribuivano ai sedenti pani, o pasticcerie,
e sportelle coir vivande. Stasio narra di essere stato- egli stesso con-
vitato nei Saturnali.
(3) Dei Catti e dei Cherusci parla a lungo Tacilo; questi fino
viali' anno 799 chiesto avevano da Roma un re detto Italo , uomo
della loro stirpe reale, che tra gli ostaggi trovavasi ; ma questi pure
per cagione della sua amistà coi Romani era stalo caccialo dal re-
gno. Lo stesso avvenuto era di Curiomero. I Cherusci poi furouo
interamente soggiogali dai Catti.
( 3 ) I Senooni erano, al dire di Tacito, i più il lustri tra gli
Svcvi; alcuni storici li confotidcttero cogli Ermoduri , Dione talvolta
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a Domiziano si presentarono , ed onorevolmente da
essó accolti , alle case loro tornarono. Gli Svevi ,
con guerreschi assalti vessati da alcuni Ligii nella
Misia , spedirono essi pure legati , che soccorsi a
Domiziano chiedessero, e questi ottennero validi, non
tanto per numero , quanto per dignità ( 1 ). Percioc-
ché cento soli cavalieri furono loro accordati. Ma
gli Svevi per questo sdegnati , condotto avendo al
partito loro la popolazione de 1 Iapigi , già si dispo-
nevano a valicare l’ Istro insieme con essi ].
VI. Fuvvi però verso quel tempo grandissima
guerra tra il popolo romano e i Daci , presso i quali
allora regnava Decebalo. [Imperciocché Dura presso
il quale 1’ autorità risedeva , spontaneamente ceduta
la aveva a Decebalo ; giacché ] questi era e perspi-
coi Quadi e coi Marcomani. Quel Magio fu a torto da alcuni cre-
duto re de’ Nasamoni nell’ Africa , poiché qui vedesi collegato colla
profetessa Celtica. — Il nome di Veleda viene dal Reimaro non
malamente interpretato Elda, corrispondente al Germanico Hcldin.
Di questa parlossi sotto Vespasiano, e da Stazio si raccoglie che
fatta fu prigioniera , non si sa bene se in questa o nella guerra
precedente. ' *
(1) La Misia qui nominata è la Mesia di alcuni, posta al mezzodì
del Danubio, corrispondente alla Servia ed alla Bosnia d’ oggidì- I
Ligii però erano al di là dal fiume, e gli Svevi non sono già quelli
della Svevia odierna, ma quelli bensì che abitavano tra i fiumi
Maro c Coso, che il Reimaro sospetta il Marosch e il Tibisco.
Colà erano stati collocati da Druso sotto un re nominato Vannio,
e fino dal tempo -di Claudio quel re era stato assalito dai Ligii.
Anche i Iapigi in questo luogo nominali, il Reimaro colloca tra la
Moravia ed il Tibisco. Ma forse questo frammento è in qualche
parte mancante, o male fu trascritto da Sifilino, perche scrivere
dovevasi: gli Svevi al disopra della Misia.
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24 *
cace nel divisare le cose guerresche , e nell’ operare
sollecito ; bene istrutto néll’ arte di invadere oppor-
tunamente e in quella di ritirarsi a tempo ; destro
nel tendere le- insidie e prontissimo di mano nei
combattimenti ; perito finalmente tanto nell’ usare
rettamente della. vittoria , quanto nel porre accon-
ciamente riparo ad una disfatta. Per la qual cosa fa
egli per lungo tempo un avversario pericoloso al po-
polo romano (1). Del resto io dò il taome di Daci
a quella nazione , perchè essi così si appellano , e
c'ollo stesso nome sono pure ' indicati dai Romani;
sebbene io non ignori che essi da alcùni Greci no-
minati furono Geli", non curandosi essi che questo
rettamente o no si facesse. Io so di certo che i Geti
abitano presso il Danubio al di là dell’ Emo. Domi-
ziano , condotto avendo contra di essi l’ esercito ;
alcuna parte non pigliò egli stesso alla guerra (sic-
t • 1 r . . v '
(■) Due spedizioni' rammenta Svetonio fatte da Domiziano contra
i Daci , e di una guerra Dacica parla anche Eùsebio. Orosio paria
di Diurpaneo re dei Daci, da Giornande nominato Dorpuneo , in
alcune iscrizioni Diuppaneo. li Aeimaro opina che questo sia lo
stesso che Decebalo; io ali’incontrq dubito che questo sia il Astiar
dei greci, del qn^le i latini abbiano fatto Durpuneo o Diorpanea. —
Dione colloca i Daci dall’ una e dall’altra parte del Danubio , no-
minando Misii quelli situati al di.’qua del fiume presso i Tribadi,
e Daci quelli situali al di là , o Geli o Traci che essi fossero, de-
scendenti da que’Dsci che una volta Rodope abitarono. I Geli pro-
priamente detti egli rilegava al di là dell’ Emo presso je foci del
Danubio , *tioè nella odierna Bessarabia c Bulgaria , nel qu al caso i
Daci- più occidentali abitate avrebbonu le regioni, ora nominate Tran-
tilvania , Moldavia , Vaiàacbia. . 1 : . • .
IhoHt, tomo iy, I.° ni Siri uno. ’ ■ . 16
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come quello che in -, cerio villaggio della Misia si
trattenne e diede sfogo , giusta il costume , alla li-
bidine ). Perciocché egli era non solamente insoffe-
rente della fatica e di animo imbelle , ma petulante
altresì e libidinoso egualmente colle donne , come coi
fanciulli. Mandati avendo peri» altri, duci alla guer-
ra , fu questa per lo più malamente condotta. [ Ai
duci pòi egli imputava , se alcuna rotta ricevuta
avevano. Perciocché i prosperi eventi delle pugne ,
benché egli nulla facesse , a sé stesso attribuiva ;
che se alcuna cosa avveniva di contrario , benché
operato si fosse per di lui comando , la colpa egli
sopra gli altri rigettava. E quelli altresì < che in al-
cuna cosa riusciti erano felicemente , odiava , vitu-
perava coloro che sostenuta avevano qualche scon-
fitta) (i). . . •
VII. [ Vendicarsi volendo intanto dei Quadi e dei
Marcomanni , perchè contra i Daci prestato non gli
avevano alcun sussidio, nella Pannonia passò, affine
di muovere contra di essi la guerra , ed i secondi
loro ambasciatori , spediti ad oggetto di conchiudere
pace , diede a morte. Vintq però dai Marcomanni e
volto in fuga ^ sollecitamente spedì m$ssi a Dece-
balo loro re , ed invitollo. a stringere con esso la
pace , la quale più volte a quel' re , che la richie-
deva , aveva ricusata. Decebalo tuttavia , perchè da
* ■ * i 7
(t) Anche Svetonio narra , che la fatica sdegnando, n# pure per
la città andava sovente a piedi; che nella spedizione e nell’annata
rare volte vedevasi a cavallo, più sovente in lettiga; che non cu-
ravasi delle armi, e al più faceva qualche uso delle saette.
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gravi sciagure trovavasi assalito, accettò bensì le con-
dizioni di pace offerte , non però volle egli stesso
venire a colloquio con Domiziano , ma Diegide coti
una comitiva mandò , che le armi rendesse con al-
cuni prigionieri , che soli mostrava di avere, il che
fatto essendo, Domiziano a Diegide impose il diade-
ma (i) , come se realmente conseguita avesse la vitto-
ria , » la podestà avesse di dare ai Daci un re. po-
scia ai soldati suoi danaro ed onori impartì , e come
vincitore a Roma tra l 1 * 3 altre cose mandò i legati da
Dedebalo spediti e la di lui lettera , com’ egli stesso
diceva (giacché altri finta da Dpmiziano dicevanla),
e di molte spoglie adornò il trionfo (a) , non di
quelle che tolte aveva ai nemici , ( perciocché tutte
erano all’opposto state comperate ) (3)} ma di grandi
spese egli fece del suo per ottenere la pace , .data
avendo di là a poco a Decebalo grande somma di
danaro , ed accordati artefici periti in tutti i mestie-
ri , tanto in guerra quanto in pace utilissimi , c
molte altre cose promesse , però delle suppellettili
Augustali. Perciocché di queste, come se tolte fossero
ai nemici , sempre §euvivasi , non altrimenti che se
(i) Cioè la tiara col diadema , simbolo della coucessio'ne del reguo.
(a) Zi fi tu dice 1 ’ originale, che il Reimaro tradusse ferculi*. Io
ho tradoUo spoglie , perchè Plinio deride i carri nimici e i simu-
lacri della falsa vittoria £ e altrove parla del trionfo grave delle spo-
glie della provincie e dell’oro ai compagni estorto. ' •
(3) Dice quindi Plinio a Trajano , a quel ridicolo trionfò allu-
dendo: <4 Ricevemmo, non comperammo gli ostaggi, nè con gravis-
simi danni e immensi doni di avere vinto pattuimmo. »
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2 44 •
egli 1’ imperio medesimo ridotto, avesse a suo favore
in servitù ] (i). '
Vili. Tanti però e sì grandi onori furono ad esso
per decreto attribuiti , che le di lui immagini e le
statue d’ oro non meno che d’ argento , quasi tutta
riempivano la terra -, al di lui dominio sottoposta ( 2 ).
Celebrò egli ancora un suntuoso spettacolo , del
quale nulla ci fu trasmesso che degno fosse delF isto-
ria , se non che anche le vergini nel corso gareg-
giarono (3). Dopo di questo altra solennità celebran-
do , cioè la trionfale , espose ‘frequenti certami, dati
essendosi combattimenti prima di fanti poi di cava-
lieri nel circo , ed anche una pugna navale fetta in
certo nuovo luogo (4 ) , nella quale non solo tutti
( 1 ) Trajano forzò poi Decebalo a restituirgli gli artefici, come
fatto aveva Corbuloue eoa quelli che Teridate aveva coadotti via '
da Roma sotto Nerone , giacché costume antico era lo indebolirò la
potenza de’ minici , togliendo loro i fabbri.
fa) Gli scrittori di quella età parlano delle statue numerose col-
locale nel Campidoglio, che essere non potevano sé non se d’oro
o d’argento e di un certo peso, che alcuno credette 'non minore di
oento libbre. Plinio dice cha pieni erano tutti. gli aditi , lutti i gra-
dini del Campidoglio stesso , e che tutta 1’ area da ogni parte ri-
spleodeva, o piuttosto eia imbrattata J d’oro e d’argento. Ma
d’onde traevano i Romani quella immensa quantità' 'd'oro e d’ar-
gento , mancanti essi allora di ricche miniere e poco periti nel la-
vorarle? Io sono d’ avviso che molte fossero semplicemente inargen-
tate ò indorate, e dette poi auree ed argeuleà dagli scrittori. Il
Reimaro stesso opina ehe fuori • del ' Campidoglio quelle statue non
fossero se non di bronzo . Svelonio nota anbóra che oltre le statue
eretti eransi' Giani ed archi con quadrighe ed altre insegne trionfali.
(3) Anche Svetonio nota ohe nello stadio le' vergini' nel corso
contendevano. ' * •-
(4) Presso il Tevere nel circo Flaminio, come si raccoglie da
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a45
quasi i combattenti , .ma molti ancora degli spetta-
tori morti rimasero , perchè ' insorta essendo una
pioggia grandissima, e veemente procella all’ improv-
viso , ad alcuno non fu lecito lo andarsene dallo ,
spettacolo , e sebbene egli le vesti mutasse , non
permise tuttavia che altri alcuna cosa mutassero.
Per la qual cosa non pochi da gravi morbi furono
assaliti r e ‘perirono. Affine adunque di consolare il
popolo , un banchetto diede ad esso pubblicamente
per tutta' la notte. Spesso ancora di notte spetta-
coli di gare esponeva , e talvolta combattere faceva
i nani colle donne (i).
- IX. E come fatto aveva in quella occasione alla
plebe j così apprestò da poi in questo modo un cou-
vito'alle primarie .persone dell’ ordine senatorio e
dell’equestre. Le camere- dispose con apparati da ogni
parte nerissimi (a). Perciocché di colore bruno era-
Svetonio, scavato essendosi colà espressamente un lago, e circon-
dalo di edifizj. La vecchia Naumachia era quella di Augusto.
*(t) N Sviccs è scritto nell’originale'} meglio assai leggono altri
rctfovF, y <& viete , o mi uè. Il Du-Cangc , ingannato forse dalla
nonna degli Italiani, o dalle nonne* dei Francesi , interprelò ycnu
per domina , signora o matrona, ed opinò che Sifiliuo parlato avesse
di nn combatti mento di matrone con altre donne. Questo è ,un so-
gno, perché, se pure può ammettersi P interpretazione sua di quel
vocabolo , essa non appartiene certamente se non all* infima grecità,
e non mai all’ età ed allo stile di Sfóttilo ; e più ancora perchè del
combattimento dei' pumilioni o dei nani colle femmine parla Stazio
che ne fu spettatore. Vero è bensì che le donne talvolta tra di loro
pugnavano, finché Severo quel genere di spettacoli vietò.
(a) Uua bella iscrizione ha riferita in questo luogo il Reimaro ,
nella quale un defunto dice di avere ordinato , che i funerali gli si
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il\G ■
no i lacunari , le pareli ed il pavimento , e sul suolo
collocate erano sedie nude dello stesso colore. Le
quali cose èssendo cosi preparate , quelle persone
soltanto fece di notte introdurre senza compagni , e
prima di tatto presso ciascuno di essi collocò una
colonna , a guisa di quelle che si adoperano nei se-
polcri , nella 'quale il nome della persona contene-
vasi ed un picciolo lumicino , quale nei ‘monurfteuti
suole sospendersi ; poi veggonsi entrare fanciulli nudi
di forme eleganti, imbrattati d’inchiostro a guisa
di spettri , e con orribile dgnza i convitati circonda-
no , il che fatto ai piedi loro si assidono ; per ul-
timo tutte le cose che nei funebri banchetti si offe-
riscono, tutte di atro colore ed in vasi ancora somi-
glianti , furono ad essi arrecate. .Per il che a 'cia-
scuna di quelle comparizioni cominciò ognuno a pa-
ventare sommamente e ad inorridire , perchè ad
ogni istante at'tendèvansi di essere trucidati , massi-
mamente che regnava dappertutto Un grande silen-
zio , come se già morti fossero , e che Domiziano
di tutte quelle cose ragionava , che alle morti o alle
uccisioni si riferivano. Finalmente tutti li congedò ,
comandato avepdo da prima che partissero i loro
servij i quali nel vestibolo della casa si trattenevano,
e consegnati avendoli ad altre persone incognite , le
quali in parte nei cocchi , in parte nelle lettighe li
collocassero, con che uno spavento molto maggiore
celebrassero eoo cose lugubri , che Vivo apparecebiate aveva , il
letto, i cuscini, la toga, la veste ordinaria, il tutto nero, dal che
deduce che quel colore già consacrato fosse al lutto ed ai funerali.
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ad essi cagionò. Appena ciascuno era giunto alla
sua casa , e già in qualche modo cominciava a re*
spirare , che fu loro annunziato che alcuni ad essi
venivano da Augusto spediti. Per . la qual «osa aspet-
tando essi certamente la morte , da uno dei messi
fu offerita una colonna d’ argento , da altri qualche
altra cosa -, da altri un vaso di que’ medesimi che
erano loro, stati nella cena presentati, di lavoro
sommamente prezioso ; finalmente si offerì ad ognu-
no di essi lavato e ben ornato anche quel fanciullo,,
che da prima servito aveva a ciascuno di cattivo
genio ; ed in questo modo quelle persone , da gran-
dissimo timore per tutta la notte agitati, onorati fu-
rono con donativi. Domiziano in vero queste solen-
nità trionfali , o piuttosto quei banchetti funerei (co-
me diceva il volgo ) celebrò per cagione di coloro ,
che morti erano , parte nella Dacia , parte in Ro-
ma (i). Al tempo stesso mandò a morte alcuni pri-
mari cittadini , e della eredità privò quello., che uno
di essi , morto nei suoi poderi, seppellito aveva.
X. Del rimanente nella guerra Dacica ancora que-
ste cose avvennero degne di memoria, Giuliano , al
quale era stata affidata dall’ imperatore la cura di
quella guerra , non solamente ordinò tutte le cose
'• *
(i) Sconosciuto non era it costume dei banchetti funerei, detti
dai latini epuUe fendei , nei quali anche certe vivando privativa-
mente si apprestavano. — Io ho- tradotto genio cattivo , là dove
Sfidino scrive , che un fanciullo a ciascuno serviva di demonio o
di genio perchè il testo, come osserva anche il Bcimaro , dà a
que’ fanciulli l’aspetto di gtnj cattivi.
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248 ,
acconciamente r ma comandò ancora che i soldati i
nomi loro e quelli de 1 centurioni sugli scudi scrives-
sero (i), affinchè più facilmente potessero conoscersi
coloro che fatta avevano qualche illustre- azione , o
condotti si erano in modo indegno ; e venuto a con-
flitto coi nimici in 'Tapi, gran numero di essi ster-
minò. Tra i quali Vezino , che il secondo luogo
teneva dopo Decebalo , vedendo che vivo non pote-
va colla fuga salvarsi , cadde industriosamente coinè
, se morto fosse, quindi nascostamente nella nòtte
fuggì. Temendo poi Decebalo che i Romani vinci-
tori una irruzione facessero nella di lui reggia , gli
alberi che ad essa erano vicini , fece tagliare , e i
tronchi rivestire di armi , affinchè i nemici quelli,
come se soldati' fossero , paventando, addietro tor-
nassero, come realmente avvenne (a).
XI- Verso quel tempo Antonio preside della Ger-
mania (3) , osò insorgere contra Domiziano. Questi
. « • ... ' • » .
(i) Sugli scudi, ma forse in epoca posteriore, scrivevansi i nomi
.degli imperatori, dei duci, dei centurioni, o piuttosto, come nota
Vegezio, delle coorti e delle centurie, e it nome di ciascun soldato,
affinchè .ciascuno il proprio scudo per avventura deposto ripigliare
potesse , e riconoscere si potesse parimenti uno scudo vilmente
perduto, . .
(a) Anche Spartaco, guerreggiando conira Varino, al dire di
Frontino negli Stratagemmi, molti pali drizzò ai' quali fece legare i
cadaveri degli uccisi colle vesti e le armi loro , con che il nimico
deluse, e lo contenne, finché le sue truppe nella notte ritrasse dal
campo. ' ■ _
(3) Era questi L. Antonio Saturnino. Secondo 'Aurelio Vittore ,
irritato fu egli dalle crudeltà di Domiziano e dalle di lui • ingiurie ,
giacché da esso il nome ricevette di meretrice*. Svetouio però dice
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249
fu in guerra vinto ed ucciso da Lucio Massimo (i),
il quale , sebbene non degno di grande lode per
quella vittoria ( giacché altri molti vincitori limase-
lo mentre non ne avevano la speme , e i soldati
con esso validamente pugnarono ) 3 non può mai dd
me abbastanza degnamente essere lodato , perchè le
lettere tutte trovate negli scrigni di Antonio abbru-
ciò , non badando al proprio pericolo , affinchè gli
altri tutti sottratti fossero alla calunnia. Ma Domi-
ziano , quella occasione cogliendo , privo ancora di
quelle lettere , volse 1’ animo alle uccisioni , nè può
dirsi quanti uomini egli allora facesse trucidare. [ Per-
ciocché egli sè stesso in questo talmente condanna-
va , che affine di non lasciare sussistere alcuna me-
moria .degli uccisi , vietò che negli atti, riferiti fos-
sero i loro nomi (a). Ma di essi nè pure alcuna cosa
scrisse al Senato , sebbene le teste degli uccisi , co-
me quélla pure di Antonio , spedite a Roma , espo-’
che orgoglio concepì e disegni di novità dalle grandi somifae' che
presso di esso irovavansi deposte ; quindi ordinò poi Domiaiano che
più di mille monele*deporre non si potessero presso le insegne. -Quel
ribelle non sarebbe stato facilmente superato , se nell’orà stessa, della
battaglia sciolto essendosi improvvisamente il diaccio del Reno,
non fossero stati al di là del fiume trattenuti i barbari , che da Au-
tonio guadagnati , al di lui soccorso venivano.
( 1 ) In alcuni codici è scritto Lapio o Lappio Massimo, forse
per errore id vece, di L. Appio Massimo. Da altri viene nominalo
Morbano Massimo. . .
(a) Dchhonsi in questo luogo intendere gli. atti pubblici che al-
1* erario portavansi. Eraiivi pure gli atti, o i registri del Senato ,
dei diversi magistrati 3 dei principi , c questi talvolta commentarj
appella valisi.
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a5o
ste fossero ai rostri ]. Il solo Giulio Galvastro ancora
giovinetto (i) (era stato questi tribuno delle milizie,
lusingandosi di ottenere la dignità senatoria ) contro
la comune aspettazione fu salvo. Perciocché convinto
èssendo di avere soventi volte solo tenuta conferen-
za con Antonio , nè potendo in altro modo sgravarsi
dalla colpa di cospiratore 5 disse che per cagione di
lasciva consuetudine trovato erasi con quello , e tale
era veramente da poter essere amoreggiato ; laonde
fu lasciato libero. Le altre cose che fatte furono in
quei tempi 4 io ometterà , e quello solo accennerò
che Luciano Procio senatore , già provetto d’ età , e
vivente la maggior parte del tempo alla Campagna ,
fu costretto a partire dalla città con Domiziano (a),
onde datò a morte non fosse qualora- sembrasse
averlo egli ne’ pericoli abbandonato. Ma poiché udì
essere giunto P annunzio della vittoria riportata :
'« vincesti , disse , o imperatore , come io bramava ,
(t) Due di que’ giovani impudici m emioni» Svelonio , I’ uno tri-
buno laticlavio, l'altro centurione, i quali appunto impudici pro-
vandosi , mostrarono che nè presso il duce , ‘nè presso 1 soldati
avevano potuto godere dj alcun credilo. Questo sarebbe più onore-
vole per la morale dei Romani. Da questo solo passo di Dione si
voile inferire che il -tribunato laticlavio servisse di scala al Senato ,
ma la parola laticlavio trovasi bensì in Svelonio, non in Dione. E
come aspirato avrebbe alla dignità senatoria un fanciullo , fallo al
dire di Dione stesso per eccitare la libidine , e (Vesso tutti scredi-
tato^ secondo Svelonio? Io dubito che quello sia uu puro sogno di
Dione, o piuttosto di-Sifilino, dal Reimaro non avvertito.
(a) Anche Plutarco accenna che Domisiano partito era da Roma
colle legioni conira Antonio , sebbene ricevuti avendo gli avvisi della
vittoria, presto retrocedesse.
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a5i
per la qual cosa chieggo che tu mi renda alla mia.cam-
pagna ». Congedato adunque, se ne andò alla sua
villa , ma sebbene per lungo tempo da poi vivesse ,
non più tornò tuttavia dall 1 imperatore. Verso quel
tempo cominciarono alcvni con aghi intrisi nel vele-
no a pugnere quelli che loro piaceva , per la qual
cosa molti di questi, quasi non accorgendosene, mo-
rirono. Molti tuttavia di quegli avvelenatori , denun-
ziati estenda, puniti furono còli 1 ultimo supplizio ; e
quella scelleratezza non solo fu praticata in Roma ,
ma quasi in tutta la terrà (i).
.‘ XII. Diconsi jerò gli stessi prodigi avvenuti sotto
Ulpio Trajano. ed Acilio Glabrione j da’ quali pre-
detta fu a Glabrione la morte (a), à Trajano fu pro-
nosticato il sommo imperio. [ Tra le altre cose molti
uomini e molte donne della classe de 1 doviziosi , delle
quali alcune aveva egli (3) stuprate , puniti furono
(i) Crede» questo avvenuto all' epoca della rivolta di Anlouio.
Il Fabricio credette adoperato dagli antichi un veleno, che toccando
appena il sangue , la putredine introducesse ; comunque sia, gli aghi
avvelenati tornarono in uso sotto il regno di Commodo.
(a) Crede il Reimaro soppressi da Sifilino i racconti di que’pro-
digj, forse da Dione rammentati; perdila, die’ egli di poca im-
portanza . Anche Svetonio nota , che molti dannati furono , anche
dell’ ordine equestre e senatorio in forza della legge Scalinia , la
quale però , per quanto apparisce da Quintiliano, l’impudicizia re-
primeva con pene pecuniarie. Singolare è tuttavia il vedere, come
Domiziano, sommamente impudico , punisse severamente l' altrui
impudicizia , il che già si vide nel repudio di Domizia , e nel giu-
dizio rigoroso delle Vestali. Svetonio soggiugne, che alle femmine
impudiche. tolse l’uso della lettiga ed il diritto di percepire eredità
o legati.
(3) Cioè Domiziano.
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252
per delitti di adulterio. Anche per altre cagioni fu-
rono molti puniti con multe e dati a morte]. Una
donna , perchè spogliata erasi innanzi alla statua di
Domiziano , fu condannata e giustiziata ; [ un altro
10 fu egualmente , perchè cogli astrolOgi avera com-
mercio J. Nel numero di coloro , che allora furono
dati a morte,'! quali ben molti erano, farri anche
Mezio Pompo siano (i), che Vespasiano non are va
mai molestalo, sebbene udito aresse il rumore sparso
che egli regnato avrebbe , ma lo arerà anzi pefc
questa cagione onorato, e dire di esso soleva: «Pom-
posiano sarà Ognora memore di me j e a vicenda in
ogni miglior, modo mi onorerà ». Questi rilegò Do-
miziano da prima in Cimo (a) , e allora mandollo a
morte, accusato .essendo irà le altre cose di avere'
11 globo della terra dipinto -su le .mura della sua ca-
mera , e di leggere le allocuzioni dei re e degli al-
tri primarj personaggi, estratte da Livio. Mandò pure
a morte Materno sofista (3) , il quale per esercizio
dell’ arte sua contra i tiranni declamato aveva. Con-
ferenze teneva Domiziano stesso cogli accusatori e
(i) Tra i~delitli di quest’ uomo Svetonio riferisce altresì quello
di avere ritenuta presso di sè la genealogia degli imperatori , e di
avere applicati ai servi i nomi di Magone e di .Annibale. Vespa-
siano lo aveva anche nominato consolo. ,
(a) Cioè la Corsica, cosi detta da una radice ebraica che signi-
fica silvestre , o da altra che significa corna , forse per cagione dei
frequenti promònterjs ' , ^ 1 i .
(3) Tacilo , o chiunque altro è l’ autore del libro degli oratori ,
dice che Curiazio Materno recitate aveva le tragedie di Catone , di
Medea , fors’ anche di Tieste , con che destata aveva invidia nei
potenti.
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a53
coi testimoni e riunita avendo 1’ opera loro , tutte
le cose immaginava e disponeva , che da essi dire
si dovevano ; spesso ancora trattenevasi con coloro
che imprigionati erano in segreto , e le loro catena
còlle sue mani teneva; perché non ad altri affidare
voleva le cose che essi erano per dichiarare , e per-
chè quejli anche incatenati temeva. ’ » ■ ' '
XIII. Del rimanente Domiziano come censore, una
cosa fece degna di memoria. Perciocché Cecilio Ruf-
fino (i.) dal Senato rimosse , perchè danzava , e Clau-
dio Pacato , benché fosse stato centurione , al pa-
drone restituì, perchè convinto era di ' essere stato
di lui servo. Ma le cose, che seguono , '“sono • assai
dissimili , siccome quelle che da esso fatte furono
1 colla somma podestà- di imperatore; Conciossiachè
Rustico Àruleno fece uccidere , perchè filosofava , e
perchè Trasea appellato aveva uomo santissimo (a) ;
così pure Erennio Senecione (3) , pérchè vissuto
avendo lunghissimo tempo dopo la questura , non
\ ^ * - • • ^ * "\ "*
(i) In alcune edizioni vien detto Cecilia Rufo. Di questo parla
anche Svelonio, dicendo che grande inclinazione aveva ai gesti, forse
alia pantomima, ed alla danza.
fa) Da alcuni vien detto L. Giunio Aruieno Rustico-, e credesi
il padre di-L. Giunio Rustico, il quale fu precettore di M. Anto-
nino. Probabilmente era questi un filosofo stoico, la di cui immagine
trovasi prèsso Fulvio Osino. Anfche Tacito narra, che Trasea fu
lodato da Arulenò , Kividio Prisco da Ereunio j il solo Svetouió
crede P uno e P altro lodati' da Rustico* * •
(J) Fu questo uno stoico spaguuolo, questore da* prima nella
luetica , e la vita di Prisco scrisse ad istanza di Fannia di lui mo-
glie. Questa con altra donna nominata Aria, fu mandata in esilio
da Domiziano , il quale fece pure Uccidere il figliuolo di Elvidio.
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a54
aveva chiesto giammai alcuna magistratura , c per-
chè scritta aveva la vita di Elvidio Prisco ; c molti
altri per la stessa cagione mandati furono a morte ,
perchè allo studio della filosofìa attendevano ; essen-
do stati tutti gli altri di nuovo espulsi dalla città (i).
Certo Giovenzio Celsio perù , che tra i primi con-
tra di esso congiurato aveva , ed era stato per
quella cagione accusato , in modo maraviglioso sai-
vossi. Perciocché all’ istante trovandosi d’ essere con-
dannato , chiese di parlare segretamente con, Domi-
ziano , e quindi adorandolo , e signore e Dio , ( coi
quali nomi già da altri appellavasi ) , sovente nomi-
nandolo , « io invero , disse , nulla ammisi di quello
che mi si oppone ; che se pure a te piacesse di
ampliare questo procedimento , del tutto io farò di- .
ligente ricerca , molti poi denunzierò e convincerò ».
Congedato adunque per questo motivo , niuno da
ppi indicò , ma altre scuse addotte avendo , la vita
prolungò fino alla morte di Domiziano ( 2 ).
XIV. A quel tempo medesimo fu lastricata di pie- ■
tic la via che da Sinuessa conduce a Pozzuoli (3).
( 1 ) Molli scritti ci parlaoo di quella seconda espulsione dei filo-
sofi e dei matematici , e da alcuni si crede allora partito il celebre
Epitteto. . • t -
(?) Signore e Dio voleva essere appellato Domiziano in tutte le
occasioni in voce e in iscritto, come narra Svelonio , nel che al-
cuni il prkno lo credono de’romani imperatori , benché eguale stra-
vaganza fosse venula in capo a Caligola. Osserva il fìeimaro die
Domiziano , appellalo Dio in vita , nè pure il titolo di divo dopo
la- morto non meritò.
(3) Forse la via Domiziana , che dalla Appia staccandosi , pas—
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Lo stesso anno Domiziano mandò a morte , siccome
altri molti, così pure Flavio Clemente (i) (sebbene
questi fosse di lui' cugino, e moglie avesse Flavia
Domitilla, anch’ essa parente di Domiziano), appo-
sto avendo all’ uno ed all’ altra il delitto di empietà
verso gli Dei ; e per questo delitto anche molti al-
tri che deviati erano ai costumi dei Giudei, dannati
furono (a). ; dei quali una parte fu uccisa , 1’ altra
t ■
sava a Baja od anche a Napoli , col di cui meno evitavasi il cam-
mina in mezzo a sabbie assai iucomòde. Alcuni però opinano che
già fosse quella via da prima selciata o lastricala ; e certamente in
una- iscrizione di Pozzuoli si paria delle vie da Vespasiano rifatte.
Forse quella non fu che ristorata da Psmiziano e la di lui vanità
fece si eh’ egli solo si nominasse ristoratore di questa via, come già
detto si era del Campidoglio, da altri rifabbricato.
fi) Male scrissero altri: Fabio Clemente. Questi fratello era di
Flavio Sabino» pure da Domiziano dato a morte, e Flavio vieoe
nominato da Svetonio e da altri. Il di lui padre era altro Flavio
Sabino , fratello maggiore df Vespasiano. A Flavio Clemente rim-
proverata Vedesi da Svetonio una spregevolissima inerzia.: i di lui
figliuoli aveva tuttavia Domiziano .destinati suoi suceessori , cam-
biando loro i nomi in quelli di Vespasiano e di Domiziano; poscia
all'improvviso per tenuissimo sospetto comandata aveva 1’ Decisione
ilei padre loro. — Domitilla , moglie di Clemente era figliuola, di
una sorella' di DomiziaDo medesima, detta da alcuni Doncitilla se-
niore , e morta mentre ancora non era il di’lei padre imperatore.
Non debbono queste Domitille confondersi con quella onorata di
cullo divino' e di sacerdoti, la quale essere doveva la moglie stessa
di Vespasiano, madre di Domiziano. La sorella di questo trovasi
nelle medaglie, ma nou mai col titolo di diva.
(a) Sotto .il nome di Giudei e di costumi giudaici , debbono qui
intendersi i Cristiani gd il loro culto, perché in questa modo erano
allora dai Romani indicati , siccome di origine giudaica, ed in molti
fili ancora non dissomigliami dagli Ebrei. Anche questi però furono
sotto Domiziano taolestati ; ma gon c punto credibile ebe i Romani
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2 56
spogliata di qualunque facoltà. Domitilla fu soltanto
relegata all’ isola Pandataria. Glabrionè altresì , che
la magistratura sostenuta aveva con Trajano , sicco-
me per altri titoli , così pure per quelli accusato ,
per i quali molti denunziati venivano , ed anche per-
chè pugnato aveva colle fiere , fu per comando di
Domiziano ucciso , perciocché per quella cagione
principalmente incontrata aveva l’ invidia e l’ avver-
sione. Conciossiachè chiamato avendolo , mentre con-
solo era , in Albano ai. giuochi Giovenali , e co-
stretto avendolo ad uccidere un terribile lione , Gla-
b rione non solo dalla fiera non fu offeso , ma la
fiera stessa con colpi destramente diretti ridusse
a morte (i). Per queste cagioni tutti cominciarono
al culto ebraico si appigliassero , mentre molti la fede di Cristo
adottavano. Non per questo oserei asserire, che Flavio Clemente
con tutta la sua famiglia la cristiana fede professasse; sebbene altra
Domitilla rammenti Eusebio , nepote di Clemente medesimo , sic-
come figlinola di una di lui sorella , la quale cristiana dichiarandosi
fu rilegata nell’ isola di Ponza , e quindi ancora vergine martirizzala
in Terracina souo Trajano. Non basta a mio avviso la taccia di
inerte data da Svetobio a Clemente, a provare il di Ini cristianesimo,
benché questa apposta veggasi talvolta per dispreizo ai cristiani ;
e troppo generale è l'espressione di Dione, concernente il delitto
d’empietà verso gl’ Iddìi. Questo poteva commettersi tantq col pas-
sare al giudaismo o al cristianesimo , quanto col mancare in qualche
modo di rispetto ad un imperatore Che vivo erasi divinizzalo; e
Svetonio nota di fatto che Clemente fu spento per un tenuissimo
sospetto.
(i) Dal racconto di Svetonio sembra che Glabrionè, come amante
di cose nuove (o di rivoluzioni) , fosse stato già mandalo ip esilio:
ed allora poi fosse ucciso. Giovenale lo dipinge nudo nell* arena
Albana, cacciatore di orsi. Ne’ giuochi giovenali facevausi corse di
cocchi, ed anche caccie di fiers. .
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a 57
a rendersi a Domiziano sospetti. Nè alcuno più
speme di sicurezza trovava tra i liberti , nè tra i
prefetti del pretorio, i quali nella prefettura medesi-
ma studiavasi egli di tradurre in giudizio come col-
pevoli. Perciocché anche Epafrodito liberto di Ne-
rone , che da prima relegato aveva , allora fece
trucidare , il delitto apponendogli che "a Nerone
non avesse prestato soccorso (i) ; affinchè col sup-
plizio , al quale per cagione di Nerone danna-
valo , i liberti suoi collo spavento prevenisse , onde
eguale delitto con esso commettere non osassero. Il
che però non gli riuscì di alcun profitto , giacché
nell’ anno seguente fu per tradimento ucciso , con-
soli sedendo Cajo Valente ( il quale nonagenario nel
consolato stesso morì ) , e Cajo Antistio.
XV. Lo assalirono , e le insidie tramarono insie-
me, Partenio di lui cubiculario , benché tanto da esso
onorato che ottenuta aveva la facoltà perfino di por-
tare la spada (a) , e Sigerio , uno anch'esso dei cu-
biculari! , e così pure Entello, al quale confidata era
la cura dei libelli dell’ imperio , col liberto Stefa-
(i ) Pià verisimil mente Svetonio crede Epafrodito dato a morte,
perchè colle tue mani ajutalo area Nerone ad ucciderai , e a Do-
miziano attribuisce il disegno di atterrire con quell’ esempio i li-
berti, affinchè eguale cosa con esso non tentassero giammai.
(a) Alcuni critici questo diritto ristringono alla sola occasione
io cui il concessionario si portasse in villa. Quel Partenio fu poi
sotto Nerva , al dire di Aur. Vittore, dai soldati evirato, poscia
ucciso .
t Dio**, tomo IV, /.• Di StriLiao. • >3 >
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a58
no (i). Ma di quel fatto consapevoli creduti non
furono , nè Domizia di lui consorte ( 2 ) , nè Nor-
bano prefetto del pretorio (3) , nè il di lui collega
Petronio Secondo. Imperciocehè odio costante gli
portava Domizia , e temeva che la di lei uccisione
ordinasse ; nè gli altri più caro lo avevano , parte
perchè già loro varj delitti si imputavano , parte
perchè una sorte eguale dovevano aspettarsi. Questo
veramente io ho udito , che Domiziano tutti volesse
mandarli a morte , perchè già sospetti gli erano ; e
che i loro nomi scritti avesse sopra tavolette di ti-
glio, le quali in due parti aprivansi a foggia di li-
bro (4) , e queste sotto il capezzale del letto in cui
dormiva , collocasse ; che quindi rapite avendole ,
mentre Domiziano dormiva , certo picciolo fanciullo
di quelli che nudi sono e garruli (5) , senza sapere
( 1 ) Procuratore, secondo Svetonio, di Domililla, ed accusato di
avere trafugato il danaro.
(a) Svetonio complice la suppone della congiura.
(3) Due erano anche a quel tempo i prefetti del pretorio.
(4) Il Reimaro si stende in questo luogo a parlare dell’ uso delle
tavolette tiliacee, conservato ancora presso i Romani dopo il ritro-
vamento' del papiro e della carta ; io ho amato meglio rischiarare
1’ idea esposta da Dione, di quelle tavolette bifarie , o kipalenti ,
che si aprivano in due , e che ci conducono chiaramente alla forma
dei dittici. Questo passo tuttavia non è stalo osservato nè dal Do-
nati , nè da tutti gli antiquari che.la materia de’ dittici parxialmente
trattarono, e forse è il primo in cui i dittici si veggano manifesta-
mente accennali.
(5) Piccioli fanciulli, dice Svetonio, amabili per la loro avve-
nenti, e la loro garrulità. Questi buffoncelli, al dire di Petronio,
di Marziale e di Stazio, Mauritani d' ordinario, o Sirj, o Alessan-
drini, formavano la delizia degli uomini e delle donne di Roma della
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a5p
quello che si fossero , Domizia per accidente in quel
fanciullo avvenutasi , lo scritto leggesse , e il tutto
a quelle persone comunicasse. Dal che venne che
esse le insidie, che già da qualche tempo meditavano,
allora affrettassero. Non tentarono tuttavia col fatto
cosa alcuna , priachè d* accordo fossero intorno al
successore dell’ imperio (i). Per la qual cosa venuti
essendo con molti a conferenza , nò volendo alcuno
P imperio assumere , perchè tutti temevano di essere
da quelli artifiziosamente tentati, finalmente a Nerva
si addrizzarono. Uomo era questi nobilissimo ed ur-
banissimo , e corso aveva grande pericolo , calun-
niato essendo dagli astrologi ( perchè dicevano essi
che ottenuto avrebbe l’ imperio ) ; cosicché per que-
sto appunto giunsero a persuadersi più facilmente
classe più agiata. Diversi erano però dai fanciulli delti delicati, dei
quali non giova parlare. Anche Seneca nota, che si comperavano
que' fanciulli procaci, e si aumentava la loro impudenza per mezzo
di tirocinio , col quale loro s’ insegnava a meditare i motti , che
contumelie non appellavansi , ma bensì arguzie. Di uno di que'fan-
eiulli narrasi che in egual modo tradisse Commodo , come un altro
fatto aveva con Domiziano ; laonde sospettò alcuno che la scoperta
a danno di Commodo avvenuta , Stillino per inavvertenza traspor-
tata avesse alla vita di Domiziano , il che il Reimaro non ammette,
fondato sull'ordine della istoria dioniana , strettamente conservato
da Sifllino. Pure io duro fatica a credere che la cosa stessa colle
medesime circostanze in due diversi tempi avvenisse jet’ esempio ,
allora non antico, di Domiziano avrebbe dovuto rendere Commodo
più guardingo , giacché troppo erano pericolosi que' buffoncelli di
corte.
( 1 ) Così traduco io questo passo che altri tradussero: pria che
il successore delfimpcrio confermassero ; credendomi di meglio rag-
giuguere 1’ idea dello scrittore originale.
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a6o
che l’imperio accetterebbe (i). Perciocché Domiziano,
indagati avendo i giorni e le ore , nelle quali nati
erano i primarj cittadini, non pochi, i quali nè pure
lusingavansi per quella cagione di essere di alcun
potere investiti , già aveva tolti dal mondo; e quindi
avrebbe pure comandato di uccidere Nerva , se uno
degli astrologi per la benevolenza che gli portava ,
detto non avesse eh’ egli di là a pochi giorni morto
sarebbe. [Il che Domiziano credendo che veramente
avvenire dovesse , non volle privarlo di vita , sicco-
me quello che di là a poco morire doveva } (a).
XVI. Ma siccome nulla avvi in queste cose che pre-
veduto da prima non sia, cosi avvennero a Domiziano
tanto altri prodigi , quanto quello altresì che nel son-
no vide Rustico (3) venire a lui colla spada, c la sta-
tua di Minerva che nella di lui camera era collocata,
gettare le armi , e quindi in un carro tirato da neri
cavalli entro vasto baratro precipitarsi (4). Ella è
però cosa degna di^ammirazione che certo Largino
(i) Dubitano alcuni che Nerva al pari di Pomposiano, avesse
presso di sé la genealogia degli imperatori. (Vedi sopra nota (i)
pag. a53) . Sembra più credibile che imputato fosse dagli astrologi un
delitto a Nerva, che non ch’egli fosse, come altri supposero, dato
all’ astrologia.
(a) Alcuni sono d’avviso, che Nerva mandato fosse in esilio,
altri che per timore dei tiranno fuggisse e dalie legioni nella Gallia'
I’ imperio riavesse; sembra però probabile eh’ egli , come Dione as-
serisce , in Roma allora si ritrovasse.
(3) Aruleno Rustico, ch’egli aveva fatto uccidere.
(4) Svetonio narra soltanto che quel principe vide in sogno Mi-
nerva partire dalla sua cella , dicendo essa che più assisterlo non
poteva, perchè da Giove disarmala.
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261
Proclo pubblicamente predisse nella Germania clie
Domiziano in quel giorno medesimo morto sarebbe,
in cui realmente fu spento ] e dal prefetto della pro-
vincia essendo stato spedito a Roma , alla presenza
di Domiziano introdotto , le cose dette anche allora
confermò. Condannato fu adunque come reo di ca-
pitale delitto, del quale punito sarebbe qualora l’im-
peratore evitato avesse il pericolo ; ma ucciso essen-
do in quel frattempo Domiziano , egli salvo rimase ,
e quattrocento sestcrzj da Nerva ricevette. Altro fuvvi
da prima , il quale predetto avendo a Domiziano il
tempo ed il genere della morte che incontrata avreb-
be , ed interrogato da esso a vicenda come la vita
egli stesso finita avrebbe , risposto avendo che sa-
rebbe stato divorato dai cani , fu dannato ad essere
abbruciato vivo. Ma acceso essendosi il fuoco , cad-
de all’ istante una pioggia tanto dirotta , che il rogo
si estinse } il che avvenuto essendo , i cani , trovato
avendolo giacente nel rogo colle mani legate dietro
il dorso , lo lacerarono (i).
XVII. Io ho ancora a riferire certo fatto total-
mente straordinario , che esporrò dopo che avrò ra-
gionato della morte di Domiziano. Poiché dunque
si fu levato Domiziano dal suo tribunale , e volle
per qualche tempo ( come era il costume suo ) pi-
gliare riposo 5 Partenio da prima il ferro tolse dalla
(i) Narra in vece Svetonio che Domiiiano lo fece uccidere e co-
mandò che diligentemente fosse seppellito, onde arguirlo di fallacia;
che però insorta essendo una procella , il cadavere mezzo abbrusto-
lito fù abbandonalo e lacerato dai cani.
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a 6 a
spada , die sempre sotto il di lui guanciale giaceva,
affinché Domiziano servirsene non potesse ; poi nella
camera introdusse Stefano, uomo più degli altri tutti
robusto ; e questi una ferita gli diede , non però
mortale (i), ma da Domiziano fu gettato a terra.
Allora saltò dentro Partenio , timoroso che Domi»
ziano si salvasse , o pure Massimo liberto (come al-
cuni opinano) spinse nella camera (a). Così allora
fu Domiziano ucciso , e Stefano ancora perì insieme,
accorsi essendo contra di esso coloro che della con-
giura consapevoli non erano.
XVIII. Ammirabile a me sembra tra tutte l’ altre
cose , quella eh' io poc’ anzi diceva , cioè che certo
Apollonio Tianeo in quello stesso giorno ed in quel-
l 1 ora medesima , in cui Domiziano veniva ucciso
(>) Domiziano, al dire di Svetonio , cerei) la spada e chiamò i
ministri , ma della spada non trovò se non che l’ impugnatura , e
le porte chiuse si rinvennero. Soggiugne quello storico, che Stefano
per alcnni giorni portato aveva il braccio fasciato , siccome infermo,
onde allontanare qualunque sospetto; che entrato sotto il pretesto
di svelare una congiura , mentre l’ imperatore uno scritto leggeva e
rimaueva attonito, lo feri nell’ anguinaglie ; aggiungono altri che
Stefano entrato nella camera , annunziasse a Domiziano che Cle-
mente era vivo tuttora e contra di esso cospirava. Questo può es-
sere ; ma non regge il racconto della Cronaca Pasquale , che Domi-
ziano ucciso fosse dai senatori , mentre nel tempio di Giove sa-
crificava.
(a) Svetonio nomina tra gli uccisori di Domiiiano ferito ed an-
cora dibattentesi , Clodiano cornicolario ( nome indicante uu grado
nella milizia ) , Massimo liberto di Partenio , Saturio decurione dei
cubicularii , che il Forcellini traduce maestro , o ajutante di camera ,
ed alcuni gladiatori; e da tutti questi, die’ egli , fu con sette ferita
trucidato.
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\
a63
(perciocché questo fu poscia risaputo da coloro, che
nell’ uno e nell’ altro luogo trovavansi ) salito essen-
do o in Efeso, o in altro luogo , su di un sasso ele-
vato , e convocato avendo gran numero di persone ,
disse : « Rettamente , o Stefano ; assai bene , o Ste-
fano , ferisci 1’ omicida 5 1’ hai percosso , l’ hai ferito,
1 ’ hai ucciso ». Che se tal cosa alcuno mille volte
negasse , pure in questo modo avvenne (1). Visse
Domiziano quarantaquattro anni , dieci mesi , venti-
sei giorni. Regnò quindici anni e cinque giorni (a).
Fillide , nutrice , rapito avendo il di lui corpo , lo
seppellì ( 3 ).
( 1 ) Questa favola viene diffusamente riferita anche da Filostrato.
Già si era narrato che Apollonio, fatto imprigionare da Domixiano ,
sparilo era, e nell’ora medesima era stato veduto in Pozxufti , tra
giornate di cammino distante da fioma ; lutti raconti di una pasta
medesima.
(a) Svetonio dice che Domixiano mori nell’ anno dell’ età
sua, i5- B dell’imperio. Nato egli era però il giorno di ottobre
dell’ anno 8o4 di Roma, e ucciso fu il 18 di settembre dell’ anno
8491 d che prova esatto il computo di Dione; al piò possono ag-
giugoersi 6 giorni in vece di 5 ai i5 anni del suo imperio.
(3) Soggiugne Svetonio , che Fillide ne celebrò i funerali nella sua
villa sulla via latina , ma le reliquie del cadavere di nascosto in-
trodusse nel tempio della famiglia Flavia , e le ceneri ne mescolò
con quelle di Giulia figliuola di Tito , eh’ essa similmente educala
aveva.
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s64
DELLA
ISTORIA ROMANA
D I
DIONE CASSIO
compendiata
DA GIOVANNI SIFILINO
% LIBRO LXVIII.
SOMMARIO
Molti atti di Domiziano si annullano * cap. t —
Virtù di Nerva Cesare Augusto ; di lui benignità
verso Virginio : 2. • — Congiura di Crasso ; sedi-
zione dei pretoriani ; adozione di Trajano: 3 . • — * Pa-
tria di Trajano e di lui elogio. Morte di Nerva :
4 . — Come Trajano cominciasse l’imperio : 5 . —
Egli intraprende la guerra cantra Decebalo , ter-
ribile a questo , caro ai suoi: 6. 7. — Vince i
Duci e di essi trionfa : 8. - io. — Altra guerra
contra i Duci: 11. 12. — • Come Trajano un ponte
di pietra gettasse sul Danubio: i 3 . Morto De-
cebalo , i Daci sono ridotti in provincia ; F Arabia
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a 65
viene occupata : 1 4 - — - Legazioni diverse; vie aperte
nelle paludi Pontine ; statue erette ad uomini bene-
meriti ; colonna Trajana: i 5 . 1 6. — Spedizione con-
ira i Parti per il discacciamento di Esedare dal-
l’Armenia, e la intrusione di Partamasiri: ly. 18. —
L’Armenia viene tolta a Partamasiri presentatosi
a Trajano: ig. 20. — Come Auguro Osroeno da
Trajano perdono impetrasse : 2 1 . — Di Mani e
Manisari spediti ambasciatori a Trajano : 22; — •
Trajano ottimo: presa avendo Nisibe ed Ecbatana,
Portico viene nominato : 23 . ■ — Di un grande ter-
remoto ad Antiochia : 24. a 5 . — Raggiunto avendo
il Tigri , s' impadronisce della Adiabene , della
Mesopotamia e di Ctesifonte : 26. - 28. — Molte
regioni perde e recupera ; ai Parti dà un re: 29. 3 o. —
Combatte invano gli Atreni : 3 i. . — I Giudei ru-
bellati nella Cirene, nell’Egitto, in Cipro, da Lu-
sio principalmente sono domati: 3 a. — • I Parti
cacciano il re che loro era stato dato. Trajano
muore : 33 .
PERIODO DELLA ISTORIA.
Anni de Ut Era Anni Anni
vallare. di Roma. di Pferva.
96. 849. Consoli. - C. Manlio Valente
e C. Anlistio Velere. I. -J- 18 sett.
97. 85o. Nerva Ces. Aug. per la HI-,
volta , e L. Verginio Rufo
per la 111. II.
98. 85i. Nerva Ces. Aug. per la IV.,
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a 66
e Nerya Trajano Ces. per
la II. III. f 37 giug.
Anni
di Trajano
99 -
852 .
C. Sosio Senecione perla II. ,
ed A. Cornelio Palma.
n.
IOO.
853 .
Nerya Trajano Aug. per la III-,
e Ses. Giulio Frontino per
la III.
III.
101 .
vr
in
00
Nerva Trajano Ang. per la IV.,
e Ses. Articolejo Peto.
IV.
ioa.
855 .
C. Sosio Senecione per la III.,
e Lucio Licinio Sura per
la II.
V.
io3.
856 .
Nerya Trajano Aug. per la V.,
e Qu. Messio Massimo per
la II.
vi.
io',.
857.
Suburano per la II. e P. Ne-
raiio Marcello.
VII.
i* 5 .
858 .
Ti. Giulio Candido per la II.,
e A. Giulio Quadrato per
la lì.
Vili.
106.
85 g.
L. Ceiouio Commodo Vero, e
. L. Cereale.
IX.
107.
860.
C. Sosio Senecione per la IV.,
e L. Licinio Sura per la III.
X.
108.
861.
Ap. Treboaio Gallo, e M. At-
tilio Brado.
XI.
109.
8Ga.
A. Cornelio Palma per la II.,
e C. Calrisio Tulio per la IL
XII.
110.
863 .
Clodio Priscino, e Soleno Or-
filo.
XIII.
Hi.
864.
C. Catpurnio Pisone e M. Vet-
tio Botano
XIV.
113 .
865 .
Nerya Trajano Aug. per la VI.,
e C. Giulio Africano.
XV.
IlS.
866.
L. Celso e Clodio Crispino.
XVI.
Il 4 -
867.
Qu. Ninnio Asta, eP. Manilio
Volpisco.
XVII,
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267
n5.
868. L. Vipstano Messala, e M. Pe-
done Virgiliano.
XVIII.
116.
869. L. Elio Lamia, e Eliano Ve-
tere.
XIX.
117.
870. Quinzio Negro e C. Vipstano
Aproniano.
XX f i5 ag
I. Dopo Domiziano, Coccejo Nerva fu dai Romani
designato imperatore (1). In odio però di Domiziano
furono le di lui statue , delle quali però molte era*
no d 1 argento , molte ancora d’ oro , fondute ; e da
queste grande quantità di danaro si ritrasse. Furono
parimenti distrutti gli archi trionfali , che in gran
numero erano stati ad un uomo solo eretti. Nerva
poi coloro che accusati erano per titolo di empietà
assolvette, e gli esiliati richiamò. Ma tutti comandò
che uccisi fossero i servi ' ed i liberti , che insidie
tramate avevano contra i loro padroni , ed a questa
razza d’ uomini non permise di accusare i loro pa*
droni di alcun altro delitto , nè tampoco di accusare
(1) In ima iscrizione viene detto M. Coccejo Nerva figliuolo di
Marco; da alcuni credesi nativo di Kami, da altri Cretese, e di
medioere nobiltà , sebbene Frontino nomini un di lui avo Curatore
delle acque pubbliche, detto anche da Tacito uomo consolare; cre-
dono quindi altri lo stesso Nerva nato in Roma , e gii era state
egli consolo due volte con Vespasiano da prima , poi con Domiziano,
negli anni 824, 8'|3. Alla di lui elevazione contribuirono Petronio
Secondo prefetto del pretorio, e Partenio uccisore di Domiziano. -
La morte di quel tiranno era stata udita con indifferenza dal po-
polo, con gioja dal Senato, con dolore dai soldati. 11 senato con-
dannò i di lui atti-, le di lui statue, le immagini, gli scudi, e ra-
dere fece persino il nome in alcune iscrizioni.
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a 68
chiunque si fosse per titolo di empietà o di profes-
sione del rito giudaico (i). Molti ancora dei calun-
niatori furono dannati con capitale sentenza , tra i
quali era anche il filosofo Sera (2). Siccome adun-
que per questo non lieve tumulto crasi suscitato ,
perchè tutti da chiunque si fosse erano accusati 5
si narra che il consolo Frontone ( 3 ) dicesse , es-
sere trista cosa lo avere un imperatore sotto il qnale
lecito non fosse ad alcuno il fare alcuna cosa , ma
molto peggiore , allorché a tutti qualunque cosa era
lecito il fare. Il che udito avendo Nerva , vietò che
eguali cose si facessero in avvenire. Era Nerva al-
quanto indebolito per la vecchiezza e per la inerzia
»,
( 1 ) Dubitarono alcuni, se in questo luogo degli ebrei si parlasse
o de’ cristiani. A questi veramente apponevasi il delitto di empietà,
0 di lesa maestà sotto Domiziano, e altronde difficile sarebbe il
trovare qualche esempio di Romani , che passati fossero alla pro-
fessione del rito giudaico. Nè forse varrebbe il dire col Heimaro
che in quella età il cristianesimo nominavasi piuttosto ateismo •
costume giudaico , perchè una cosa medesima presso gli antichi scrit-
tori sono la vita, il costume, il cullo, il rito.
(a) Osservano alcuui, che i buoni principi nè pure nel delitto di
lesa maestà le denunzie de’ servi ammettevano , e Domiziano mede-
simo nel principio aveva cominciato a procedere con vigore contra
1 delatori in generale , poi i servi stessi conira i padroni eccitava. —
Sera credesi da taluni un filosofo stoico. 11 Reimaro cambiò quei
nome in Sura , per lo motivo soltanto , che questo nome era piò
famigliare ai Romani.
(3) Pretendono il Noris ed il Morgagni di cambiare quel nome
in quello di Frontino; il Reimaro lo crede realmente M. Giulio
Frontone, curatore delle vie pubbliche sotto Trajauo , lodalo da
Marziale e nominato nel Digesto. Forse fu egli consolo soltanto negli
ultimi mesi dell’ anno 8 ^ 9 .
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269
delle forze , dalla quale costretto era sempre altresì
a vomitare il cibo (l).
II. Proibì egli che gli si facessero statue d’oro e
d’argento ; e i beni tutti, che trovò ancora presso il
regio fisco , restituì a coloro , ai quali erano stati
tolti senza cagione da Domiziano. Ài cittadini roma-
ni , che in somma inopia trovavansi, un campo diede
della rendita di 600 sesterzj , e ad alcuni dell’ ordi-
ne senatorio commise la cura di comperare e di di-
videre quei campi. E siccome di pecunia abbi sognava,
gran numero vendette di vesti, e molti vasi d’argento
e d’ oro , e tutta 1’ altra suppellettile non solo delle
sue cose private, ma ancora delle principesche, c
molti poderi inoltre e molte case , o piuttosto tutto
quello che aveva , ad eccezione del necessario. Nè
sordido mostrossi nello stabilire il prezzo di quegli
oggetti , ma anche in questa cosa benigno si fece
vedere a riguardo di molti. Tolse egli di mezzo molti
sacrifizj , molti giuochi Circensi ed alcuni altri spet-
tacoli (2) , affinchè le spese , per quanto d al canto
suo fare potevasi , diminuisse. Giurò altresì che al-
cuno de’ senatori non sarebbe per di lui co mando
ucciso , e quel giuramento confermò , sebbe ne insi-
die tese gli fossero. E siccome nulla faceva senza il
consiglio de’ primarj cittadini , molte leggi promulgò,
(1) Trovavasi allora Nerva in età di 64 anni, o secondo altri
di 71. Credettero alcuni il di lui vomito cagionato dal terrore con-
cepirlo al vedere invocato il supplizio degli uccisori di Domiziano.
(a) Quello principalmente abolì , o meno frequente rendette, dei
gladiatori .
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270
principalmente perchè non si facessero eunuchi , nè
alcuno la figliuola del fratello facesse sua sposa (1).
Non si ricusò ad assumere collega nel consolato
Yerginio Rufo , il quale spesso era stato appellato
imperatore, e del quale scritto fu su la tomba, che
superato avendo Vindice , non aveva a sè stesso, ma
alla patria procurato l 1 imperio (2).
III. Nerva invero fu buon principe a tal segno ,
che alcuna volta osò dire di non aver fatto cosa al*
cuna , per cui non potesse , l’ imperio deponendo ,
con tutta sicurezza vivere da privato. Avendo però
contra di esso con alcuni altri ordita una congiura
Calpurnio Grasso, descendente dall'antica famiglia dei
Crassi ( 3 ) 5 egli quei congiurati , i quali ancora non
fi) Molto si t disputalo sul scaso di questa legge • Golofredo la
volle applicata alla figliuola del fratello egualmente e della sorella ;
il Pileo restringere la volle alla sola figliuola del fratello ; e Nerva pro-
babilmente altro non intese se non che di annullare un senatnsconsulto
fatto in favore di Claudio, che Agrippina figliuola del fratello suo
sposare voleva. Il Cujacio ed il Noodt pretesero all'incontro, che
vietate fossero soltanto le none colla figliuola di una sorella , e
realmente quelle contralte colle figliuole de’ fratelli, continuarono ad
avere luogo anche dopo l'imperio di Nerva. Incestuose veramente
dagli antichi si reputavano le nozze contratte con una nepote per
via di sorella, e di questo fa menzione anche Svetonio.
(a) Si cita veramente un distico , nel quale Vergioio stesso esposto
aveva questo pensiero, quello destinando per tuo epitafio. Delle
lettere però di Plinio può raccogliersi , che per dieci anni fu tra-
scurata la erezione del monumento di quel grand’uomo, cosicché
può ammettersi il detto di Dione , che altri e forse Plinio stesso ,
posta abbia alla tomba quella iscrizione.
' (3) Nell’epitome di Aurelio Vittore si legge, che Crasso, tentato
avendo I’ auimo de’ soldati con grandiose promesse, scoperto e
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27 I
sapevano che scoperta fosse la loro trama, presso di
sè collocò nello spettacolo, e ad essi diede nelle ma-
ni le spade , in apparenza affinchè osservassero se
abbastanza erano acute , come di fare costumavasi ;
in realtà però per fare loro vedere che egli punto
non curavasi , se anche in quel luogo medesimo
fosse da essi trucidato. Eliano Casperio però (i),
che prefetto dato aveva ai pretoriani ( come anche
da* prima era stato fatto da Domiziano ), . i soldati
contra di esso eccitò , istigandoli affinchè di alcuni
il supplizio chiedessero. Ai quali Nerva con tale vi-
convioto per la propria confessione di quel delitto , fu mandalo
colla moglie a Taranto , mentre i senatori la dolcezza di Pier va
censuravano. Congiuralo avendo però di bel nuovo conira Trajano,
fu dannato a morte. •— Costume era de' Romani che le spade dei
gladiatori presentavansi da prima a quello per di cui ordine j giuo-
chi celebravansi , affinchè esaminale fossero , se abbastanza erano
acute.
( i) Questi era staio prefetto del pretorio sotto Domiziano, anche
secondo Filostralo ; siccome però veggonsi Norbano e Petronio in
quella carica , può credersi che Norbano sostituito fosse ad Eliaoo
da Domiziano, e a vicenda. Eliano a Nerbano da Nerva. Petronio
era sempre rimasto in carica, e questo era uuo tra i primi, dei quali
Eliano chiedeva la uccisione. Plinio compiange .Nerva , perchè lolla
gli fosse in quella occasione la facoltà di conservare , com’ egli
bramava , la vita di alcuno. Grande tumulto dovette allora susci-
tarsi tra i pretoriani, e in quella occasione furono morti Petronio
c Partenio , al quale tagliali furono da prima i genitali , e cacciati
in bocca , forse perchè era stalo in quella parte offeso dai congiurali
anche Domiziano . Benché il Reimaro non lo sospetti, io dubito assai
che Dione sia stato in questo luogo da Sifilino mutilato , perchè
sembra impossibile , che egli abbia passato sotto silenzio un tumulto
grandissimo dei soldati ed una aperta sedizione contra INerva me-
desimo , che quel buon vecchio condusse o forzò ad adottate Ttajaue.
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2-J2
gore seppe resistere , che anche il collo snudalo
presentò loro , indicando éome recidere lo doveva-
no 5 sebbene nulla ottenesse, perchè trucidati furono
non pertanto coloro , che Eliano voleva. Per questa
cagione Nerva , vedendo che per la vecchiezza pre-
cipitata in disprezzo veniva , salì al Campidoglio , e
colà ad alta voce gridò: <• Marco Ulpio Nerva Tra-
mano io adotto , il che felice e fausto riesca al Se-
nato ed al popolo romano, e a me stesso !» e quello
poscia nel Senato Cesare designò , e di sua mano
gli scrisse , mentre prefetto era alla Germania (i) :
il pianto mio
Paghin puniti dal tuo strai gli Achivi.
IV. Trajano adunque , benché non mancassero a
Nerva congiunti, Cesare e poscia imperatore fu crea-
ti) Quella adozione fu da poi celebrata ogni anno con particolare
solennità. Non è noto il giorno, in cui si facesse; altri la fecero
cadere nei mesi di settembre, di ottobre , di novembre; il Rei-
maro , fondandosi su la durata dei regni di Nerva e di Trajano
medesimo, opina cbe si facesse nel giorno 37 di gennajo dell’anno
$ 5 t. Nerva non abdicò tuttavia l'imperio, ma partecipe ne fece
Trajano, riserbandosi il titolo di Augusto. — La foratola t quod
ftlìx faustumque sii , equivale alt’ altra latina : quoti deus bene ver-
tal ; malamente dunque tradussero alcuni: con buona fortuna. —
Trajano fu dichiarato ad un tempo figliuolo, Cesare, Imperatore e
consorte della tribunizia podestà, e giusta il Fabretli, anche Pon-
tefice Massimo. Trovavasi egli allora in Colonia Agrippina; secondo
Eutropio, Aurelio Vittore, Orosio ed Eusebio , dalla Spagna pas-
salo era nella Germania, vinti aveva gli Svevi, e il cognome di
Germanico a Nerva , ed a si stesso procaccialo. — I versi citati
sono di Omero del libro I , v . 4 a 1 riferiti giusta la traduzione di
Vincenzo Monti.
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273
to. Perciocché nè egli la consanguineità antepose
alla pubblica salvezza , nè tampoco dall’ adottare
Trajano lo trattenne la circostanza che quell' uomo
fosse spagnuolo , non italo, nè italico ( 1 ), e che
avanti esso alcuno di straniera nazione ottenuto non
avesse l’ imperio romano. Credeva egli bensì doversi
considerare la virtù di ciascheduno , non già la pa-
tria. Queste cose fatte avendo , morì. Regnato aveva
un anno , quattro mesi , nove giorni ; vissuto aveva
65 anni , dieci mesi , dieci giorni (a).
(1) Trajano nato era in Italica città della Spagna nel giorno 18
di settembre dell’ anno Sufi , e dieci campagne fallo aveva come
tribuno, poi era stato creato pretore nell’anno 83 p, consolo nel-
l’anno 844 - — Singolare è il vedere questa distinzione di italo ,
ed italiota o italico. Inetta a me sembra l’osservazione clic alcuni
fecero, che questo equivale a’ nomi di greco o greciense , siculo e
siciliano , corintio e corinliese , germano e germanico o germani-
ciano. Il Dodwello credette, che Dione volesse dire non essere
l'rajauo nè pure oriondo da stirpe italiana ; il Cellario amò meglio
di interpretare : uè italiano, nè originario di alcuna culonia italica.
Il Henna ro acconciamente osserva , che italiano propriamente era
l'italo, italiota un forestiero abitarne nell’ Italia. Volle dunque in-
dicare Dione o piuttosto SiHlìno, che ad alcuna di queste classi
Trajano uon apparteneva.
(a) Aurelio Vittore scrive 16 mesi invece di io, Eutropio 8 giorni
iuvece di 10. lo credo in quesLo luogo ingannato lo scrittore della
storia o guasto il codice, perchè sebbene anche Aurelio Vittore
morto supponga Nerva nell’anno 63 dell’età sua, Eusebio, Eutro-
pio, Cassiodoro cd altri lo suppongono vissuto siu oltre gli anni 71;
nè veggo , come all ’ età di 63 o 6 J anni poteste dagl i scrittori e da
Dioae stesso rappresentarsi già indebolito per la vecchiezza , a
meno che non voglia teuersi conto di quello che egli scrive in altro
luogo , che decaduto era quel principe per una vecchiezza precipitala
o prematura.
Dione, timo ir. I* pi Si fiuso. 18
t
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274
V. Trajano però avanti di conseguire l’ imperio ve-
duto aveva in sogno un uomo già adulto, vestito di
tunica e pretesta , ed ornato anche della corona ,
come si dipigne il Senato (i) , improntare con un
anello un segno da prima su la sinistra parte del
suo collo , poi su la destra. Dachè poi fu creato
imperatore , molte cose di sua mano scrisse al Se-
nato , e quella tra 1’ altre che egli mai non avrebbe
alcun uomo probo mandato a morte , o notato di
ignominia j e quello non allora soltanto , ma anche
da poi confermò con giuramento, [ e col fatto man-
tenne , sebbene insidie tese gli fossero. Conciossia-
chè per indole naturale alieno era da qualunque si-
mulazione , da frode e da asprezza • e [i buoni ve-
ramente amava , abbracciava , riveriva , gli altri tutti
trascurava. Ma anche 1’ età stessa aggiunta gli aveva
una certa maturità ]. Eliano però e i soldati preto-
riani che a sedizione mossi eransi contra di Nerva ,
tolse di mezzo, chiamati avendoli, come se dell’o-
pera loro servire si volesse. Dopo di essere venuto
in Roma (a) , di molte cose fece affine di emendare
(•) Si allude forte ad alcune medaglie , in cui si vede una figura
stolala sederne colla tesla laureata, o con un capo nudo senile. In
una medaglia di Pierva vedesi la di lui effigie col globo della terra,
e le lettere: 1 j *ovipektia Sebstvs. In una di Commodo leggesi >
Pietsti Sekstvs. Le città greche altresì rappresentavano spesso
nelle medaglie il loro senato.
(a) Non volle già dire Dione, come credette il Dodwello, che
Trajano venuto fosse a Roma al principio del suo imperio, e quindi
ripartito tosto per la guerra Dacica. Dalle medaglie, nelle quali
vedasi Nerva che porge la mano a Trajano , dedussero alcuni eru-
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275
10 stato della repubblica e di favoreggiare i buoni.
Perciocché la cura della repubblica principalmente
ebbe a cuore , cosicché anche alle città d’ Italia di
molte cose liberale mostrossi , onde contribuire alla
educazione de 1 figliuoli , e questi ancora di molti
benefizi onorò (1). La di lui moglie Plotina (a), men-
tre la prima volta nel palazzo entrava , rivoltasi su
le scale al popolo , disse : « Tale io entro in que-
sto luogo , quale bramo di uscirne ». E in tal modo
si condusse in tutto il principato , che in cosa che
reprensibile fosse , non incorse giammai.
■ VI, Trajano però, trattenuto essendosi per qualche
tempo in Roma , contea i Daci s'incamminò coll’e-
sercito, tanto perchè nell’animo volgeva le cose che
essi fatte avevano , quanto perchè aggravalo trova-
vasi del danaro che essi attualmente esigevano , e
perchè osservava che le loro forze giornalmente si
diti , che Trajano , vivente ancora Nerva , tornato fosse in Roma ,
sebbene quelle medaglie non alludano forse se non alla adozione ,
mentre altre provano l’arrivo di Trajano colle parole Adveht. Avo.
11 Reimaro dubita con ragione , che Stillino mutilato abbia il rac-
conto fatto da Dione di molte cose avvenute avanti l’ arrivo di
Trajano .
(1) Plinio accenna il condbno di alcuni tributi, la restituzione
de' donativi fatta alle città, la prestazione del congiario , il bando
dei delatori , la diminuzione di varie imposte. Aurelio Vittore ag-
giugne i provvedimenti dati all’ annona , colle istituzioni del collegio
de’ pistori , e Dione estende a tutta l’Italia, secondo il Titlcmonl,
le cure pigliate per la educazione de’ fanciulli che Plinio ristrette
aveva alla città di Roma. A questi beuefizj appartiene la celebre
tavola alimentaria trovala in Veleia.
(7) Santissima femmina viene appellata da Plinio; una strava-
ganza i quella del Tristano , ebe Cretese la suppose di nascita o
di origine.
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2-j6
aumentavano , e gli animi loro s’ inorgoglivano (i).
Conosciute avendo Decebalo le di lui mosse , s’ in-
timorì. Perciocché ben sapeva che non il popolo ro-
mano vinto egli aveva da prima , ma Domiziano , e
che allora guerreggiare egli doveva col popolo ro-
mano e Trajano imperatore , il quale per giustizia ,
fortezza d’animo ed integrità di costumi grandemente
distinguevasi (a). Coneiossiachè e per forze corpo-
rali mollo valeva ( siccome quello che l’ imperio as-
sunto aveva nell’ auno quarantesimo secondo della
età sua), [cosicché qualunque militare fatica non
altrimenti che qualunque soldato gregario facilmente
tollerava ] ; e di tale vigore d’ animo era dotato che
( 1 ) Certo Caninio scritta avea l’istoria della guerra Dacica; Tra-
jano pure aveva scritto i commeotarj di quella guerra; ma quelle
opere, menzionate da Plinio, da Prisciano e da altri, aouo fatalmente
perdute. — Trajano parti probabilmente dopo il mese di settembre
dell’anno 853. Avvi una medaglia presso il Mezzabarba colle pa-
role PaOFECTIO Auc.
(a) Singolare riesce il vedere che mentre tutti gli antichi storici
ed oratori concordano nel tributare a Trajano i più pomposi elogi,
un tedesca, detto fìuperlo, lo ha presentato come lo specchio dei
cattivi principi; altro, cioè Giovanni Enrico Rartels , una orazione
scrisse per provarlo non ottimo principe , e il Tillemont ed altri lo
censurarono , forse perchè non favorevole mostrato erasi ai Cristiani.
Più giusto jl nostro Poggio , un opuscolo indirizzò al bolognese
Bornio , della eccellenza di Trajano Cesare . Plinio loda in esso la
robustezza del corpo, la bellezza del viso, la dignità dell’aspetto,
la maturità dell’ ingegno anche in verde età ; ma Plinio era il pa-
negirista di quel principe. — Scrivono alcuni , in questo da Dione
discordando, che l’imperio assunto aveva nell'anno \ r» dell’età
sua ; pure il numero di 4 a trovasi anche negli estratti Peircsciani
e nella istoria di Zouara.
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temerario non lo rendeva la gioventù , non inerte
la vecchiezza. Ad alcuno egli non portava invidia ,
alcuno dal suo posto non rimuoveva , i buoni tutti
decorando di onori e alle dignità elevando. Dal che
derivava di’ egli alcuno di essi punto non temeva ,
nè odiava. Alcuna fede non prestò alle calunnie ;
schiavo non si fece di alcuna iracondia ; e schivo
mostrossi dell’ altrui danaio non meno che delle in-
giuste uccisioni.
VII. Grandi spese fec’egli nelle cose spettanti alla
guerra ed alla pace ; e molte fabbriche ancora, special-
mente delle più necessarie , innalzò , come vie , porti
ed altri pubblici edifizj; in questi tuttavia non profuse
giammai il sangue di alcuno (i). Magnifico per in-
dole e magnanimo egli era j laonde dopo di avere
ristorato il circo caduto in rovina , e di averlo in-
grandito ed abbellito , la iscrizione vi appose che
compiuta aveva quell’ opera , affinchè bastante fosse
al bisogno del popolo romano (a). Dai cittadini bra-
(■) Un passo insigne di Galeno prova che egli spianò e ristorò
tutte quasi le vie d’Italia, o fangose, o poco praticabili, o ardue,
o precipitose, o sassose, o da fiumi e da torrenti attraversate. Egli
continuò pure la via Appia da Benevento sino a Brindisi, e una via,
detta dal suo nome Trajana, in Roma stessa apri. Tante fabbriche
eresse poi e tante iscrizioni appose , che da Costantino , indegno
successore , fu detto per derisione , erba parietaria ; al che sog-
giugne accortamente Giusto Lipsio : facciano gli altri principi al-
trettanto !
(a) Il Circo Massimo era stalo in gran parte incendiato sotto Ne-
rone e non ancora rifabbricato. Plinio nota, che fu rendulo capace
a contenere 5ooo persone; osserva a proposito il Lipsio, che in
quel numero è farse caduto errore , e che leggere dovevasi 5°, ooo .
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I
278
mava di essere piuttosto amato che onorato. Col po-
polo affabilmente , col Senato dignitosamente trat-
tava. Amabile con tutti , non temibile era da alcuno,
eccetto che dai nemici. Conciossiachè compagno a
quelli prestavasi nelle cacete, nei conviti , nelle opere
parimenti e ne’ consigli , e fino ne' giuochi , e spesso
sedeva quarto nelle vetture (1); e nelle case di al-
cuni veniva non accompagnato da guardie , ed alla
ilarità dcdicavasi. Privo egli veramente di quella piu
diligente istruzione che l’eloquenza concerne , quelle
stesse cose che colla dottrina si acquistano , posse-
deva e praticava (a). Nulla finalmente vi aveva in
(1) Volle alcuno corrompere questo passo, assimilandolo ad
altro , nel quale èi dice , che Adriano qualche volta interveniva ai
conviti ed occupava il quarto luogo di un letto. Chiaro però fe in
questo luogo , che ai parla di vettura , ed Eutropiodo conferma , di-
cendo che spasso nelle vetture degli amici, spcqialmente ne' giorni
loro festivi sedeva , mentre l' imperatore d’ ordinario tenevasi solo
nel suo cocchio o al più con nn compagno. Anche il Reima ro si è
avveduto , che in questo luogo parlavasi di una vettura piò capace
delle altre , e come da noi direbbesi , da quattro posti , del quale
genere di cocchi non vedesi falla altrove menzione negli antichi
scrittori. Riesce adunque questo passo importantissimo , e piò ancora
strano riesce il vedere che non è stalo per avventura osservato da
tutti coloro che scrissero de re vchicularia , le di cui opere si tro-
vano nel Tesoro delle antichità del Grevio e del Gronovio.
(a) Aurelio Vittore dice , che Trajano gli uomini eruditissimi
amava , sebbene di scienza limitala egli fosse e moderatamente elo-
quente. Un di lui epigramma si legge certamente nella antologia, e
Prisciano rammenta la storia della guerra dacica da esso scritta. Dai
panegirico di Plinio si raccoglie, che richiamati aveva i filosofi da
Domiziano cacciati ; che questi e i maestri dell’ arte del dire ono-
rava ; e Dioue Crisostomo, che era tra le persone da esso bene
accolte , fu pure da essu condotto nel suo carro trionfale.
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*79
Trajano che ottimo non fosse. Perciocché io non
ignoro che dato egli era agli amori anche de’ fan-
ciulli ed al vino ( i); tuttavia allora soltanto degno
sembrerebbe di riprensione , se per quella cagione
fatta avesse o sopportata cosa alcuna che turpe fosse
o iniqua. Che anzi , sebbene vino bevesse in copia,
sobrio era tuttavia , e per quello che gli amori con-
cerne , mai non riuscì molesto ad alcuno. Benché
ancora avido fosse di guerra , contento mostrossi
non pertanto e del buon esito di una pugna , e della
sconfitta dei nemici , e dei vantaggi dai suoi soldati
riportati ; nè ad esso avvenne giammai quello che
in questi casi suole avvenire, che i soldati feroci ed
insolenti si mostrassero ; tanto avvedutamente egli
nel dovere li conteneva. Per queste cagioni Decebalo
ben giustamente lo temeva.
Vili. Poiché dunque Trajano condotto ébbereser-
cito nella Dacia , nè lontano trovossi da Tapi , do-
ve posto avevano campo i barbari , fu ad esso por-
tato un grandissimo fungo , nel quale scritto era
con lettere latine , che i Burri e tutti i compagni
loro Trajano esortavano a tornarsene a casa sua ed
a mantenere la pace (5). Ma Trajano tuttavia venne
(1) Nei Cesari di Giuliano , all’ arrivo di Trajano , Sileno insi-
nuava a Giove di custodire con diligensa' Ganimede. Sparziano di
luogo a credere, che Io stesso Adriano fosse tra i fanciulli amati da
Trajano. I due Vittori parlano della vinolensa , come di vizio co-
mune a Net va ed a Trajano. Nota però il primo di essi , che colla
prudenza temperati aveva gli effetti di quel vizio, vietando che ai
seguissero i comandi da esso dati dopo lunghe gozzoviglie.
(a) Questo , da alcuni riguardato come prodigio , dai critici piè
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a8o
a battaglia. Nella quale , sebbene grande strage dei
nimici si facesse , pure molti ancora dei suoi ebbe
a vedere feriti. E siccome mancavano i panni , coi
quali le ferite dei soldati si fasciassero , narrasi che
nè pure la sua veste risparmiasse, ma questa pure
in fascie dividesse , ed a q uelli che caduti erano
nella pugna un 1 ara erigesse , e funerali ordinasse
che ogni anno dovevauo rinnovarsi (i). Poscia si
volse ai luoghi più elevati delle montagne , e quindi
superati avendo non senza pericolo moli’ altri colli,
giunse alla reggia dei Daci ; Lusio poi (a) , assaliti
avendo dall’ altra parte i nimici, gran numero di essi
tagliò a pezzi , molti anepra pigliò vivi. Il che fatto
essendo , Decebalo spedì legati a Trajano.
IX. [ Legati egli aveva spediti anche avanti di es-
sere vinto , e questi non più dell’ ordine de’ chioma-
ti , ma dei più illustri tra i pileati (3). Quelli però,
avvedali viene preseatato^come uno stratagemma militare. I Burri
sono da Tacito annoverali tra i popoli, ebe abitavano al di là dei
Marcomanui e de’ Quadi.
(i) Di questo rito parla a lungo il Fabretti nelle sue osservationi
su la colonna Trajana. Presso il Mezzabarba trovasi una medaglia
del consolato terzo di Trajano con ano scudo, nel quale è scritto:
Vir.T. Germ . mollo allusivo certamente a quella vittoria germanica.
(a) Da alcuni viene detto Lusio Quinto , da altri Lusio , o anche
Lisia Quieto. Mauritano egli era, ma sommamente accetto a Tra-
jano, perchè debellati aveva i Mai di, e quindi fu da «sso destinalo
consolo. Condotti egli aveva forse i cavalli Maurilani, che nella
colonna Trajana veggonsi rappresentali.
(3) Dei Daci pileati parla anche Aurelio Vittore; Dione però in-
tende sempre sotto questo nome i piò nobili o i piò illustri della
nazione ; secondo domande erano i piò generosi , tra i quali sce-
glievansi i re ed i sacerdoti. Forse non si inganna il Reimaro , che
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a8i
gettate avendo le armi , e prostrati essendosi al suo-
lo , Trajano pregarono prima di tutto che a Dece*
baio la libertà concedesse di venire al di lui co-
spetto , ed a conferenza con esso , giacché fatto
avrebbe tutto quello , che comandato gli fosse ; o
quanto meno , che alcuno si spedisse , il quale con
quel re trattasse di pace. Mandati furono per questo
titolo Sura e Claudio Liviano prefetto del preto-
rio (j), ma nulla si conchiuse. Perciocché né pure
con questi osò Decebalo intavolare discorso , e al-
lora pure altri legati spedì. Intanto Trajano occupò
anche alcuni monti muniti di castelli , e in essi tro-
vò armi, macchine guerriere, prigionieri, e final-
mente anche quella insegna , che era stata da’ nimici
acquistata al tempo di Fosco. Decebalo adunque, tanto
per queste cagioni , come altresì perché Massimo (a)
in suo potere ridotta aveva e la di lui sorella ed
una città fortificata , tutte le condizioni ammise, che
ad esso imposte erano j non già che stare volesse
ai patti , ma affinché dalla imminente ruina si libe-
rasse ]. Perciocché mostrò di voler consegnare e le
armi e le macchine ed anche i loro artefici , di vo-
ler restituire i fuggiaschi e smantellare le fortifica-
zioni , di essere pronto a ritirarsi dalla regione che
crede di vedere i Osci tanto chiomati, quanto pileati , nella colonna
Trajana , ed un daco prigioniere pilealo vedesi nelle medaglie , che
portano la leggenda: Dacia Capta.
(i) Licinio Sura, del quale ai è parlato di sopra, e Claudio Li-
viano , che forse sostituito erasi a Caspcrio Eliano , esilialo da
prima, poi dato a morte.
(a) Da alcuni si dubita , che questo sia lo stesso che vinto aveva
il ribelle Antonio sotto Domiziano. '
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occupata avevà su i confini , e di volere altresì co-
muni gli amici ed i nimici col popolo romano ; [ e
anche suo malgrado promise nel trattato di non ri-
cevere più alcuno de’ Romani , e di non servirsi più
di alcun soldato de’ confini del romano imperio
(giacché molti, e questi ottimi, colla persuasione
guadagnati ne aveva ) j venuto quindi da Trajano,
prostrato ai di lui piedi venerollo (1) , [ deposte
avendo da prima le armi. Mandò pure per queste
cose legati al Senato , affinchè da esso ancora rati-
ficata fosse la pace. Il che essendo pattuito e con-
venuto , Trajano , lasciato avendo il campo a Zer-
mizcgetusa (2) , e tutto il rimanente della regione
munito di presidj , in Italia fece ritorno ].
X. Allora introdotti vengono nel Senato i legati
di Decebalo , i quali deposte le loro armi , e giunte
le loro maui alia maniera dei prigionieri , poche pa-
role profferite avendo supplichevoli , e confermata
essendo quindi la pace , le armi loro ripigliano. Il
che fatto essendo , Trajano dei Daci trionfò , e Da-
cico fu cognominato. Poi nell’ anfiteatro pugnare fece
i gladiatori , de’ quali dilettavasi , e i ballerini nel
teatro richiamò j perciocché anche certo Pilade, che
fi) Alcuni interpreti, avuto riguardo alla umanità di Trajano,
si avvisarono di trovare in questo passo un vestigio della adorazione
persiana; ma il Fabretti avrebbe dovuto accorgersi, che quel rito
uon viene espresso nelle figure della colouna Trajaua ; e al più le
parole di Sifilino interpretare si possono , che Decebalo si pressa-*
lasse coll' abito de’ supplici. Questa è la venerazione, che da altri
re barbari prestata vedesi agli imperatori.
(a) Era questa città la reggia dei Daci , della Sarmatagele nella
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uno era di essi , amava (i). Nè tuttavia ansioso , co-
me egli era , delle cose della guerra , minore cura
pigliossi delle altre cose tutte , nè con minore fre-
quenza le cause giudicò. Imperciocché ora nel Foro
di Augusto , ora nel portico che appellato viene di
Livia (a) , spesso ancora in altri luoghi dal suo tri-
bunale rendeva giustizia. Perchè poi 1’ avviso spar?
gevasi che Decebalo di molte cose facesse contra la
pattuita alleanza , che armi raccogliesse , ricevesse i
disertori , le fortezze restaurasse , le nazioni confi-
nanti sollecitasse per mezzo di legatf, e danni arre-
casse a coloro , che da prima opposti gli si erano ,
e già occupata avesse alcuna parte della regione dei
uvola Peutìngeriana , e Sarmiz in alcune lapidi. Credeti antica-
mente situata in un lungo della Valachia, ora detto Warhel, che
significa luogo del campo. A torto credette 1’ Arduino, che Traja-
nopoli della Tracia fosse la medesima che la Augusta Trajana della
Dacia , e false si sono riconosciute le iscrizioni prodotte da Leun-
clavio, nelle quali si nomina la colonia Ulpia Trajana Augusta
Dacica Sarmiz .
(i) Rimessi aveva Trajano in parte gli spettacoli de’ gladiatori ,
del che alcuno degli antichi lo rimproverò; ii solo Plinio scusolto,
dicendo che le belle ferite gli animi accendevano al disprezzo della
morte -, e che bello era il vedere anche na’ servi e nelle persone
vili l’amore della lode e la brama della vittoria. Plinio suppone,
che ristabiliti fossero cjue’ giuochi a richiesta del popolo da Nerva
medesimo , e Trajano , per le istanze pure del popolo , ricondusse
su le scene i pantomimi. — Molti Piladi trovansi tra i pantomimi,
che non si sa bene se fossero delta famiglia o della scuola di Pilade
celebre al tempo di Augusto.
(a) Alcuni leggono Giulia invece di Livia , e noto è che Livia
fu delta da poi essa pure Giulia ; altronde ignoto rimase agli antichi
il portico di Giulia.
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Iazigi ( che poi a que’ popoli , i quali la ripetevano ,
Trajano non restituì ) ; per tutte queste cagioni De-
cebalo fu di nuovo dal Senato dichiarato nemico.
Trajano pure di nuovo da sè stesso e non per mez-
zo di altri duci quella guerra sostenne.
XI. Decebalo però , parte perchè mollissimi Daci
passavano al partito di Trajano , parte per altre ca-
gioni, di nuovo la pace implorò. Ma siccome persua-
dere non potevasi di consegnare le armi , ed anche
di arrendersi egli medesimo ; apertamente si diede a
raccogliere truppe , e con questi motivi i popoli con-
finanti invitò alla guerra ; perchè, diceva egli, se da
essi fosse abbandonato , essi medesimi a pericolo si
esporrebbono ; che più sicuramente e piò facilmente
avanti di ricevere una sconfitta , con esso pugnan-
do , la libertà conservata avrebbono, che non se la-
sciati avessero perire i Daci , ed essi poscia privati
di compagni , forzati fossero a lottare col nemico.
Sebbene però Decebalo malamente colle armi si com-
portasse , poco mancò tuttavia che Trajano stesso
colla frode e colle insidie perire non facesse. Per-
ciocché mandò egli disertori nella Misia , i quali la
uccisione di Trajano tentassero ; e siccome anche
da prima facile accesso prestato aveva a chiunque ,
così allora per le circostanze della guerra disposto
era a lasciare libero a chicchessia il presentarsi ad
esso ed il parlargli. Ma quel delitto commettere non
poterono, perchè uno di essi caduto essendo in so-
spetto , fu preso, c sotto la violenza de 1 tormenti
tutte le insidie scoprì. ,
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XII. Decebalo però certo Longino duce di una le-
gione romana , che grave molestia inferita gli aveva
nella guerra , chiamò a sè , e lo persuadette di ve-
nire seco a colloquio , come se egli disposto fosse a
fare qualunque cosa gli venisse comandata. Assicu-
rato essendosi quindi della di lui persona , ihterro-
gollo pubblicamente su i disegni di Trajano. Da poi,
vedendo che quello nulla rivelare voleva , ad una
guardia libera confìdollo , e lo trattò con tutta la
dolcezza. [ Mandato avendo quindi a Trajano certo
ambasciatore chiese che conceduto gli fosse un
campo che stendevasi sino all’ Istro , e gli si pagasse
il danaro , che speso avea nella guerra J ; e a questi
patti promise di restituire Loogino. Avendo però
data Trajano certa risposta equivoca , dalla quale
sembrasse che non si faceva nè grande , nè piccolo
conto di Longino, affinchè nè questi sacrificato fos-
se , nè grandi sacrifizj costasse a 1 Romani il redimer-
lo ; Decebalo oscillava , tra sè stesso ripensando più
ancora quello che fare dovesse. Ma Longino intanto,
ottenuto avendo per opera di un liberto il veleno ,
[ promettendo al tempo stesso a Decebalo la ricon-
ciliazione con Trajano , affinchè in alcuno benché
minimo sospetto non venisse di quello che egli fare
voleva , nè a più diligente custodia lo assuggettissc;
alcune lettere scritte a Trajano che una supplica
contenevano , diede a portare al liberto , affinchè
questi si trovasse in sicuro. In questo modo partito
essendo da esso il liberto ], bevuto avendo egli nella
notte il veleno , morì. [ Questo avvenuto essendo ,
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Decebalo il liberto volle ripetere da Trajano , e in
luogo di questo promise e il cadavere di Longino
ed ancbe dieci prigionieri , e tosto mandò ai Promani
un centurione , che era stato preso con Longino ,
affinchè questo trattato conchindesse. Per di lui mez-
zo nolo si rendette tutto quello che accaduto era a
Longino. Nè perciò Trajano rimandò il centurione
o il liberto consegnò , perchè giudicò che alla sal-
vezza di quello , più che alla sepoltura di Longino
dovevasi avere riguardo , onde serbare la maestà
dell’ imperio ].
XIII. Intanto Trajano procurò che si facesse sul
Danubio un ponte di pietre (i) , per il quale titolo
(i) Di quel ponte parlano Plinio , Aurelio Vittore, Eusebio, Pro-
copio, Tzetze ed altri molti, e la figura se ne vede nella colonna
Trajana. Havvi pure una medaglia colle parole: Poas Taaisat Da-
1TVIV8, che sospetta parve al co. Marsigli. Procopio paria di due
castelli, o come noi diremmo teste di ponte , costruite alle due
estremità, e nomina 1 * architetto Apollodoro. Altri nominarono Giulio
Lacero , che architetto fu in vece di altro ponte sul Tago. Crede
il Fabretli , che Dione abbia inteso sotto il nome di ponte lapideo
le soie pile , non le trabeazioni , che nella stessa colonna Trajana
▼eggonsi fatte di legno. Il Marsigli si oppose più d’ ugni altro a
Dione, perchè quel ponte giudicò una delle più mettane cose fatte
(Issali antichi. Io che ho veduto gli avanzi di quel ponte , debbo
convenire che Dione ingannossi, credendo quel ponte gettato dove
il fiume è piò angusto , piò rapido , piò profondo , con vortici fre-
quenti e con fondo limaccioso; esse è posto invece al disotto dei
vortici , dove il fiume scorre lento nella larghezza a un dipresso di
un miglio, con fondo arenoso e solido. Sembra che te pile non
fossero piò larghe di 18 piedi, c che la distanza dall’ una all’ altra
fosse di piedi 66 , l’altezza totale del ponte può calcolarsi di piedi
48 . Non rimangono se uon due pile intere, e alcune vesligia delle
altre -, veggouei pure la ruiue delle fortifica zioui , che costruite etansi
a difesa del ponte.
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io non posso abbastanza degnamente ammirarlo. Per»
ciocché sebbene tutte ancora le altre opere di' Tra-
jano sieno magnifiche , quel ponte tuttavia di grati
lunga le altre tutte sorpassa. Le pile di quel ponte,
tutte di pietre quadrate sono al numero di venti ,
ciascuna dell’ altezza, oltre il fondamento, di i 5 o #
piedi , della larghezza di 60. Distanti sono l’ una
dall’ altra 170 piedi, e sono collegate con volte.
Chi sarà quello però , che non ammirerà le spese
fatte in quest’ opera, e il modo con cui tutte le pile,
in un gran fiume ed in un’ acqua che vortici forma
di continuo , e in un fondo limaccioso piantate furo»
no , mentre il corso del fiume medesimo altrove di-
vertire non potevasi ? Io parlai della larghezza del
fiume , non già perchè altrove non ne abbia una più
grande ( giacché in qualche luogo due o tre volte
maggiore ristagna ) ; ma perchè di quella larghezza
trovasi la parte del fiume più angusta e la più atta
a fabbricare in quel luogo un ponte. Perciocché
quanto più colà, scendendo da uno stagno spazioso
e di nuovo passando in altro 'stagno maggiore , in
uno stretto canale si restrigne ; tanto più esso è ra»
pido e profondo , il che ancora contribuisce a ren-
dere difficile la costruzione del ponte. Dal che può
facilmente intendersi quale fosse la grandezza del-
l’ animo di Trajano. Quel ponte tuttavia non è più
per noi di alcun uso ( giacché non vi si passa ); ma
rimangono bensì le sue pile , come se per quella ca-
gione soltanto fatte si fossero , affinchè per loro
mezzo constasse nulla avervi che fare non si possa
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coll’ umano ingegno. Questo ponte fece Trajano , te-
mendo che agghiacciandosi nella stagione più rigida
il Danubio , si muovesse guerra ai Romani , che al
di là del fiume si trovassero , affinchè in questo caso
potesse facilmente far passare per il ponte le sue
' truppe. Ma Adriano all’ incontro , temendo che i
barbari , sgominati i custodi del ponte , nella Misia
facilmente passassero , comandò che 1’ edilizio supe-
riore del ponte fosse distrutto.
XIV. Trajano adunque passò su quel ponte il Da-
nubio , e quindi con maggiore sicurezza che celerità
la guerra condusse , e finalmente i Daci a stento
soggiogò (i). Molle azioni egli fece in quella guerra,
degne di valoroso imperatore e d’ uomo fòrte , e
molti pericoli i soldati di lui affrontarono e valida-
mente pugnarono. Tra i quali un cavaliere grave-
mente ferito , portato fuori dal combattimento co-
me se ancora risanare potesse , poiché udì che spe-
ranza di salute non vi aveva , dalla tenda { giacche
ancora abbattuto non lo aveva la forza del male )
uscì di nuovo alla pugna , e fatti avendo prodigi di
valore , cadde finalmente estinto. Decebalo , poiché
occupata vide la reggia e tutta la sua provincia , ed
imminente il pericolo che egli stesso preso fosse ,
( 1 ) Alcuni fanno durare la guerra Dacica cinque anni. Questo
periodo però non può applicarsi nò alla prima , che durò soliamo
due anni, nè alla seconda che al piò ne durò tre, uuo dei quali
fu consumato nella costruzione del ponte. La seconda guerra Da-
cica lini certamente nell’ auuo 85g , mentre uou era cominciata se
uou al principio dell’ anno 85? .
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colle sue mani sì uccise (1), -e il di lui capo fu por*
tato in Roma *, la Dacia venne in potere del po-
polo romano , e in essa Trajano colonie fondò (2).
Trovati furono i tesori di Decebalo , benché nascosti
sotto il fiume Sargezia , che la di lui reggia bagna-
va ( 3 ). Perciocché Decebalo, deviato avendo il fiume
coll’ opera de’ prigionieri , e scavato il fondo , gran
quantità d’argento e d’oro e tutte le cose più pre-
• • * M
( 1 ) Questo fatto non è beo aerto, sebbene trovisi annunsialo in
una iscrizione, della di cui genuinità può dubitarsi.
( 3 ) Anche Eutropio narra, che vinto Decebalo, tutta la provincia
di 14 del Danubio fu soggiogata , e quello storico il cirbuilo ad essa
assegna di miUe miglia. Presso il Mezzabarba trovasi uua medaglia
colla leggenda , Dacia Avovsta Paovtacta. Il Le-Blanc si ingannò,
credendo una sola colonia fondata da Trajano ; molte no annoverò
il Fabrelti , menzionale negli antichi monumenti , e forse nella stessa
colonia Trajaua veggonsi i soldati dedotti , come dicevasi , nelle
colonie. Le mine di molte sono pure accennate nella grand’ opera
dpi Marsigli intorno al Danubio.
(3) Un epigramma viene riferito da Suida all'articolo di Giove
Cassio, nel quale 6Ì parla del ritrovamento del tesoro di Decebalo.
Tuttavia uno scrittore uDgarese assai dotto osò dubitarne , e cre-
dette piuttosto che i Romani trovate avessero le ricche miniere dal-
l'Ungheria, e pigliata ne avessero grandissima cura, colla fonda-
zione altresì, fatta ai tempi di Trajano, di un collegio di minatori,
aurariorum. Forse in questo s' inganna quello scrittore , ma non
già net calcolo che egli ha follo, che i tesori di Decebalo non ss—
rebbono stati sufficienti alla edificazione del Foro e della colouna
Trajana. Si disse da alcuno trovato piò recentemente un avanzo di
quel tesoro di un valore superiore a 4<>,ooo scudi. — 11 fiume
Sargetia , detto da Tiene Sargenzia , ora porla presso gli Uugheri
il nome di Slrel , presso i Tedeschi quello di Islrig , e trovasi nella
Trausitvania su i confini dell’ Ungheria , mettendo la sua foce net
Maroscli. 11 Marsigli lo nomina sempre Slrey.
Dio* k, tòmo ir, I.* di SiriuKo. 19 1
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ziose , che l 1 umidità sostenere potevano, colà rac-
colte aveva ; e ricoperto avendo il tutto cqn gran-
dissima mole di pietre e di terra , restituito aveva
il fiume al primitivo suo alveo. Le vesti inoltre ed
altre cose di questo genere , nascoste aveva nelle
spelonche per mezzo dei prigionieri medesimi ; e do-
po che quella operazione eseguita avevano , gli ave-
va fatti uccidere , affinchè quello che fatto erasi non
rivelassero. Ma Bicile , compagno e familiare di De-
cebalo , cui noto era il tutto , essendo stato fatto
prigione , la cosa com’era indicò. Verso quel tempo
Palma prefetto della Siria (i), s’impossessò di quella
parte dell’ Arabia , che si stende Ono a Petra , e
sotto il dominio del popolo romano la ridusse.
. XV. A Trajano però , tornato nella città , mollisi
sime legazioni giunsero, spedite da barbare nazioni
e perfino dagl’ Indiani ( 2 ). Spettacoli celebrò egli che
durarono centoventitrè giorni , nei quali scannate
furono da undici mila tra fiere e animali ingrassati,
e pugnarono diecimila gladiatori ( 3 ). [ I legati poi
• * , , r . • *
( 1 ) Cornelio Palma, consolo negli anni 85a e 86», ucciso poi
ìu Terraciua d’ ordine di Adriano- — Petra era una città dell’ I-
dumes , alla quale toccava P Arabia Nabalea, detta poi Petrea.
L’ Arabia fu ridona in provinola , il che è comprovalo anche da
alcuue medaglie ; la sola Arabia Felice non era mai stala tocca dai
Romani.
(a) Dubitano alcuni critici, che qui ai parli dell'India confinante
coll’Arabia Pc'rea; ma ludta dicevasi dagli antichi quella che oltre
il fiume ludo trovavasi , d’ onde tuttavia è difficile lo immaginare ,
che legati venissero iu Roma.
(3) Sebbene Sifiliuo l' abbia forse dimenticale, il trionfo celebrato
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dai re spediti , comandò egli che agli spettacoli as-
sistessero nei posti ai senatori assegnati. Al tempo
stesso le paludi Pontine selciò con pietre (i) , edi-
fizj costruì lungo le vie , e ponti magniflci vi collo-
cò , e tutta fece fondere la moneta consunta e dimi-
nuita di peso. Morto essendo Licinio Sura , ordinò
che a spese pubbliche seppellito fosse ed una statua
gli si erigesse (a). Tanto dovizioso era questi e della
. * » * * •
erasi avanti gli spettacoli , giacchi Piinio parla chiaramente di due
trionfi. Amante delle caccie delle fiere mostrava:! Trajano , e quindi
non i strano , che tante uccise ne fossero in quella occasione.
(i) La palude Pontina troncava da prima la via Appia , che
guidava a Terracòtta , ed Appio era stato costretto a condurre una
via tortuosa intorno alla palude medesima. Chiunque voleva evitare
quel lungo giro , obbligato era ad attraversare la palude in una pie-
ciola barca. Cornelio Cetego, consolo Delt’anno 594 , intrapreso aveva
il dtseccamento della palude ; Cesare parimenti aveva tentalo dj
ridurla per meno di argini ad una pianura ; una iscrizione presso
il Grutero dice , che Trajano giunse a compiere quel lavoro. Io
credo, che i critici caduti sietto in errore intorno a quell’opera, e che
debba intendersi alla lettera il testo di Dione, dal quale altro non
risulta, se non che Trajano una via selciata apri a traverso alla pa-
lude, non che egli la palude medesima diseccasse , o come altri
malamente scrisse, pavimentasse. Cominciossi difatto quel lavoro in
tempo degli spettacoli, e compiuto fu in tre anni, nel quale periodo
fu anche selciata la via da Benevento a Brindisi. Serve forse di
conferma alla mia opinione una medaglia riferita dal Donati nel
tesoro Greviano , nella quale trovansi le parole: Via Tiaiasa.
Quella via fu poi riparata sotto il re Teodorico.
(a) Sura era alato consolo sostituito nell’anno 85 1 , ordinario negli
anni 855 e Sfio. Le iscrisioni che a di Ini onore poste trovansi dai
Tarragonesi e dai Barcellone:! , fanno sospettare , ohe spaguuolo egli
fosse. Socondo Aurelio Vittore, Trajano dedicò a Sura anche la-
vacri e terme.
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arp
gloria amante , che un ginnasio per il pòpolo romano
edificato aveva ; e tanta fede ed amicizia serbala
aveva a Trajano , ed a vicenda goduta presso del
medesimo , che venendo spesso presso 1* imperatore
per calunnia accusato , ( come a tutti coloro suole
avvenire che di molto potere godono presso il prin-
cipe ) , non mai sospetto lo ebbe Trajano , o con
occhio sinistro riguardollo ; ma mentre i detrattori
di Sura più gagliardamente insistevano ] , di proprio
talento alla di lui casa andò a cena non invitato ,
e rimandate avendo tutte le guardie , da prima dal
medico di Sura ugnere si fece gli occhi (») , poi
chiamato il di lui barbiere , radere si fece la barba.
Perciocché fu questa antica consuetudine di tutti i
Romani , ed anche degli stessi imperatori. Adriano
il primo la barba nutrì (a). Dopo di questo Trajano
lavatosi cenò , e il dì seguente agli amici suoi , che
Sura incolpare sempre solevano , rispose-: « Se real-
mente Sura avesse voluto uccidermi , jeri fatto lo
avrebbe. »
' ' *• ■ • • *
(i) Nella vita di Eliogabalo si parla di un fuco o di un colore
dato agli occhi ; ma in questo luogo , uou trattandosi di fémmina ,
e vedendosi chiamato un medico, sembra che intendere si debba di
uu unguento o di un collirio, quale indicato vedesi presto' Galeno.'
Comuni erano tra i Romani i medici oculari), o oftalmici, dei quali
si fa meuzioue nei versi di Marziale ed in varie iscrizioni , derivato
essendone forse l’uso dagli Egizj , che medici Vi avessero per ciascun
genere di malattie. ' •• 1 • • i .
(a) Tutte le medaglie da Augusto sino ad Adriano presentano i
volli degli imperatori imberbi} Adriauo il primo coltivò la barba,'
a fine di' coprire’ alcune cicatrici che net viso aveva , e dopo di
esto tulli fuiouu baibati siuo a Costammo . » - /
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2q3
ì XVI. Gran cosa fu adunque, che Trajano con un
uomo accusato di insidie correre volesse il perico-
1 ° ; ma molto maggiore certamente eh' egli non mai
credesse di dovere cosa alcuna di sinistro da esso
temere. . Che anzi , mentre a quello che la carica
assumeva di prefetto dei pretoriani (t), consegnava
la spada che cignere doveva , snudata avendola e ad
esso presentata , disse : « Ricevi la spada, affinchè di
questa tu faccia , uso a favor mio, qualora rettamente
io imperi 5 contro di me , qualora nequizia vi abbia
nel mio reggimento ». A Sossio ancora, ed a Palma
ed a Celso statue inalzò (a), i quali personaggi tenne
sempre tra tutti gli altri in onore. Volle poi che
giudicati fossero coloro che contro di esso congiurato
avevano , nel di cui numero era Crasso , portato
avendo quel giudizio al senato (3). Costruì bibliote-
che (4), e nel Foro una colonna grandissima collocò,
« ti - • f . • - V » - *
i (t) Il Le-Blanc credette, che questo fosse Sura medesimo, altri
credono in di lui vece Suburano. Converrebbe supporre, che Sura
nello stesso anno fosse stato prefetto del pretorio e consolo, in una
metà del medesimo. Al prefetto del pretorio consegnatasi la spada,
come segno del potere.. , .
(a). Di Palma si è parlato altrove. Sossio , detto da altri Sosio
Pappo , fu amico di Adriano , e non dee confondersi con Sosio Se-
nesione , che quattro volte fu consolo. L. Pubblio Celso consolo
sostituito fu nell’anno 862. A questi ancora vivi erette furono le
statue , probabilmente nel foro, di Trajano.. 1 . >.
( 3 ) Eutropio dice, che Crasso fu dal Senato condannato, tenia
che Trajftno lo sapesse. ^ • .
( 4 ) Uua medaglia trovasi presso il Meziabarba, in cui si Irggono
le parole. . . Eca Tra., che alcuni, interpretano Btblioiheet 1 Tra-
jana. Trovavasi questa nel di lui Foro tra il tempio e la basilica ,
e fu poi portata alle termo Dioctcziane.
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parte a fine di formarsi un sepolcro , parte a fine
di mostrare ai posteri le opere che intorno al Foro
eseguite aveva (i). Perciocché quel luogo che mon-
tuoso era tutto all’ intorno , e all’ altezza giugneva
della colonna, fece scavare, ed il Foro in quel modo
appianò.
XVII. Dopo di questo mosse guerra agli Armeni
ed ai Parti , sotto il pretesto che il re degli Armeni
non da esso , ma dal re dei Parti ricevuto avesse il
diadema ; ma in realtà quella guerra intraprese , tra-
sportato da cupidigia della gloria (a). [ Stabilita però
questa spedizione contro i Parti, passato essendo egli
(i) Il Foro di Trajano posto nella regione vii. della città, fu
eolio spianamento di una parte del Quirinale adornato da quello
stesso architetto Apollodoro , che fabbricato aveva il ponte sul Da-
nubio. Vi si trovavano un arco trionfale, un tempio , una biblio-
teca , una basilica , e la colonna su la quale era posta la statua
equestre di Trajano, con portici e statue all’ intorno. Alcune me-
daglie sono relative a quel Foro. L’ allessa della colonna fu di ta8
piedi , c sa era alto il colosso di Trajano , rappreseutalo con un’
asta ed il globo; una scala a chiocciola vi aveva di dentro con i 85
gradini , e con finestrelle. Al di fuori era tutta incrostata di
marmo Pario. I bassirilievi contengono a 5 oo figure di uomini, oltre
i cavalli , le armi ec. e tutto quelle rappresentazioni veggonsi in
molte tavole intagliate in rame, componenti un grosso volume in
foglio.
(a) Avendo Cosroe cacciato dalla sua sede Esedsre, figliuolo di
Pacore II , Parlamasiri aveva da esso ricevuto il diadema. Da
Suida però si raccoglie , che Trajano già era venuto a contesa con
Pacore II. — Un’ardente brama di trionfare a Trajano attribuisco
anche Aurelio Vittore. La guerra Panica fu probabilmente comin-
ciata nell’ anno 867 di Ruma , ed il Titlemonl , clic partito suppose
Trajano per quella guerra nell’auno 859, dovette supporre due diverse
guerre Paniche, che comprovate non sono dai racconti degli storici.
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2g5
in Atene , alcuni legati di Osroe vennero a trovarlo
colà , i quali e pace chiedevano e donativi con loro
recavano. Perciocché avendo Osroe ricevuto notizia
della partenza di Trajano , e risaputo che egli coi
fatti le sue minaccie corroborava , cominciò a con-
cepire timore , e dimessa la gonfiezza dell’ animo *
aveva mandato a richiedere supplichevolmente , che
invasione ostile non si facesse ; l’Armenia domandava
per Partamasiri e Pacore, figliuolo anch’ esso, e pre-
gava , che il diadema gli fosse mandato (i). Percioc-
ché Esedare, il quale nè verso i Romani , nè verso i
Parli officioso mostravasi , diceva egli avere il regnò
da sé stesso abdicato. Trajano però nè quei dona-
tivi ricevette , ne alcuna cosa rispose o rescrisse ,
se non questo solo , che l’ amicizia doveva conoscersi
da’ fatti , non dalle parole , e che egli quindi , poi-
ché venuto fosse nella Siria , fatto avrebbe tutto
quello che conveniva. Persistendo in questa senten-
za , attraversate avendo l’ Asia , la Licia e le pro-
vince confinanti , giunse a Seleucia.
XVIII. Trovandosi Trajano in Antiochia, Augaro
Osroeno (a) non venne già ad incontrarlo egli stesso,
ma spedì donativi ed ambasciatori con istruzioni che
dalla amistà non erano aliene. Perciocché questi , e
(i) Osroe o Cosmo era fratello di Pacore II. Esedare era an-
eli’ esso figliuolo di Paeore , sebbene da Cosroe cacciato.
(a) Credesi il nome di Augaro comune a tutti i re Osroeni di
Edessa, e presso gli Arabi dee avere il significato di grande. Quindi
forse Augaro fc la stessa cosa ebe Abgaro, del quale trovasi al-
trove menzione , ed anche presso gli storici ecclesiastici.
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29 6
.Trajano e i Parti egualmente temendo , l’ uno e
1’ altro partito accarezzava , e per questo con Tra-
jano non volle venire a Conferenza ]. Poiché Trajano
invasi ebbe i confini de' nemici , i satrapi che la re-
gione governavano, e i re, gli si fecero incontro con
donativi, tra i quali un cavallo vi aveva pure, istruito
a venerare 1’ uomo in tal modo , che le ginocchia
davanti piegava, e la cervice poneva sotto ai piedi
di quello che stavagli vicino. Trajano adunque, tutte
le città prese avendo senza combattere , passato es-
sendo a Satala e ad Elegia (i), le quali città sono
.della Armenia, il re degli Eniochi onorò (a), e punì
Partamasiri re degli Armeni • ed impadronitosi di
tutta l’ Armenia, i re che volontarj dati si erano ,
tenne nel novero degli amici ; gli altri tutti che os-
sequio ricusato gli avevano, senza combattere fece
prigionieri (i). >
(i) Salala rra città dell' Armenia Minore,- Elegia era (rosta su
t’ Enfiate non lungi dal monte Tauro.
(a) Gli Eniochi erano un popolo della Sarmaiia asiatica presso
le rive del mare Eusino, e credonsi gli odierni Circassi.
(3) Partamasiri era aneli* esso figliuolo di Pacore, ma re stabilito
da Osroe. Eutropio dice che questo re fu ucciso, il che però non
è confermato da Dione, nè dagli altri storici. — Trovhnsi meda-
glie colle parole: iiaimi stbacta, altre colla leggenda: Armeria
et mesopotamia in ». p. a. redactae. I popoli soggiogati in
quella occasione , sono indicati da Eutropio , i Cardueoi , i Marco-
medi , I’ Anlcmusia , grande regione della Persia , Seleucia e Cte—
si fonie, Babilonia e gli Edesseni ; questi però, dice Eutropio, ma-
lamente soggiogati. Quei re o reguli menzionati da Dione, erano forse
Manno dell'Arabia, Manisaro della Mcsopolamia, Mebarsape della
Adiabene.
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2 97
' XIX. [ Partamasiri invero, quasi spinto dalla forza,
queste cose far volle. Scrisse egli da prima a Tra-
jano cotue re , ma data non essendogli alcuna ri*
sposta , altre lettere spedì , il nome di re ommet-
tendo } e chiese che a lui fosse mandato Marco Giu-
nio , prefetto della Cappadocia , come se per di lui
mezzo alcuna cosa implorare volesse. Ma Trajano,
mandato avendogli il figliuolo di Giunio , avanzossi
a Samosata e di quella città senza conflitto si im-
padronì (i). Di là pervenne a Salala , ed Enchialo
re degli Eniochi e dei Macheloni (a) con donativi
remunerò. Nella città poi dell 1 Armenia , detta Elee
già , a Partamasiri libero lasciò il presentarglisi. Egli
sul suo tribunale assiso erasi in mezzo al campo
fortificato. Partamasiri , dopo di averlo salutato (3) ,
dal capo si trasse il diadema , e deposto avendolo
(i) Samosaia, città forte per natura sull 1 Eufrate , metropoli era
della Cornacene , e fu patria di Luciano.
(a) 1 Macheloni al pari degli Eniochi starna avevano presso il
Ponto Eusino. Il nome di Anchialo applicato vedesi tanto ad uomini
quanto a città . Marnale nomina Auchialo un fanciullo, oggetto di
Toglie impure.
(3) Alcuno degli interpreti non ha posto mente alla diversità di
questa frase nell’ originale , da tutte quelle che iu simili casi veg-
gonti adoperale , uon solo da Tcridate con Merone , ma anche con
Trajano stesso da altri re barbari , le quali si riferiscono ad ado-
razione , a venerazione, od una specie di culto religioso, anziché a
saluto. ftou saprei tuttavia decidere, se questa diversità, portata
fosse dalla umanità e modestia di Trajano, o dall’orgoglio e dalla
jattanza del reParto. Porse questi non era stalo da alcuno preve-
nuto di quel rito , mentre allorché Tendale venne in Roma , il ce-
rimoniale, come ora direbbesi , era stalo da prima concertato per
messo di C&rbulone.
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a 9 8
ai piedi di Trajano , tacito colà rimate , aspettando
che rendnto gli fosse. Siccome però in quell’ istante
i soldati alzarono unanimi nn grido , e Trajano, co-
me fatto sarebbesi in una vittoria, imperatore ap-
pellarono; ( giacché questa vittoria senza pugna ot*
tenuta , ed incruenta nominavano , perciocché il re
Arsacida , figliuolo di Pacore , nepote per fratello di
Osroe, innanzi a Trajano senza diadema vedevano
non altrimenti che se cattivo egli fosse ) ; atterrito
Partamasiri , questo credette fatto in disprezzo suo
ed a suo danno. Per la qual cosa voltossi , come se
fuggire volesse. Ma poiché circondato si vide da una
corona di soldati , chiese supplichevole che alcuna
cosa costretto non fosse a dire in pubblico. Con-
dotto adunque nel padiglione di Trajano, nulla di
quanto egli bramava impetrò.
XX. Scostandosi però con grande agitazione Par-
tamasiri adirato , anche da mezzo il campo chiamare
lo fece Trajano , e salito di nuovo sul suo tribu-
nale , comandò che qualunque cosa egli voleva di-
cesse , mentre tutti lo udivano ; affinchè alcuni per
avventura, non consapevoli di quello che privatamente
tra di essi trattato si era , favole inventando , cose
diverse dal vero non ispargessero. Il che udito aven-
do Partamasiri , non potè più oltre contenersi ; ma
con grande libertà molt 1 altre cose espose , e quella
principalmente, ch'egli vinto non era stato, nè preso
in guerra, ma spontaneo venuto era, persuadendosi
certamente che fatta non gli sarebbe alcuna ingiuria ,
e che il regno quindi, non altrimenti che Teridate
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a 99
da Nerone, avrebbe conseguito. Ad esso Trajano, ed
altre cose rispose, che a quell’argomento convenivano,
e disse ancora che 1' Armenia lasciata non avrebbe
ad alcuno, perchè essa, ai Romani per diritto ap-
partenendo , un preside Romano avere doveva (i ) ;
promise però a quel re che libero gli lascerebbe
1’ andare ovunque volesse. In questo modo congedò
egli Partamasiri con que' Parti che seco aveva , dati
avendogli però alcuni cavalieri di scorta , affinchè
quelle genti nè con altri parlassero, nè alcuna no-
vità macchinare potessero. Ordinò poi che tutti gli
Armeni che con quel re venuti erano, nella patria loro
rimanessero , siccome di già suoi sudditi divenuti ].
XXI. [ Lasciati avendo poscia Trajano presidj nei
luoghi opportuni , ad Edessa si ridusse, e colà vide
per la prima volta Augaro (a). Perciocché questi da
prima mandato aveva sovente all’ imperatore ed am«
basciatori e donativi} ma egli stesso, varie scuse
adducendo, venuto non era, come nè pure Manno (3)
(t) L’Armenia veramente da Pompeo in poi non aveva mai avuti
re che dati non fossero dai Romani $ osservano tuttavia i critici che
que* re pi ò ancora che aì Romani, ai Parti soggiacevano. Ma sotto
Trajano 1* Armenia cominciò a diventare provincia , e ad essere
governata da un legato consolare.
(a) Suida racconta nell’ articolo di Edessa , che Augaro si fece
incontro a Trajano, mentre a qnella citili avvicinavasi , e gli recò
in dono a5o cavalli , e altrettante coraszc catafratte , che i cavalli e
i cavalieri guernissero , e 60,000 dardi , dei quali doni però Tra-
jano non ricevette ae non che tre corazze, e )' altre cose tutte volle
che Augaro per sò ritenesse.
(3) Si è forse omessa in questo luogo nel Codice la parola re.
Mano scrissero alcuni, ma Manno trovasi nelle medaglie, c forse
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3oo
della confinante Arabia , nò Sporace (i) filarco - o
principe deli’ Antemusia. Allora però , persuaso in
parte dal figliuolo Arbande , il quale per la singo-
lare avvenenza della persona di cui era dotato ,
guadagnata aveva la familiarità di Trajano (a), in
parte colpito dal timore del suo avvicinamento ; gli
di lai figliuolo o nepote era il re Manno amico dei Romani , che
trovati in altre medaglie battale al tempo di Lucio Vero. Alcuni
eruditi lo suppongono re o regolo dell’Arabia deserta, confinante
colla Mesopotamia ; io inchinerei piuttosto a crederlo re della Na-
batea o Petrea , la quale, come vedemmo, giugneva fino all’ Ida-
mea. Quel re poi, come ai raccoglie da un passo di Snida, non
aerbò fedeltà a Trajano, come nò pure conservolla Augaro.
(i) Trajano giusta un passo di Suida, passò egli stesso nell'An-
temosia, indotto a quel viaggio da Augaro. Era questa una regione
della Mesopotamia, vicina all'Armenia e separata soltanto dal fiu-
me Cabora. Filarchi, secondo Suida, nomioavansi i principi della
Mesopotamia stessa j Spantano , Augaro stesso e tutti i sovrani di
quelle regioni appella Toparchi. — In un frammento delle istorie
di Costantino estratto dal Peirescio , si legge: Sporace di Edessa.
Piota il Valeaio doversi leggere in vece Angaro , o com’egli pretende
Agbaro o Acbaro. Altri , come io feci osservare , scrissero Abgaro.
lo non posso ammettere come visiosa nei codici Dioniani la lesione
Augaro , vedendola tante volte ripetuta , e parrai dello stesso av-
viso auche il Reimaro , sebbene riferiti abbia tulli gli argomenti in
contrario dal Valesio addotti. Abgaro e non Acbaro veggo nominato
da Eusebio aache quello, che una lettera dicesi avere scritto a
Cesò Cristo, e facilissima doveva riuscire ai Greci la conversione
della lettera u in j3 , e viceversa.
(a) Questo passo , non molto favorevole per sò stesso alla pndi-
cisia di Trajauo, coonestato vedesi in qualche modo da Svida il
quale, notando che il figliuolo d’ Augaro . 1’ una e I’ altra orecchia
aveva traforate, d’ onde orecchini d’oro pendevano, queste parole
mette in bocca a Trajano: « io li rimprovero, o giovane, perchè tu
uou sii prima d’ora venuto a militare meco, e a farli compaguo
delle mie fatiche, e volentieri li toglierei uno di questi orecchini j, »
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3oi
si' fece incontro al suo arrivo, e dopo dì essersi
scusato , il perdono ottenne. Perciocché presente era
il di lui figliuolo , che luogo teneva di splendido in*
terccssore (i). Augaro però ottenne da poi l’ amicizia
di Trajano , e un banchetto allora gli diede , nel
quale il figliuolo espose , che a certa foggia de 1 bar-
bari danzava ( 2 )].
XXII. [ Venuto però essendo Trajano nella Me-
sopo tamia e spediti essendo di già araldi e legati
per conchiudere la pace , tanto da Manno , quanto
da Manisaro, contro il quale Osroe guerreggiava , e
che perciò volontariamente prometteva di cedere
l’ Armenia e la Mesopotamia, che occupata aveva (3);
a Manisaro rispose che fede prestata non gli avreb-
be , se ad esso venendo , siccome proponevasi , le
promesse confermate non avesse col fatto ; e Manno
*f • • ...
il che dicendo, anche l'altra orecchia gli toccava; e questo allude
all' aulico costume per cui nell' atto di abbracciare alcuno , gli si
pigliavano colle mani le orecchie. Altrove però lo stesso Svida ra-
giona della bellezza singolare di quel giovane.
( 1 ) Io ho amato meglio di tradurre splendido intercessore, che
splendida preghiera , come trovasi nell’originale.
(a) Costume era questo dei popoli orientali, che nei banchetti a
nelle feste si introducessero danze barbariche , o piuttosto alla ma-
ltiera loro , le quali i critici tedeschi, massime i sacri , a fine di
uniformarsi al sentimento del Grozio , suppongono collegato' talvolta
con gesti inverecondi. Questo non viene certamente provato dal
passo di Plauto citato a questo proposito dal Keimaro , nel quale
un iuterloculore della commedia offre di far venire un’ amica che
danzerà.
(3) Non ò beu nolo chi fosse questo Manisaro; il march. Maffei
voleva che si leggesse invece Moneso su 1’ appoggio di una moneta
dei Scleucidi.
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3oa
ancora tanto per altre cagioni sospetto ritenne ,
quanto perchè somministra te aveva truppe ansiliarie
a Mebarsape re dell 1 Adiabene (i), e quelle tutte
dai Romani intercelte , perdute aveva. Piti non giu-
dicò dunque opportuno l 1 aspettare eh’ essi a lui ve-
nissero , ma verso di essi piegò il suo cammino nella
Adiabene. In questo modo tanto Singara, quanto
altre città senza alcun conflitto , per opera del duce
Glusio , ridotte furono in podestà dei Romani] (a).
[ Adenistra era castello assai ben munito. Colà era
stato spedilo certo centurione , detto Senzio , come
legato a Mebarsape ; e da esso posto in ferri , in
quel castello rimaneva. Essendosi però più da vicino
a quel castello accostali i Romani, egli istruì al-
cuni di coloro , che compagni aveva della sua cat-
tività , e fuggito insieme con essi dalla prigione ,
ucciso avendo il comandante del presidio , le porte
aprì ai suoi connazionali ].
.(■) L’ Orsino leggeva Bebarzepe , ma furie è piò gialla la noilra
lezione ; riconosceudovisi la forma dal parlicipio degli Ebrei. In-
gaouarooii fona coloro, i quali credettero che quel re caccialo dagli
itali tuoi perché aderente ai Parli , si sforzasse di recuperarli col-
li ajuto di Manno re dell’ Arabia , giacché vedasi dal contesto di
quest’ istoria , che ancora I’ Adiabene riteneva. Era questa provincia
una parte della Aniria , situata tra i fiumi Dioba ed Adiaba, che
nel Tigri mettevano foce.
(a) Singara era situata presto il Tigri , piò probahilmicte che
verso I’ Eufrate , dove la colloca il solo Stefano Bizantino . Strano
sembra , che ad alcuno non sia venuto in pensiero di dedurre da
quella città il nome degli ziogari o cingari , i quali, delti da alcuni
Egiziani , e certamente dall' Egitto nou traendo nè la loro origine ,
nè il loro nome, vennero senza dubbio da qualche regioue del-
l’Or ieute.
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3o3
XXIII. Molti onori furono allora attribuiti a Tra*
jano per decreto del Senato , e tra i primi fu co-
gnominato Ottimo (i). Viaggiava egli tempre a piedi
coir esercito , e sempre sul cammino istruiva i sol-
dati dell’ ordine , che tenere dovevano , e in varj
modi esercitavali : a piedi ancora, non diversamente
dagli altri lutti , i fiumi valicava ; talvolta altresì
per mezzo degli esploratori false notizie spargeva ,
affinchè i soldati egualmente si esercitassero a tenersi
in buona ordinanza, e pronti ed intrepidi si mo-
strassero a qualunque evento. Inoltre occupate avendo
Nisibe ed Eobatana (a), Partito fu cognominato. Ma
più che di qualunque altro sembrava gloriarsi del
nome di Ottimo, siccome di quello che maggiormente
sembrava accomodarsi alla di lui natura e ai di lui
costumi , che nou 1’ esercizio delle armi.
XXIV. Mentre egli trattenevasi in Antiochia, gran-
• > ! v
(i) Singolare riesce 11 vedere nel teslo greco ritenuta letteralmente
questa parola latina , scritta soltanto con greci caratteri , altre però
trovansi simigliami, pome a-7»r. ia'uftt, ftttyrtt , piut , justut, ma-
gnili etc. La leggenda Optino pmscipi trovasi anche nelle medaglie
di Trajsno medesimo e di Nerva; non si vede però che quel ti-
tolo assumeste Trajano se non nell’anno 868 , dal che giusta ap-
pare 1’ epoca assegnala da Sifilioo dopo l’ occupatone dell’ Armenia,
sebbene il decreto del Senato fosse di alcuni anni anteriore.
(a) Balna o Baiane è scritto nel testo, ma si parla di Ecbalana
della Siria, situata presso l' Eufrate, non di quella della Media*
posta al di là del Tigri. 11 nome dì Panico fu dato a Trajano
prima di tulle dai goldaù dopo la presa di quella città , e dopo
quella di Babilonia e di Ctesifonte, fu nominalo di nuovo imperatore
e gli tu coufermato il titolo di l'artico. Una medaglia colla leggenda!
Pastuia Capta trovasi presso il Mcasabaiba ed il Goltaio.
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3o4
dissimo trereuoto avvenne , e in molte città , ma
specialmente in Antiochia, cagionò gravissimi danni (i).
Imperciocché, mentre Trajano Irò va vasi colà a quar-
tieri d’inverno, siccome riunito erasi in quel luogo da
ogni parte gran numero di soldati e grande moltitudine
d’ uomini , colà tratti dalle liti , dalle legazioni , dal
traffico e dalla curiosità di vedere ; quél danno per
intero ridondò su tutte le provincie e su tutti i po-
poli, cosicché tutta la terra soggetta al popolo Roma-
no , nella città d’ Antiochia ne ebbe a soffrire de-
trimento. Questo tremnoto preceduto avevano molti
fulmini , è venti non ordinar) , ma da questi non
mai attendevasi sì grande calamità. Da prima al-
l’ improvviso si fece sentire grande muggito della
terra ; poi venne in seguito una scossa violentissima,
colla quale in parte la terra medesima tutta sem-
brava portata all’ insù , in parte saltavano sossopra
gli edifizj , dei quali alcuni lanciati in alto , nel ri-
cadere venivano distrutti, altri qua e là gettati co-
me in mezzo al mare , sovvertiti erano , e una gran
parte altresì dello spazio dei terrazzi occupavano, e
( 1 ) Di tre diversi tremuoti si fa menzione dagli storici, l'uno
dell 1 Asia , 1’ altro della Galazia , il terzo di Antiochia , che avvenne
regnando Trajano, nell’ anno 863, corrispondente al n5 dell'era,
volgare, non al n4, come scrisse Eusebio. Sembra, che quella
sciagura avvenisse avanti la primavera , giacché Dione nomina i
quartieri d’inverno. Da Eiloslrato pub raccogliersi, che qualche
vaticinio di Apollonio a quel tremuoto si riferisce. La Antiochia
delia quale si parla, ò quella della Siria posta presso 1’ Oronle ,
detta anche Dafne, o presso Dafne. Dopo quella calamità fu dai
superstiti eretto un tempio in Dafne.
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3o5
mentre le travi e i mattoni e le pietre rompevansi ,
un fragore stranamente terribile si udiva , e si ecci-
tava grandissima polve , cosicché per queste cagioni
più non era libero il vedere , il parlare o 1’ ascol-
tare. Molti uomini, anche fuori dalle case, offesi fu-
rono , perchè agitati e spinti all’ insù con violenza ;
finalmente, come da un precipizio cadendo, urto vio-
lento ricevevano , per la qual cosa altri mutilati fu-
rono , altri perirono. Anche alcuni alberi colle loro
radici lanciati furono in alto. Di coloro poi che nelle
case erano rimasti, grandissimo numero perì - , moltis-
simi oppresse l’impeto stesso delle cose che cade-
vano 5 moltissimi soffocò la terra caduta al disopra.
Più di tutti infelici di gran lunga erauo coloro , che
per alcuna parte del corpo loro trattenuti giacevano
dai sassi o dai legnami, perchè nè più vivere pote-
vano , nè subitamente morire.
XXV. E sebbene molti in quella infinita moltitu-
dine salvati si erano , tuttavia nè pure que’medesimi
ne rimasero tutti illesi } poiché altri vedevansi colle
gambe spezzate , altri privati delle braccia , alcuni
con rotto il capo , moltissimi vomitare il sangue.
jNel numero di questi fu anche il consolo Pedone ,
che poscia tosto morì (i). In somma non fuvvi alcun
(i) Non Podone , come scritto vedesi nella Cronaca Pasquale,
non dunque cosi dello dai piedi. III. Vergiliano Pedone, nominato
in quattro iscrizioni presso il Grulero , fu consolo nell’anno 8S8.
Male a proposito il Ruperto seamhiollo m l'isonc , questo terremoto
confondendo con quello della Galazia avvenuto nell’ anno 864 di
Roma , ni dell’ era volgare.
Dionr. , tomo IP, I. r ni Sinuno. ao
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3o 6
genere di male violento , che sopra quegli abitanti
allora non ricadesse. Inoltre in questo tremuoto, che
per molti giorni e molte notti continuò per divino
volere , gli uomini privi di consiglio non sapevano
porre riparo a quella sciagura , perchè altri dai ru-
inosi edifizj oppressi erano , altri di fame perivano ,
il che avvenne a coloro , che la vita conservata ave-
vano in mezzo alle travi per tal modo inclinate ,
che uno spazio voto lasciavano, o pure sotto qualche
volta in mezzo alle colonne. Cessata essendo alfine
quella calamità, fuvvi alcuno che salendo ardita-
mente su le ruine , la voce di una donna viva udì.
Essa aveva seco il bambino , e questo , come pure
sè stessa , col suo latte aveva fino a quel tempo
sostentato. Laonde trattala da quel luogo unitamente
al bambino , sana ed illesa la conservarono. Portata
essendosi però l’investigazione in tutte le altre ruine,
non si potè più trovare alcuno in vita ,' a riserva
di un fanciullo , che le mammelle della madre morta
succhiava. Mentre poscia i superstiti da quelle rui-
ne i morti estraevano, nè pure si rallegravano di ve-
dersi essi medesimi salvi. Sì grande calamità afflitta
aveva la città di Antiochia. Trajano però per una
finestra dalle case nelle quali trovavasi , fuggi , per-
ciocché un colale uomo di inusitata e più che umana
grandezza , accostandosi , fuori di là lo trasse , co-
sicché superstite rimase , ricevuta avendo solo una
leggierissima ferita. E siccome per molti giorni il
terremoto continuò , nel circo trattenevasi a cielo
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3t>7
scoperto. Il monte Casio altresì (i) talmente fu scosso,
che le cime di esso piegale sembravano squarciarsi ,
e minacciare esse pure ruina alla città medesima.
Si abbassarono inoltre altri monti , ed acque copiose
uscirono, là dove mai non eransi vedute, all’incontro
alcune altre mancarono nei luoghi , dove scorrevano.
XXVI. Al cominciare della primavera Trajano su
le terre de’ nemici entrò. E siccome quella regione
che situata era di contro al fiume Tigri , non som-
ministrava materia atta alla fabbricazione delle navi ,
coi carri fece condurre al fiume que’ navigli , che
nelle selve presso Nisibi aveva fatto costruire. Per-
ciocché erano state fatte in modo , che sciogliere
polevansi e di nuovo. riunirsi. Di là il fiume con uu
ponte riunì, veramente non senza grandissimo stento,
ai monti Gordiei (a) , mentre i barbari posti all’ in-
contro studiavansi d’ impedirlo. Ma sì grande quan-
tità di navi aveva Trajano , e sì gran numero di
soldati , che altre con grandissima prestezza si con-
ti) Inutile è forse il notare, che qui parlasi del monte Casio
della Siria Antiochena, non già di quello dell’Egitto. Altissimo
esso è dello da l'liuio e da Solino , e Adriano vi sali per vedere
di lì, come dicevasi , il levare del sole, avanti che il giorno su la
terra cominciasse. Su l'uno però e su l’altro di que’ monti vene-
ravasi Giove Casio, e il di lui tempio vedesi- anche in una meda-
glia di Trajano.
(a) L’ originale porta Corduni , ma Gordiei sono nominali da Sui-
da , da Stefano Bizantino e da Tolomeo , c facile è tra i Greci
la trasmutazione della lettera K in r. Presso Dione trovasi meu-
xionala anche una regione Corduena. Non lungi da que’ monti, se-
condo Strabono, usciva da uu meato sotterraneo il Tigri per qualche
spazio di quella regione nascosto.
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3o8
giugnevano , altre piene di soldati di grave arma-
tura e di arcieri, le offese dei nemici impedivano }
altre in altri luoghi provavansi; come se passare vo-
lessero. Spaventali da questi preparativi i barbari ,
tanto più che al tempo stesso vedevano sì grande
quantità di naviglj in una regione priva di alberi,
voltano le spalle ; i Romani passano al di là del
fiume , e tutta 1’ Adiabene riducono in loro potere.
[ Questa è una parte dell’ Assiria presso il Nino , ed
anche Arbela e Gaugamela , dove Alessandro supe-
rato aveva Dario , appartengono esse pure a questa
parte dell’ Assiria , la quale per questo ancora Atiria
in alcuni luoghi viene nominata , perchè i barbari
sogliono cambiare , il doppio Sigma in Tau] (i).
. Vengono poscia fino alla stessa Babilonia , non tro-
vando nemici , che loro si opponessero (a). Percioc-
(i) Plinio nota che Assiria nominavasi da- prima la Adiabene si-
tuata oltre t' Armenia. Arbela era una città posta sul fiume Lieo,
altrimenti detto Diaba ; Gaugamela, lontana 5oo o 600 stadi, era
una terra ignobile sul fiume Bumado ; presso questo però vinto aveva
Alessandro , secondo Plutarco ed Arriano , ma per la celebrili del
luogo fu quella vittoria nominata di Arbela o di Arbella. — Dubi-
tarono alcuni del cambiamento di lettere in questo luogo acceuuato
da Dione; pure i probabile, che 1' Adiabene fosse nominata Aturia
o Atiria , forse per qualche conformità colle lingue orientali , ve-
dendosi quel nome anche nell’ ebraico. Il fiume Nino viene nomi-
nato anche da Stefano Bizantino. Il Tillemont pretese, ebe Trajano
giunto non fosse a Babilonia , ma soltanto nella regione babilonese ;
sembra dalle parole di Dione comprovalo, ohe Trajano nella ciuà
stessa entrasse.
(a) Sfido qualunque traduttore a voltare letteralmente in italiano
la frase greca , la quale cosi suona: con grande solitudine dovunque
di nemici, dai quali fossero tratte nuli.
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309
che le truppe dei Parti diminuite eransi per le guerre
civili , e tra essi ancora durava la sedizione (i).
XXVII. Colà Trajano vide un Iago di bitume ,
col quale fabbricate si erano le mura di Babilonia (a).
Di quel bitume tale è la forza , che mescolato coi
mattoni o colle minute pietre , rende le mura più
solide di qualunque sasso e anche del ferro. Vide
altresì quella bocca , d’ onde un alito esce tanto fe-
tente , che ammazza tutti gli animali terrestri , tutti
gli uccelli , se appena ne sentono alcun poco 1’ o-
dore (3). Che se quell 1 alito si portasse più in alto ,
o si spandesse tutto all'intorno di lontano, non po-
trebbe certamente quel luogo essere abitato*, ora quasi
sopra sè stesso rivolgendosi, nella sua sede è conte-
nuto. Io invero ho veduto altra consimile caverna a
Gerapoli (4) , che è una città dell 1 Asia , ed espe-
rienza ne feci cogli uccelli , stando io stesso al di-
sopra col corpo inclinato a riguardare quell 1 alito ,
(t) Le sedizioni e le guerre civili regnavano nella famiglia degli
Arsacidi , cioè ira Esedare e Partamasiri , tra questi e hlanisaro ,
forse già tra Partamaspate ed Osroe.
(a) Riprende il Reimaro Svida e Tzetie , i quali l’asfalto nomi-
nalo in questo luogo da Dione, interpretarono per nafta o bitume
liquido. Egli fe certo però ( sebbene Dione parli altrove della nafta)
•che un bitume era tanto questa , quanto 1’ asfalto ; che quello al-
tresì poteva essere liquido, e che qualunque bitume, massime me-
scolato colla calce, poteva servire di cemento.
(3) Più chiaramente parla di quella meGte Codino, dicendo che
tutto coll’odore suo corrompeva.
(f{) Questa mefite di Gerapoli della Frigia, nominata era dagli
antichi Plutonio, e descritta vedesi da Strabone, da Euslasio , da
Plinio 3 da Apulejo e da Ammiano Marcellino.
I
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3 f o
perciocché rinchiuso trovasi iu una specie di cister-
na , sopra la quale si è costrutto un edilizio , dal
quale guardare si possa. Questo spirito riesce pesti-
lenziale a tutti gii animali , eccetto che agli uomini
castrati (i), della quale cosa io veramente non
posso immaginare la cagione j soltanto riferisco le
cose vedute ed udite , come le vidi e le udii.
XXVIII. Stabilito aveva Trajano di derivare per
mezzo di una fossa 1’ Eufrate nel Tigri , affinchè per
quel canale le navi condurre potesse alla costruzione
del ponte ( 2 ). Ma allorché intese che l’ Eufrate era
( 1 ) Credono alcuni di là derivata la favola dei sacerdoti della
Magna Madre , i quali , sebbene evirali , colà abitavano , perchè o
accostumati erano a quello alilo , o alcun rimedio trovato avevauo
contra la vlolenea del medesimo.
(a) Questo passo di Dione ha molto imbarazzato i critici , per-
chè, dicono essi, Dione non poteva igoorare, che già esistevano ca-
nali di comunicazione tra il Tigri e 1’ Eufrate , ed alcuni tra gli
altri , che delti erano fiumi o canali regii , tra Babilonia e Seleucia
dal Iato stesso di Ctesifonie. Un canale vi aveva pure detto Pal-
lacopa , che I’ acqua dell’ Eufrate portava alle palndi, ed altro
detto Naar Malca, le portava al Tigri. Altro di ragionevole non può
immaginarsi , se non che tutta I’ acqua scorrendo allora per la l'al-
lacopa , il canale che al Tigri conduceva , iu addietro certamente
navigabile, fosse limaste asciutto , o ingombro fosse di terra o di
fango. Nitocri aveva bensì limitato il corso delle acque nella Pal-
lacopa , siccome narra Eroduto , ma Ciro aveva rotti que’ sostegni ,
affine di impadronirsi più facilmente di Babilonia , e tutta l'acqua
del fiume aveva lasciala scorrere negli stagni e nelle paludi , nè
Alessandro riuscito era nel suo tentativo di chiudere di nuovo , o
almeno diminuire la l’allacopa. Si può credere adunque, che il
canale detto Regio , in tale stato si trovasse al tempo di Trajano ,
che impossibile riuscisse, o almeno sommamente difficile il riaprirvi il
corso delle acque. Al che si aggingne, che in quella stagione es*
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3 r i
molto più alto del Tigri , cangiò d’ avviso 5 temendo
che se quello faceva, più non potesse navigarsi l’Eu-
frate , qualora tutta l 1 acqua per la parte declive
scendesse. Trasportate avendo quindi le navi per
mezzo di sottoposti ordigni (1) per lo spazio frap-
posto tra l’uno e 1’ altro fiume, che è brevissimo (2),
(giacché da un lato tutto 1’ Eufrate scorre in una pa-
lude e dall’altra col Tigri si congiugne); valica il
Tigri , e poscia entra in Ctesifonte ( 3 ). La quale
sendo il gole nel segno dell» vergine , P Eufrate trovayasi scarsissimo
di acque, e quindi rettamente scrisse Dione, che se derivate si
fossero le sue acque nel Tigri , quel fiume già esausto per le fre-
quenti paludi , non sarebbe più stato navigabile.
( 1 ) O'Axs'f è scritto nell’ originale, e il Reimaro tradusse pul-
vinòrum. Egli si appoggia ad un passo di Isidoro , nel quale si
dice , che da una parte e dall’ altra si sottoponevano cuscini , o
pelli ancora morbide di animali recentemente scorticati, affinchè il
ventre delle navi a que’ cuscini appoggiato, più facilmente scorresse.
Per dire il vero io non intendo, come si facessero scorrere su la terra
le navi col mezzo di pelli fresche. Osservo all’incontro, che «Asssr
e %afitv\ico), dal dottissimo Wegselingio sono tradotte come mac-
chine fatte per trascinare le navi j io dunque ho tradotto in questo
senso, lasciando la parola incoucl udente di cuscini, giacché sotto
il nome di ordigni sottoposti alle navi, possono intendersi anche i
cilindri su i quali scorrere probabilmente facevansi. Non posso trat-
tenermi dall’ esternare in questo luogo un mio dubbio , che appunto
dal vocabolo ^xuevXxa) sia derivato quello di cammelli, che si
dà in Venezia ad alcune barche pialle , colle quali si alzano e si
sostengono all’ uopo ne’ bassi fondi anche i vascelli di linea.
(a) Strabene lo suppone di aoo sladj , e forse era ques.o pres-
so il canale, detto Naar Ma Ica , allora probabilmente asciutto.
(3) Auche in questo luogo nasce qualche imbarazzo , perchè Tra-
mano aveva già valicato il Tigri con un ponte di navi per eulrare
nella Adiahcuc. Conviene adunque supporre, che Trajano tornato
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3ia
città avendo all’ obbedienza ricevuta , imperatore fu
nominato , confermato essendogli il cognome di Par-
tico (i). Molti onori gli attribuì per decreto il Se-
nato 3 ma quello principalmente , che trionfi cele-
brasse quanti egli voleva. Dopo di avere presa Ctesi-
fonte , fu invaso dalla cupidigia di scendere nel mare
Rosso a seconda del fiume ( 2 ). Un golfo è questo
del mare Oceano , che seno Eritreo fu nominato da
Eritro , il quale una volta regno vi ebbe (3). Tra-
mano prese ancora senza fatica Mcsene, isola del
fosse nella Mesopotamia , che poscia latta occupò , e che per qual-
che cagione più non potesse servirsi delle navi, che da prima ado-
perate aveva. Ctesifonte dalla parte di Seleucia era stata fabbricala
dai Parti.
( 1 ) Nella medaglia colla leggenda Pasthia Catta, si legge che
imperatore fu per la IX volta, il che avvenne nell’ anno 8G8.
(■a) Cioè nel golfo Persico e nel mare adiacente, giacché col nome
di Mare Eritreo inlendevasi dagli antichi non solo il golfo Persico
ed Arabico , ma anche tutto 1’ Oceano. Eutropio dice , che nel
mare Bosso una flotta disposta aveva per recarsi a devastare i con-
fini dell’India. Quanto alle medaglie però, nelle quali si accenna
1’ India ridotta in provincia , il Vaillant osserva opportunamente ,
che dall’ Occone descrivonsi molte medaglie di Trajano , o false
addirittura o assai dubbie , laonde riesce strano , che il Dodvrello
su 1’ appoggio di que’ monumenti abbia creduta l’ India debellata
realmente da Trajano, benché sotto quel nome egli intenda una
provincia coll’Arabia confinante. Più strano ancora riesce il vedere da
quel dotto critico accusato Dione , perchè quasi per invidia parlato
abbia solo delle conquiste fatte da Trajano nell'Armenia e nella Me-
sopotamia. Altra India non conoscevano gli antichi, se non quella vi-
sitata da Alessandro Magno, e a questa Trajano non giunse giammai.
(3) Narravasi, che quel re Eritro dopo la morte fosse stalo get-
tato in quel mare , d’ onde questo pigliato avesse il nome.
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3 1 3
Tigri (i), nella quale regnava Atambilo. [Questo
Atambilo fedeltà conservò a Trajano , abbenchè un
tributo imposto gli fosse ]. Trajano però in que’luo-
ghi per la violenza delle procelle, e la rapidità del
Tigri , ed il riflusso del mare , corse grande pericolo.
Ma coloro che entro le mura di Spasino (a) ( città così
nominata ) abitavano , ed erano sotto il dominio di
Atambilo , Trajano amichevolmente ricevettero.
XXIX. Di là venne all' Oceano medesimo , del
quale la natura conosciuta avendo , e veduto un na-
viglio che il corso verso l 1 India dirigeva , disse :
« Anch' io certamente , se giovane fossi, tuttora nel-
l'India passerei ». Perciocché cominciò allora a pen-
sare agli Indiani (3) , e a fare diligentemente ricer-
che intorno le cose di quella nazione j così pure a
chiamare bealo Alessandro , e a dire che più lon-
tano di quello ito sarebbe ; e questo scrisse al Se-
ti) Mesene o Messene, come è nell’originale, è il nome attri-
buito a molti luoghi posti nel messo di una provincia , di un lago
o di un fiume. Quest’ isola Lrovavasi tra le bocche del Tigri e
quelle dell’EuIeo.
(a) Era questa città nell’ interno del Golfo Persico , situata pure
tra la foce del Tigri e quella dell’Euleo; era stata fabbricata da Ales-
sandro Magno, ma distrutta più volte dalle acque del fiume, con
mura altissime o forse con una specie di moli era stata ristorata da
Spasine, figliuolo di Sogdonaco re degli Arabi confinanti, dal quale
essa aveva tratto il nome. Per questo scrive Dione, le mura o il
vallo di Spasino.
(3) Per la meditata spcdisione nell’India vedesi Trajano deriso
nei Cesari di Giuliano. 11 Dodwello accusa Dione di malevolensa
per avere scritto che Trajano conservare non poteva neppure le sue
conquiste ; ma 1’ esito lo comprovò.
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3i4
nato , benché nè pure le provincie che prese aveva,
conservare potesse. Per la quale cagione il Senato
oltre molte altre cose ordinò per decreto, che trionfi
celebrasse di qualunque provincia egli voleva. Per-
ciocché , scrivendo di coutinuo Trajano che molte
nazioni superato aveva , il Senato non poteva suffi-
cientemente conoscerle nè nominarle. In mezzo adun-
que a moli’ altre cose , allora comandò che un arco
trionfale nel di lui foro fosse edificato (i). Ma nei
fatti era scritto che non mai nella città tornasse ,
nè alcuna cosa facesse vedere degna delle primiere
sue gesta , ed anche il fruito di queste di nuovo
perdesse. Perciocché , raentr’ egli naviga verso P O-
ccano , e quindi ritorna sull 1 orme sue , le nazioni
che soggiogate aveva , tutte con grandissimo tumulto
si rubellarono , cacciati avendo alcune , altre truci-
dati i presidj che lasciati vi aveva.
XXX. Queste notizie recate, furono a Trajano ,
mentre ancora trovavasi sulla nave. Spinta egli avea
però colà la sua navigazione , tratto dalla fama che
tuttavia non corrispondeva al vero j giacché nulla
egli vide se non argini , favole , ruine , e viaggiò an-
cora per cagione di Alessandro, a cui pure celebrò
esequie in quella casa nella quale era morto (a).
(i) Dell’arco di Trajano esistono ancora alcuni avanzi in quello
di Costantino , ma questi spettano soltanto ai Daci. li solo Pan-
cirolo credette , che tutte le vittorie di Trajano in quell' arco fos-
suro rappresentate.
(a) Costume era presso gli antichi , che , accostandosi qualche
personaggio al luogo ove riposava , o dove morto era qualche uomo
insigne , si sagrilicasse agli Dei Alani.
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3 1 5
Udita avendo adunque la ribellione, Lusio c Massi-
mo contra i ribelli spedì ; Massimo vinto in un com-
battimento perì ; Lusio molte cose operò gloriosa-
mente , e Nisibe ancora recuperò Edessa espugnò ,
e rovinata avendola, la |diede alle fiamme. Seleucia
fu presa ed incendiata dai legati Erucio Claro e Giu-
lio Alessandro (i). Ma Trajano, temendo che anche
i Parti alcuna novità macchinassero , stabilì di dare
ad essi un re. Venuto essendo adunque a Ctesifonte,
convocati da prima in una grande pianura tutti i
Romani e i Parti che presenti allora trovavansi , salì
iu un altissimo tribunale. Colà presso quelle turbe ,
delle sue gesta si vanta , poi ai Parti destina re Par»
tamaspate e il diadema gl’ impone (a).
XXXL Di là passato nell’Arabia assalisce gli Atre-
ni , che anch’essi rubellati si erano, de’ quali la
città non è nè grande nè ricca (3). Ma tutta la re-
... i.
(i) Seleucia era quella della Mesopotamia sul Tigri , dirimpetto
a Ctesifonte fabbricata da Seleuco figliuolo di Antioco. — Erucio
(darò è forse quello stesso , che fu prefetto di Roma c consolo so-
stituito nell' anno 870 ; di Giulio Alessandro nominato in questo
luogo credcsi figliuolo un altro , che trucidato fu sotto il regno di
Commodo.
(a) Parlamaspale credesi da alcuni fratello di Osroe , che allora su
i Parti regnava ; altri lo credono figliuolo di Osroe , e nepote di
Sanalruce re dei Persiani. Della famiglia egli era certamente degli
Arsacidi , e male a proposito venne da taluni confuso con Pana-
ma siri , fora* anche da Sparziano, il quale scrisse, che da Trajano
era stato dato re ai Parti Psammatossiri , scrivere volendo proba-
bilmente Partamasiri. In alcune medaglie trovasi la leggenda: Rex
Parthis Dstvs.
(3) Parlasi di quell’Arabia che è posta tra 1’ Eufrate ed il Ti-
gli , perchè anche Severo net suo passaggio per la Mesopotamia 1*
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3i6
gione confinante , per lungo e largo spazio è deser-
ta , perchè in essa rare trovansi le acque , e queste
ancora poco salubri , e grande penuria havvi di Ie-
gne e di pascolo. Da queste circostanze adunque ,
che vietano il portare colà con molte truppe la
guerra, e dal Sole , al quale è consacrata, quella
regione trae la sua difesa. Nè Trajano dunque al-
lora , nè Severo da poi, di quella città si impadroni-
rono , sebbene rovesciata avessero qualche parte
delle mura. Trajano veramente i cavalieri mandati
aveva innanzi contra le mura , i quali essendo stati
gravemente danneggiati e sino al campo inseguiti ,
egli accorso colla sua cavalleria , benché la veste
regale deposta avesse , affinchè per mezzo di questa
conosciuto non fosse , pure a stento scampò dalle
ferite. Perciocché i barbari osservata avendo la di-
gnità della canizie e la gravità dell’ aspetto , cre-
dendosi che quello Trajano fosse , come di fatto lo
era , non cessavano di saettare contra di esso , ed
un cavaliero che vicino gli era uccisero. Qualunque
volta però essi muovevansi all’ assalto , il cielo tuo-
citli di Atra assali. Questa era tuttavia città dell’Arabia, posta
al di là dell’ Eufrate , da Senofonte ancota descritta come deserta .
In qualche esemplare di Dione , invece di Atreni , trovasi scritto
Agareni , il che farebbe dubitare, che si parlasse di Agra città del-
l’Arabia Felice; ma sembra, che quello sia un errore de’ copisti i
quali spesso la lettera T cambiano in r. — Il sole era adorato in
quasi tatto 1’ Oriente , e dedicale ad esso erano molte città , tra le
altre Alrene; il vedere però accennato da Dione che quella città
era difesa dal Sole , mi muove a dubitare , che egli alludere volesse
agli ardori del clima di quella regione.
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3i 7
nava con grandissimo tremore ; si vedevano iridi ,
folgori , procelle , grandini , e i fulmini su i Romani
cadevano j ed allorché questi cenavano , le mosche
tanto i cibi quanto le bevande coprendo, ir tutto
di una certa nausea riempivano. Trajano adunque
di là partì , nè molto tardò ad essere sorpreso da
malattia.
XXXII. Intanto i Giudei che intorno a Cirene abi-
tavano, stabilito avendo per duce loro certo Andrea (i),
i Romani egualmente come i Greci tagliano a pezzi,
si cibano delle loro carni , si cingono delle loro vi-
scere , si imbrattano del sangue e si vestono delle
loro pelli. Molti, cominciando dal capo, segarono per
mezzo (?) , molti esposero alle bestie , molti ancora
forzarono a combattere tra di loro , cosicché periro-
no sino a dugentoventimila uomini incirca. Inol-
tre molte cose simili fecero nell’ Egitto , c così pure
in Cipro , guidati da Artemione ( 3 ) , dove parimenti
(i) Cirene era città e provincia dell’Africa, posta tra la Tripo-
litana e la Marmarica , ore molli Giudei trovavansi , e già mossi
eransi a sedizione sotto Vespasiano. — Eusebio nomina Lucna in-
vece di Andrea , che alcuni credettero un Lucio o un Lucullo
de’ Latini. Non veggo su quale fondamento il Reimaro creda il Lu-
cullo de’ Latini essere stato dai Greci detto Andrea ; forse non era
ni 1’ uno , nè I’ altro , ed invece Barcocheha , che vediamo ribelle
sotto Trajano, e che il titolo persino erasi arrogato di re.
(a) Crede il Reimaro esagerati questi supplizi nou giudaici, spesso
rinfacciati a torlo agli Ebrei medesimi da’ Cristiani. Strano nou era
però tra gli orientali quello di segare per mezzo un uomo.
(3) Prefetto era in quel tempo dell’ Egitto certo Lupo , ed anche
Eusebio notò, che in Salamòia di Cipro , dove numerosissimi erano
i Giudei, questi trucidali avevano tulli i Gentili, lngannossi forse
il Casaubouo , che Lusio credette da Trajano spedilo oouira i Giudei
in Cipro.
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3i8
perirono dugentoquarantamila persone. Dal che de-
riva , che più non ò lecito ad alcun Giudeo il ve-
nire in Cipro ; che se per accidente nell 7 isola appro-
dasse per la violenza di una procella , viene truci-
dato. Ma i Giudei , e da altri duci e principalmente
da Lusio , che Trajano contra di essi spedito aveva,
furono soggiogati. [ Questo Lusio Quieto era vera-
mente Mauritano , e comandante era stato de 7 Mau-
ritani medesimi } ma condannato altre volte per de-
litti, era stato con infamia cacciato. Imminente essendo
poi la guerra Dacica , siccome l 7 esercito dell 7 ajuto
de 7 Mauritani abbisognava , egli spontaneamente colla
cavalleria mauritana accorse e fece di grandi pro-
dezze. Per la qual cosa essendo colmato di onori ,
nella seconda guerra Dacica fece ancora più nume-
rose e più grandi azioni di valore. Finalmente a tale
grado di fortezza insieme e di fortuna pervenne in
questa guerra Partica , che annoverato tra i pretorii,
e il consolato ottenne e il reggimento della provin-
cia Palestina , le quali cose principalmente invidia ,
e quindi odio e ruina gli cagionarono ] (i).
XXXIII. Trajano invece avvisavasi di ricondurre di
nuovo l’ esercito nella Mesopotamia , ma aggravandosi
la di lui infermità, risolvette di navigare verso l 7 Ita-
lia , lasciando nella Siria P. Elio Adriano coll 7 eser-
i
(i) Consolo fa Lusio nell’ anno 858, poi propretore delta Palestina.
Sembra che di là passasse a governare di nuovo la Maurilauia , e
forse lusingossi in qualche istante di usurpare 1’ imperio. Richia-
mato fu dunque da quella provincia , e quindi ucciso nell'anno 871
di Roma.
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3i9
cito. Sembrò adunque che i Romani , presa avendo
l’Armenia e gran parte della Mesopotamia, e supe-
rati i Parti , invano sostenute avessero tante fatiche
e tanti pericoli affrontati , perciocché anche i Parti,
Partamaspate detestando , cominciarono a reggersi a
loro modo. Trajano sospettò che cagione della sua
malattia fosse il veleno } altri accusarono il sangue ,
il quale , siccome per secesso ogni anno scorrere so-
leva così allora cominciò ad arrestarsi. Che anzi
fu sorpreso ancora da apoplessia , cosicché in qual-
che parte del corpo rimase snervato , ma al tempo
stesso trovossi affetto da idropisia (i). Finalmente
portato a Selinonte , città della Cilicia , che noi
' Trajanopoli appelliamo, in quel luogo morì. Regnò
diciannove anni , sei mesi e quindici giorni (a).
(i) Eusebio pure accenna in un luogo, che Trajano morì d’idro-
pisia, in altro di dissenteria. S. Girolamo scrisse, che morto era
per flusso di ventre. — Anche la Cronaca Pasquale morto asserisce
Trajano a Selinonte, e lo conferma una medaglia presso il Mezxa-
barba, laonde non può prestarsi fede ad Eutropio , che morto lo
suppone presso Seleucia della Isauria.
(a) Concordano Eutropio e Cedreno ; Eusebio però , Niceforo e
Zonara ommettouo il computo de’ giorni. Aurelio Vittore dice solo,
che regnò quasi veni’ anni , ed altrove dice veni’ anni compiuti.
Secondo Eutropio, vissuto aveva sessanlatrè anni, nove mesi, quattro
giorni, secondo Aurelio Vittore, sessantaquattro auni. Morto credevi
nel giorno il agosto dell’anuo 870 ; alcuni però di qualche gioruo
anticipano quell’ avvenimento.
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3ao
DELLA
ISTORIA ROMANA
D 1
DIONE CASSIO
COMPENDIATA
DA GIOVANNI SIFILINO
LIBRO LX1X.
SOMMARIO
Adriano non adottato , succede per favore di Ploti-
na: cap. i. a. — Delle uccisioni da Adriano com-
messe ; della varia di lui erudizione e dell’ invi-
dia : 3 . 4. — Di lui virtù , affabilità e liberalità
principalmente : 5 - 8 . — Viaggi , disciplina mi-
litare riformata, amore della caccia: 9. 10. — Come
Antinoo con varj monumenti celebrasse : 1 1 . ■ —
Sollevazione de’ Giudei per la fabbricazione di Elia
Capitolina; ristabilimento della Bitinia: 12- i 4 - • —
Gli Albani sono compressi; Farasmane Ibero viene
onorato: i 5 , — Dedicazione del tempio di Giove
Olimpio e del Pancllenio : 1 6. — Caduto infermo
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3ai
adotta Commodo, Serviano manda a morte; Fron-
tone ? Turbone, Simile, uomini illustri: 17 - 19. —
Morto essendo Commodo , adotta Antonino , men-
tre questo adotta insieme Marco e Fero: 20. ai. —
Come Adriano mancasse di vita : 22. a 3 .
PERIODO DELLA ISTORIA.
Anni
Anni
.‘i . . " . ‘ . j
Anni
AelT Era
di
,
di
volgare.
Roma.
■ , i . .
Adriaco ■
**7-
870.
Consoli. - Quimio Negro, e Vipsla-
nio Aproniano.
1. 1 11 ag
u8.
871.
Adriano Ang. per la seconda volta.
, l
>
e Clandio Fosco Salinalore.
II.
873.
Adriano Aug. per la tersa, e Q.
Giunio Rustico.
III.
120.
878.
L. Catilio Severo, e T. Aurelio
. 1
«
Fulvo.
IV.
121 .
' 874.
L. Annio Vero, ed Aur. Augurino.
V.
122.
8 7 5.
Acilio Aviola, e Corellio Pausa.
VI.
123.
876.
Qu. Arrio Pelino, e C. Ventidio
Aproniano.
VII.
124*
877.'
Manio Acilio Glabrione, e C. Bel-
licio Torquato.
Vili.
125.
878.
P. Corn. Scipione Asiatico per la
* 1
seconda, e Qu. Vettio Aquilino.
IX.
126.
8/9 •
Annio Vero per la terza , e Lucia
Vario Ambibulo.
X.
127.
880.
Gallicano, e Celio Tiziano.
XI.
128.
00
00
L. Non. Asprena Torquato per la
seconda, e M. Annio Libone.
XII.
139.
882.
Giovenzio Celso per la seconda , e
Marcello.
XIII.
i3o .
883.
Qu. Fabio Catullino, e M. Flavio
Apro.
XIV.
lìiott,
tomo IV,
f.* pi Striano.
a<
'• •> , - ‘ 1 • ■ ‘ 1» )
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3a2
884. Ber. Oturio Leo* Ponsiano , e M. )
. , ■ , Antonio Rufino • \ XV.
ila. 885 . Augurino , e Severiano , o secondo
altri Sergiano. XVT.
« 33 . 886. Ibero, e Giulio Silano Siseona. XVfl.
l 34 - 887. Serviano per la tersa, e Vibio Varo. XVIII. •,
1 35 . 888. Ponsiano , e Atiliano. XIX.
1 36 . 889. Ir. Cejooio Commodo Vero, e Set. (
Vetuleno Civica Pompejano. XX.
137. 890. L. Elio Vero Cesare, e P. Celio
Balbino Vibullio. .1 XXI. . .•
t 38 . 891. Camerino, e Negro. + *® !“*•
1. A.DRIAHO veramente non era stato da Trajano
adottato (t) ; era tuttavia di lui concittadino , ed
era slato sotto la di lui tutela ; era inoltre con esso
congiuuto per vincoli di parentela (a)s, e impalmata
(i) Q. Elio Adriano, se nato non era in Italica della Spagna,
discendeva da antenati , che in quella città , fecondo Sparsiano ed
altri, riseduto avevano. Marullino però, di lui avo, venuto era in
Roma , e il primo nella sua famiglia era stato fatto senatore ; nato
era quindi Adriano in Roma il giorno a 4 di gennajo delVanooSag. -
Sebbene apertamente non constasse della adosione di Adriano, un pre-
side della Ciiicia narrava di averne avuto qualche sentore da per-
sone del luogo ove Trajano era morto. Sparsiano dice che alcuni
dopo la morte di Trajano la adozione di Adriano fatta asserivano ,
perché par maneggio di Piolina si era introdotto alcuno che con
moribonda voce parlava. Il Dodwello, forse a ragione, chiamava
questa una favola j e strano è il vedere , che il Ileimaro gli opponga
1 * autorità di Eutropio , il quale chiaramente afferma che Adriano
principe fu creato senza consentimento di Trajano , e che questi
mai non aveva voluto adottarlo , benché figliuolo di una di lui cu-
gina. Altri scrissero che Plotina un testamento fìngesse, nel quale
Adriano istituito fosse erede dei regno. — Adriano , perduto avendo
il padre all’età di io anni , era stalo posto sotto la tutela di Trajano
e di Celio Altiauo cavaliere romano.
(a) Cioè figliuolo di Elio Adriano , il di cui padre Elio sposala
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3a3
aveva la nepotfe eli una di lui sorella , e familiar-
mente con esso usando sovente conviveva (i) , dato
altresì da Trajano per cagione della guerra Parlica
prefetto alla Siria. Nè altra carica riguardevole da
esso ottenne , nè creato fu console tra gli ordina-
tj ( 2 ). Ma essendo Trajano mancato senza prole, At-
tiano che di Adriano concittadino era ed era stato
“tutore , e Plotina per cagione di amorosa consuetu-
dine (3) , cesare ed imperatore lo designarono , per-
ii ' .
aveva Ulpia sorella del padre di Trajano. S* inganna dunque Eu-
tropio, supponendolo figliuolo di una cugina.
(1) Acquistata aveva l’amicizia di Trajano per meno di Sura,
e sposala una di lui nepote per favore di Plolina , con non molto
soddisfacimento di Trajano medesimo. Giulia Sabina era certa-
mente nepote di Marciana Augusta sorella di Trajano. — Dopo la
questura Adriano era staio custode degli atti del Senato ; seguito
aveva Trajano nella guerra Dacica , e nella seconda spedizione, di-
stinto essendosi con azioni di valore, ricevuto aveva in dono il
diamante che Trajano ottenuto aveva da Nerva. Pretore nell’ anno
860, poi legato pretorio nella Pannonia e consolo nell’anno 86a ,
guadagnata aveva maggiormente la confidenza di Trajano dopo la
morte di Sura ; per favore di Plolina era stato quindi spedilo come
legato. nella spedizione. Panica.
( 1 ) Nell’anno 860 era stato semplicemente sostituito, e Dione
sembra voler provare con questo argomento che Trajano non inten-
deva di dichiararlo suo successore.
( 3 ) Se vera fe P asserzione di Dione , come potrebbe questa con-
ciliarsi colle medaglie che portano per leggenda la pudicizia di Pio-
lina , e colle frati ampollose di Plinio, nelle quali santissima e ve-
nerabile viene dichiarata , e degna per la castità sua di essere sola
trascclta alle nozze di un pontefice massimo f II buon Reimaro dice,
che senza alcun concorso di Venere, avrebbe potato Plotina pro-
curare 1 J elevazione di nu congiunto , e sottrarre il popolo romano
al pericolo di una guerra civile. Sia pure ; ma se è vero ch’essa la
voce di Trajano moribondo simulare facesse , che un testamento
3*4
chè non lontano era e di grandi forze trovatasi mu-
nito. Perciocché il padre mio Aproniano (i), il quale
preside essendo della Cilicia , tutte le cose di Adriano
conosceva per averle accuratamente osservate , il
tutto narrommi , e questo principalmente , che la
morte di Trajano fu tenuta per alcuni giorni occul-
ta , affinchè da prima si spargesse 1’ avviso della
adozione; e questo si rendette noto anche, per let-
tere di Trajano stesso al Senato * le quali lettere
non portavano la di lui soscrizione , ma quella di
Plotina , il che essa in alcun 1 altra cosa pubblica
fatto non aveva (a).
II. Adriano trovavasi in Antiochia in quel giorno,
in cui fu imperatore designato, e questa è città metro-
poli della Siria alla quale egli presiedeva ; nella vigilia
però di quel giorno parvegli di vedere in sogno che
un fuoco dal cielo , mentre puro grandemente era
e sereno , cadesse sul Iato sinistro del suo collo ,
e quindi sulla destra serpeggiasse , dal quale fuoco
nè atterrito sembravagli d 1 essere , nè offeso. Adriano
al Senato richiedette per lettere , che l’ imperio gli
fingeste , che operasse contro 1 J intenzione del marito , . . . quella
santità, quella castità , quella pudicizia, diventano perlomeno
assai sospette, a fronte ancora di qnesta frase di Dione, jl quale già
altrove Plotina aveva lodala.
(l) Di questo io ho parlato nella vita di Dioue premessa al primo
volume dell’istoria § III e seg. Non fu tuttavia Aproniano prefetto
della Cilicia se non sotto Marco. Seliuo , o Selinoute , dove morto
era Trajano, era LuLtora città della Cilicia.
(a) Finta era adunque quella adozione , e Sparziano osserva che
Adriano le lettere della adozione ricevette , poscia 1’ annunzio della
morte di Trajano. t . , ■
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3*5
confermasse , e dichiarò di non volere nè allora nè
in appresso, che per decreto conceduti gli fossero
onori di alcuna sorta , com 1 era di costume, se que-
sti non erano da esso al senato domandati (i). Le
ossa di Trajano seppellite furono nella di lui colon-
na ( 2 ) , e per molti anni celebrati furono spettacoli
che Partici nominavansi , poscia al pari di altri molti 1
si tralasciarono (3). Sebbene però Adriano con gran-
dissima umanità reggesse lo imperio (4) , [e in certa
lettera al Senato tra le altre cose che di sè scrisse,
ampollosamente protestasse con giuramento di nulla
volere egli fare che a vantaggio pubblico non ca-
desse , nè di voler dare a morte alcun senatore, ter-
, (1) Gli fa dunque ritardato, al diredi Sparziano , il nome (che
dare non gli ti doveva giammai) di padre della pairia fino all’anuo X
del tuo regno ; ma nelle medaglie e nelle iscrixioni fu detto Augusto,
Pontefice Massimo , investilo della tribunizia potestà , Ottimo , Ger-
manico, Dacico , Partico ecc.; e nel Senato, secondo Orosio, anche
padre della patria continuamente nominavasi.
(3) Quelle reliquie durante 1’ assenza di Adriano portale furono
in Roma con una specie di trionfo , cosicché anche defunto quel-
l’ottimo imperatore l'onore del trionfo ottenne, come si esprime
Sparziauo.
(3) Quegli spettacoli, secondo un antico calendario pubblicato
dal Lambecio, nominavansi trionfali, in memoria del trionfo ripor-
tato sui Parti, e celebra vausi nel giorno 18 di settembre, natalizio
di Trajano.
(4) Molti esempi si citano della umanità , o come scrive Dione ,
filantropia di Trajano ; pure Eutropio nota che molta lode di cle-
menza non ebbe , nè io posso consentire col dottissimo Reimaro, il
quale a questo proposito oscurata dice la gloria di grandi virtù e
grandi meriti con poche azioni cattive. Il popolo è giusto per ordi-
nario ne' suoi giudizj .
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3aG
ribili imprecazioni sul suo capo aggìttgnendo se ai*,
cuna di siffatte cose operate avesse]; tuttavia per la,
uccisione di alcune persone chiarissime , di’ egli or-
dinò, e al principio del suo principato e poco avanti
la sua morte (i), sinistra opinione di sè destò ; e.
poco mancò che per quella cagione nè pure nel nu-
mero degli eroi fosse riferito. Quelli , eh 1 egli ucci-
dere fece poco dopo avere ottenuto il principato ,
furono Palma , Celso , Migrino e Lusio (a) , perchè
dicevasi che insidie tese gii avessero alla caccia ; al-
tri per altre cagioni, siccome uomini che per potere,
ricchezze e gloria fiorivano , furono trucidati ; per
(i) Spantano nota che troppo facile prestava l’orecchio al sus-
surrare di alcuni amici, o confidenti , e che quindi anche le persone
da esso predilette e colmate di grandi onori , tenne da poi in conto
di nimici. Dione gli rinfaccia altresì una smoderata amhixione, e
sulla fine della sua vita alienato di mente fu riconosciuto.
(a) Di Palma, di Celso, di Lusio si è altrove parlalo. Nìgrino
era probabilmente delta famiglia Domisia , giacché Domizia Lucilla
dicevasi la di lui figliuola, che moglie fu di Annio Vero. Sparziano
sembra volere giustificare Adriano di quelle uccisioni, dicendo che
egli sfuggito era alle insidie ad esso tese da Nigrino allorché sacri-
ficava , consapevoli essendone Lusio e molti altri; mentre Adriano
destinato lo aveva suo successore; per la qual cosa Palma fu uc-
ciso a Terra cin a , Celso a Baja , Nigrino a Faenza, Lusio io viaggio,
per comando del Senato e ripugnando Adriano , il ohe ai appoggia-
soltanto alle di lui parole nella vita eh’ egli aveva scritta di sè me-
desimo. Sembra che Adriano venisse in Roma per iscusarsi di quei
fatti, dal che si raccoglie che accaduti erano su la fine dell’ anno
870 , o al priucipio del seguente , giacché allora coniate furono le
medaglie colla leggenda: Aoveittvs Ave. Cos. II. Sparziano parla
delle insidie tese ad Adriaoo ne’ lacrifiij , Dione di insidie lese alla
caccia j questo sembra più probabile , perchè quel principe la caccia
amava con furore.
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3a 7
cagione de 1 quali sentendo Adriano clic mormorazioni;
spargevansi nel volgo , non solamente volle giusti!!-,
carsi , ma il giuramento frapponendo , negò altresì
die qaelii fossero stati per di lui comando uccisi.
Poco prima però ch' egli di vita mancasse , volle che'
trucidati fossero Severiano e Fosco di lui nepo-
ti (i).
HI. Per quello che spetta all' origine , Adriano
nacque di padre ( senatore e pretorio ) , nominato
pure Adriano e cognominato Africano ; per indole
naturale però portato era allo studio dell’ una e
dell’ altra lingua (a). Lasciò dunque alcuni libri da
esso scritti in prosa , ed in vario genere di versi (3).
(i) Di questi si parlerà in appresso.
(a) Un pasticcio è questo di Situino , benché il Reimaro cerchi
di scusarlo, e pii grande parrebbe ancora se io la parola yiter ,
che altri riferire vollero al significato di patria , io avessi col Reimaro
atesso tradotto per gént, o nazione . Sifilino parlò soltanto di ori-
gine paterna , come avvisa quel dottissimo interprete ; ma chi non
crederebbe , leggendo queste parole del compilatore , che Adriano
fosse Africano di origine , e quindi studioso tanto del latino quanto
della lingua degli avi suoi ? Pure anche Sparziano dice che il di lui
padre soltanto portava il cognome di Afer , o come leggesi ne’ ma-
noscritti, Affer, che forse non significava né pure Africano. Lo studio
coltivò dunque Adriano di due lingue, ma della latina e della gre-
ca , e quindi per derisione grecalo o grechetto fu nominato , come
nota Aur. Vittore.
(3) Molte cose si narrarono dagli antichi della erudizione di A-
driano , che cause trattasse nel Foro affettando però uno stile an-
tiquato , che dotato fosse di incredibile memoria , ritenendo una
quantità di nomi e recitando a memoria le cose che lette o udite
aveva ; che ad un tempo stesso scrivesse, dettasse , ascoltasse e ri.
giouaase cogli amici . Prontissimo nel parlare c nel verseggiare , ri-
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3a8
Perciocché era egli cfi gloria e di onore avidissimo f ,
c per questa cagione a tutti gli altri studj anche di
minore importanza dedicossi (i). Conciossiachè model-
lava e pingeva , e tutte quelle cose di sapere vanta-
tasi che in pace ed in guerra fare si debbono , e al
re egualmente come al privato appartengono. [ E
questo veramente danno ad alcuno non arrecava.
Per Pinvidia però, della quale ardeva con tutti co-
loro che in alcuna professione erano eccellenti ], molti
dal loro posto rimosse , molti fece perire. Percioc-
ché mentr’ egli solo in tutte primeggiare voleva ,
[ tutti coloro odiava che in alcuna facoltà distingue-
vansi ]. Per questo Favorino Gallo e Dionisio Mile-
sio (a), sofisti, sforzossi con varj arlifizj di opprimere,
' ‘ . i' J • • ' / .
spondeva Sol serio , per giuoco , alle ingiurie ; versi opponeva ai
versi, motti ai motti, all’ improvviso , come se meditati gli’ avesse.
Scrisse la sua vita sotto il nome di Flegonte suo liberto ; compose
declamazioni e dettò orazioni per Trajano ed in favore di Italica;
lettere inviò agli amici, in una delle quali mostra quanto infelice sia
quello che non può morire, la morte ardentemente bramando; fal-
samente però ad esso si attribuisce una disputa con Epitteto. la
Verso scrisse alcuni libri detti CaUcriani , oscurissimi , ad imitazione
di Antimaco; componimenti amorosi lodati da Apulejo , epigrammi
greci e latini, versi in lode di Plotina, e contro Pompeo, ed un
poeta dello Voconio.
(1) Coltivò egli gli stndj degli Ateniesi , come nota Aur. Vittore,
e i loro costumi; uon la lingua imparò soltanto , ma il canto , il
suono , la medicina , e diventò musico , geometra , pittore , plasti-
catore ec., inventò antidoti e collirj ; coltivò tutte le arti, mai pro-
fessori di queste sprezzò , derise , oppresse , o piò dotto credendosi,
o anche dalla ambiziobe' loro irritato; giacché alcuni di essi onorò
a vicenda ed arricchì.
(a) Favorino, nativo di Arles, filosofo accademico, discepolo di
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3a 9
massime gli emuli loro , ( uomini di niun valore in
parte , in parte di pochissimo conto ) col suo favore
promuovendo. Narrasi veramente che Dionisio ad
Eliodoro epistolografo di Adriano (i) così dicesse:
a Cesare può bensì colmarti di onori ed esserti li-
berale di danaro , ma non può farti oratore ». Fa-
vorino poi , stabilito avéndo di trattare innanzi ad
Adriano la causa della sua esenzione dalle pubbli-
che eariche nella sua patria, venuto in timore di
perdere la causa stessa) e di essere inoltre esposto
a contumelia . presentato essendosi al giudizio, nul-
1’ altro disse se non che il di lui precettore apparso
gli era in sogno ed ammonito lo aveva , che nella
patria nella quale era nato , si guardasse dal soste-
nere pubbliche funzioni.
IV. Adriano , benché gravemente sdegnato fosse ,
giudicò opportuno di perdonare all’uno e all’altro ,
perchè alcun motivo ragionevole non trovava di man-
darli a morte. L’ architetto Apollodoro però , che il
foro , 1’ odeo , il ginnasio , opere tutte di Tramano ,
in Roma innalzate aveva , mandò da prima in esilio,
poi' di morte punì , in apparenza per alcun delitto
*•’ . < * ' •
Dione Crisostomo , fa certamente un tempo tra i favoriti di Adriano.
Di tre cose singolari vantavasi; che Gallo essendo, grecamente par-
lasse ; che sebbene eunuco , fosse stalo accusato di adulterio $ che
anche odiato dall’ imperatore vivesse. •— Dionisio scolare di Iseo,
fu oratore chiarissimo, da Adriano fatto cavaliero ed anche pre-
fetto di una provincia.
(1) Forse Eliodoro siro, padre di Cassio, per il suo valore nella
rettorica fatto prefetto dell’ Egitto. Eguali cose narransi da Filo-
atrato di altro epistolografo di Adriano dello Celere.
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33o
commesso , ma realmente perchè , mentre Trajano
con esso <11 alcuna di quelle opere ragionava , ad
Adriano che alcune cose fuori di proposito nel dia-,
corso introduceva , disse : « va a dipignere le zuc-
che , giacché nulla di queste cose tu intendi, ». Per-
ciocché forse Adriano allora di questo genere di di-
pintura vantavasi. Dopo di avere adunque conseguito
l' imperio , memore dell' antica ingiuria, la di lui , li*
cenza nel parlare non sopportò. Avvegnaché il di-
segno mandò ad esso del tempio di Venere e di
Roma, affine di fargli vedere che una grand'opera
fare potè vasi senza di esso , ed interrogollo se bene
architettata era quella costruzione. Quegli rispose
che il tempio avrebbe dovuto costruirsi in luogo
elevato e scavato al di sotto , affinché migliore pro-
spetto avesse dall' alto sulla via sacra e nella ca-
vità collocare si potessero macchine , le quali di na-
scosto colà congegnale , improvvisamente nell' anfi-
teatro si introducessero J e intorno alle statue re-
scrisse che fatte si erano più grandi che 1' altezza
dello spazio non lo comportava : « Perciocché , dis-
se , se le Dee alzare si volessero ed uscire , fare noi
potrebbono ». Le quali cose liberamente rescritte
avendo Apollodoro , Adriano ne fu altamente sde-
gnato , e grandissimo dolore nc concepì , perchè in
tale errore caduto era , che più correggersi non po-
teva. Più noti sapendo adunque uè 1' ira, nè l’ango-
scia dell’animo contenere, l’architetto fece perire (i).
(>) Questi era Apollodoro Damasceno, autore di uno scritto in-
titolato Poliorcetica , che ancora abbiamo nella collezione degli au—
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33 1
Di siffatta indole era Adriano [ che non solo ai vivi'
ma anche ai defunti portava invidia]. Omero adun-
que egli avrebbe voluto togliere di mezzo , e sosti-,
tuire in di lui vece Antimaco , del quale da prima
nè pure il nome era da molti conosciuto (i).
V. Le quali cose, siccome in esso si riprendono ,
così ancora gli fu rimproverato che troppo esatto
fosse , troppo curioso e malizioso (2). Questi vizj
tichi matematici. Quell’ opera è iodiritta allo stesso Adriano. —
Gli Odei fatti erano per le gare musicali , e quattro ve ne aveva in
Roma ; forse quello di Apollodoro situato era presso le terme di
Trajano. - Scrisse pii volte Adriano ad Apollodoro nel suo esilio
e trattò ancora con esso della emione di un colosso alla Luna. Inu-
tile è a parer mio la quislione, se Adriano mandasse i disegni o sol-
tanto scrivesse , e quella pure, se di uno o di due templi si trattas-
se. L’ uccisione di Apollodoro sembra doversi riferire agli ultimi
anni del regno di Adriano.
( 1 ) Parlasi di Antimaco Colofonio, da altri detto Clario, figliuolo di
Ipparco .grammatico e poeta, al quale il Salmasio , (che Dio glielo
perdoni I ) tentò di assegnare il secondo luogo dopo Omero- H Sal-
masio non aveva veduto se non qualche frammento de’ versi di quel
poeta ; il Reimaro non vide se non quello che scritto ne avevano il,
Vossio ed il Fabricio; ma in epoca più recente si è fatta una edi-
zione compiuta di tutte le reliquie di Antimaco per cura di C. A.
G. Schalleuberg. Questa comparve in Germania nell’anno i;86, e
giustifica in gran parte la frase di Dione, che da alcuni si è cen-
surata come Lroppo acerba. Adriano però era di pessimo gusto,
perchè , secondo Spatriano , sostituire voleva parimente Catone ai
Cicerone, Celio a Sallustio ed Ennio a Virgilio.
(a) Curioso lo dice Sparsiano, non solo delle cose sue domestiche,
ma di quelle ancora degli amici , cosicché tutti i fatti loro indagava, ,
senta che essi se ne avvedessero. Invece di curioso , lessero altri
nell' originale e tradussero vario , come vario , molliplice , molti-
forme , ed arbitro nato alle , virtù ed aiviij, fu detto nell’epitome
di Vittore. A questo forse allude anche Spara iano , che al tempo
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33 a
però emendava e compensava in qualche modo colla
diligenza in tutte le altre cose., còlla provvidenza ,
colla magnificenza e colla destrezza ; cosicché non'
solo alcuna guerra non mosse , ma quelle ancora
che mosse erano troncò ; nè i beni di alcuno ingiu-
stamente proscrisse , che anzi molto donò ai popoli
e alle private persone , molto ai senatori ed ai cava-
lieri (i). Perciocché non aspettava egli' che richiesto
fosse , ma tutto faceva , siccome il bisogno di cia-
scuno lo esigeva. Gli ordini militari esercitò con
grandissima cura , affinchè , sebbene grandi fossero
le loro forze , tuttavia nè con contumacia , nè con
insolenza si comportassero. Le città tanto alleate ,
quanto suddite , con grandissima magnificenza sussi-
ilesso lo descrive severo e lieto, affabile e grave , lascivo e posalo ,
teuace e liberale , simulatore , crudele e clemente , e vario sempre
in tutte le ationi ; nel qual passo alla parola di simulatore, credesi
ommessa nei codici 1’ antitesi e semplice. Nelle cose però die al-
1* impèrio appartenevano , nota lo stesso Sparsiano che lolle ab-
tracciava colla vasta sua meditatione le cose massime , minime ,
e mediocri.
(i) Altra guerra non sostenne Adtiano se non la Giudaica, ben
provala dalle iscrisioni e dalle medaglie , ed a torto impugnata dal-
l’Arduino. Del rimanente fu amantissimo della pace, e le solleva-
zioni della Mauritania sedò , venne a palli coi Sarmati e coi Rosso-
lani , tranquillò i Britanni , e le controversie compose degli Egixj ,
i quali disputavano sai punto , in quale città collocare si dovesse il
neonato Api ; e abbandonò l’Assiria , la Mesopotamia e l’Armenia,
che conservare non poteva. - I poveri e gli innocenti, al dire di
Sparziano , spontaneamente arricchì j cosi pure gli amici , senza che
alcunà cosa chiedessero , non negando tuttavia quello che doman-
dalo gli era , benché scritto abbiano alcuni , che egli non amasse di
essere pregalo.
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a33
dio. Di queste tante egli visitò , quante vedute non
ne aveva giammai alcuno imperatore ; e ai bisogni
di tutti sovvenne, giacché, ad altre l'acqua, ad al-
tre porti , mercati di commestibili , lavori , danaro
e onori ad altre molte liberalmente accordò (i).
VI. Il popolo romano però piuttosto severamente
che dolcemente trattava j e mentre questo alcuna
cosa chiedeva con veemenza negli spettacoli de’ gla-
diatori , non solo la domanda non accordò , ma
volle ancora che rinnovato fosse quel comando di
Domiziano ; « Tacete ; » la quale voce tnttavia non
fu dal banditore profferita. Perciocché avendo questi
alzata la mano e formalo essendosi per quel motivo
silenzio , com’ è di costume , ( giacché mai non av-
viene che alla voce del banditore silenzio non si
faccia ) : « Questo appunto , disse , vuole il princi-
pe ». Per la qual cosa Adriano non solo non isde»
gnossi col banditore , ma lodollo piuttosto , perchè
moderata avesse l’ asprezza del comando. Concios-
siacliè queste cose con animo tranquillo soppor-
tava , nè punto irritavasi , se alcuno anche dcdla
(l) Trovatisi medaglie colle iscrizioni : iestitvtori orbi» terrs-
rvm : in altre si nomina, Ristoratore dell’Affrica, dell’ Acaja , della
Bilinia, della Gallia , della Spagna, dell’Egitto, ecc. Move città ,
secondo il Salutasi» , diciassette secondo il Tristano, portarono il
nome di Adrianopoli ; il porto fabbricò egli di Lupia tra Brindisi
ed Otranto , rifabbricò Nicomedia , Nicea e le vicine città rovinate
dal trctnuolo, ed alcuno iscrixioni parlano dei beneficj da esso ac-
cordati a Pattuita. Dee pure notarsi , che nell’ Elruria fece egli da
.pretore, nelle città latine da dittatore e da decemviro, da demarco
in Napoli, da arconte in Atene , da quinquennale in Roma ed in Adria.
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335
volta l’occasione si presentava, trovavasi alla cac-
cia:, pranzava senza far uso «li vino , cenava quindi
con tutte le primarie persone e cogli ottimati , è
condita era la cena di qualche dilettevole ragiona-
mento (s). Soleva visitare i suoi familiari gravemente
infermi, e qualora i giorni loro festivi celebravano ,
intervenire ai loro conviti $ e godere piacevolmente
de’ loro poderi e delle loro abitazioni. A molti po-
scia di essi , dopo la morte loro , ad alcuni anche
vivi , statue eresse nel Foro. Nè tuttavia per questo
veduti essi furono giammai fare ingiuria a chicches-
sia , o fare mercato di quelle cose che da essi dice-
vansi o faccvausi , il che dai liberti cesariani , è da-
gli altri che vicini stanno ai principi, suole comune-
mente praticarsi (a).
Vili. Essendosi quindi premesse queste notizie in-
torno ai costumi di Adriano, ora. io passerò ad espor-
re ciascuna partitamente delle cose , che più necessarie
sembreranno di memoria. Allorché dunque venne la
prima volta in Roma , condonò tutto quello , che
dovuto era , o al fisco del principe , o al popolo ro-
mano , prefinito avendo il termine di sedici anni j
entro il quale doveva avere luogo quel benefizio (3).
(i) Nei conviti a nelle cene ai esponevano tragedie , commedie,
tavole Alellane , e li ammettevano suonatori , lettori e poeti. In
Alessandria molle questioni propose Adriano agli scienziati , e dì
molte diede egli la solutione.
. (a) Coi liberti , al dire di Sparziano , coi procuratori , coi pre-
sidi delle provinole, Adriano opportunamente severo mostravasi. '
> ( 3 ) Quel condono cadeva au i Soli debiti arretrati , non su i tri-
buti saedesimi, come «Uri suppose; e alcuni ristringono ancora quella
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33(5
Inoltre nel giorno suo natalizio gratuitamente diede
al popolo gli spettacoli , ne’ quali si gran numero di
bestie fu ucciso, che caddero insieme cento liom
ed altrettante lionesse. Distribuì nel teatro e nel
circo donativi separatamente agli uomini ed alle don-
ne, per mezzo di globetti che si lanciavano , e vietò
che le donne cogli uomini si lavassero. In quell’an-
no , in cui fatte furono queste cose , il filosofo Eu-
frate la vita volontariamente si tolse , avendogli
Adriano conceduta per cagione di vecchiezza e di
malattia, la facoltà di bere la cicuta (i). .
IX. Dopo di questo Adriano un giro intraprese
per molte provincie , affine di visitare paratamente
le regioni e le città. Principalmente egli si applicò
.. 1 u i. *i! . '• ■ • ix
concessione al solo danaro, escludendo i metalli', o le derrate, che
argomento formavano di alcuni tributi. Si crede , che Adriano di
questa liberalità usasse ad imitasione di Augusto , e celebrato vedesi
quell'atto di beneficema in alcune medaglie ed in alcune iscrizioni,
dalle quali si raccoglie, che ebbe luogo nelP anno di Roma 871. Lb
scopo primario di quella concessione fu quello di togliere, di messo
le contese grandissime, che tra i privati e il fisco sussistevano.
(1) Era Eufrate un filosofo stoico , molto lodalo da Plioio. Sin-
golare riesce questo passo , perchè ci porge uo esempio della con-
suetudine antica dei Greci , in forsa della quale 1 ’ uomo anche per
i vincoli della società civile non aveva la libertà di togliersi la vi-
ta ; conveniva per questo ricorrere ai magistrati , e provare che il
petente giusto motivo aveva di morire. Nota era quindi la legge, in
vigure della quale a quello che non giustificava la cagione della
morte volontaria, negavasi la sepoltura ; soggiugne Quintiliano, che
anche i di lui beni vendevansi a pubblico vantaggio. In’ Marsiglia ,
al dire di Valerio Massimo, cuslodivasi tra le cose pubbliche il ve-
leno preparato colla cicuta , che a coloro soliamo concedevasi , i
quali provavauu di avere giusto motivo di procurarsi La morte-
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a considerare in ciascun luogo le fortezze e le ca-
stella , ed una parte di queste trasporta in luoghi
più opportuni , una parte ne distrugge , una parte
ne fabbrica di nuovo ; egli certamente le cose tutte
vedeva ed osservava, nè solo quelle che comunemente
appartenevano a tutte le legioni, come le armi, le mac-
chine, le fosse, le mura, i terrapieni, ma ancora conosce-
re voleva quale fosse la vita privata di ciascun soldato,
de’ coscritti e de’ duci loro , quale l 1 abitazione , quali
fossero i costumi ; e ben molte cose nella vita o ne-
gli edifizj , per cagione di lusso introdotte , richia-
mava a giusto tenore di vita , e ad altra forma ri-
duceva. Allora cominciò egli altresì ad esercitare i
soldati ad ogni genere di pugna , e ad onorare in-
tanto gli uni , e correggere altri colle parole , per
ultimo ad insegnare a tutti le cose che fare doveva-
no 5 ed affinchè i soldati , ad esso il guardo rivolgen-
do , si emendassero , cominciò a vivere in qualun-
que luogo duramente , a viaggiare a piedi ed al più
a servirsi di cavalcatura , a non mai salire su i carri
o sulle vetture ; nè per qualunque caldo o per qua-
lunque freddo indotto era a coprirsi il capo. Percioc-
ché e tra le nevi celtiche, e tra gli ardori dell’ Egitto,
camminò sempre col capo scoperto (1). Così dun-
» via.'
\ # ♦ . /
(1) Dei viaggi di Adriano fanno testimonianxa le medaglie ed altri
anlichi monumenti. Pretese alcuno di ridurre iu serie cronologica
que’ viaggi , e secondo quest’ ordine , avrebb’ egli visitata da prima la
Campania , poi la Galli», la Germania e la Bt'.tannia, attraverso della
quale un muro dicesi da esso costruito ; quindi di uuovo la Gallia ,
Vionr., tomo IV , I .* vi Sifiliko. ss
338
que, per dire tutto iu una parola, i soldati, finché
il principato tenne , col fatto stesso esercitò , ed
istruì co’ precetti , che le cose allora da esso stabi-
lite, anche oggidì forza di legge ottengono nella di-
sciplina militare. E per questa cagione, forse più che
per qualunque altra , pace perpetua cogli stranieri
conservò. Perciocché, siccome vedevano essi le di lui
disposizioni , nè tuttavia alcuna ingiuria ricevevano ,
che anzi da esso ottenevano danaro , nulla di nuovo
macchinavano. Tanto egregiamente erano le di lui
truppe esercitate , che persino quella cavalleria che dei
Batavi viene appellata , coll’ armi sue fece valicare 1’ I-
stro a nuoto. Le quali cose vedendo i barbari , col-
piti erano dal timore de’ Romani , e alle cose loro
la Spagna, la Germania , poi la Mauritania, la 8iria, l’Asia, l’Acaja
ed Eieusi ; forse dalla Giudea passò nell’ Egitto; vide poscia Atene,
la Sicilia, l’Africa di nuovo, l'Asia, la Cappadocia , di bel nuovo
la Siria , ove sostenne la guerra Giudaica , l’Arabia e Pelusio. -
Nella Germania principalmente riformò la disciplina militare , nella
quale dicesi che cotanto fosse perito, che un libro di tattica compose,
pubblicato sotto Anastasio da Orbicio o Mauricio. Nola Sparxiano ,
che nei campi coi soldati pascevasi di lardo e di cacio, e beveva po-
sta. - Diffìcile è il distinguere esattamente tra i carri e le vetture
nominale nell’ originale , che il Aeimaro tradusse vchicuia aut rhedas :
opinarono. taluni, che in questo luogo si parlasse di quadrighe; ma
io sono d’ avviso , che la sola distinxione cada su le ruote , delle
quali due ne avevano le bighe o le quadrighe , e gli altri carri del
circo , e quattro le vetture , nelle quali quattro posti veggiamo men-
aionali da Dione medesimo. - Anche Sparxiano nota , che in messo
al rigore del freddo e dei venti o delie procelle, Adriano mai non
volle coprire il capo , e forse per questo vedesi rappresentato co-
stantemente col capo nudo nelle medaglie. Sparxiano però soggiu-
gne , che per questa cagione una malattia contrasse , che lo obbli-
gò al letto.
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33 ?
aì volti j Adriano stesso delle controversie loro arbi-
tro costituivano.
X. Egli fabbricò altresì teatri ed istituì giuochi ,
mentre le città visitava , senza regio apparato tutta-
via , del quale mai non fece uso se non ebe in Roma.
Non visitò però mai la patria (i), sebbene di grandi
onori la colmasse , e di molti c splendidi donativi.
Narrasi che amante fosse della caccia , nella quale
una clavicola pure si ruppe , e poco mancò che zop-
po non rimanesse ( 2 ). Ad una città della Misia ,
nella quale dedusse una colonia , il nome diede di
Caccie di Adriano. Per questa cagione tuttavia non tra-
scurò mai le cure , che al principato appartenevano.
Grande argomento però, che della caccia egli si dilet-
tasse , ricavasi dal vedere che ad un cavallo detto
Boristene (3) , del quale nelle caccie più volontieri
( 1 ) Cioè italica della Spagna , patria de* suoi antenati. Mollo
però fermossi in Tarragona , dove un’assemblea riunì della provincia.
( 3 ) Anche da giovane era stalo amante della caccia. Ano a meri-
tarne rimprovero , come scrive Spariiano- Lo stesso autore narra
altrove , che uti lione colle sue mani uccise ; non bene intendo però
le parole seguenti, che la slroua ed una coscia nel cacciare si ruppe.
Anche Ateneo parla di un terribile lione, che la Libia devastava ,
c che ucciso fu da Adriano, Adrianotera fu nominata la cittì fabbri-
cata in un luogo , ove cacciato aveva felicemente ed uccisa un orsa.
(3) Costume era degli antichi di imporre nomi ai cavalli; quindi
il Bucefalo d’Alessandro , 1’ Incitato di Caligola, 1’ Uccello o il Vo-
latile di Vero , il Pertinace di Commodo ecc. Plinio parla pure di
monumenti eretti ai cavalli , e tra i Greci si seppellivano con onore
' quelli che tre volte vinto avevano nei giuochi olimpici. Una parte
del marmo che portava l 1 epitelio epigrammatico di Boristene, è stala
trovala in Francia presso Api , c il Gassendi nella vita di Pei-
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34o
servivasi , dopo la morte edificò un monumento , ed
una colonna eresse colla iscrizione di un 1 epigram-
ma. Per il che non dee riuscire meraviglioso , se a
Plotina mancata di vita , per di cui opera , amato
sommamente essendone , P imperio ottenuto aveva ,
amplissimi onori tributò. Conciossiachè dolente e
mesto ne fu per nove giorni , e un tempio ad essa
innalzò, e versi fece iu di lei lode (i). Fu poi egli
di tanta agilità nelle caccie , che un cignale grossis-
simo d* un solo colpo ammazzò.
XI. Venuto essendo nella Grecia , volle vedere i
misterj (a) j e passato essendo poscia dalla Giudea
nell’ Egitto , esequie celebrò a Pompeo , sul qualo
narrasi che questo verso profferisse ;
Chi tanti templi ottenne , or non ha tomba ;
e il di lui sepolcro , che caduto era , ristabilì (3).
rescio ha pubblicato quel frammento. Uua colonna con sopra un
cavalla, e 1* iscrixione BOPJ£©ENH£ vedesi auche iu una medaglia
presso I’ Occone , se pure questa & genuina -
(t) In onore di Plotina una basilica di magnifica costrusione eresse
Adriano presso Nimes.
(a) Sotto questo nome debbono intendersi i misteri Eleusini , ve-
dendosi questo confermata da Sparxiano , da Erodiano e da Eliauo.
A que’ misteri ammetlevansi anche gli stranieri, e siccome dicevasi,
che Adriano in questo avesse voluto imitare Ercole, non h mal fon-
data la congettura , che a questo avvenimento riferire si debbano le
medaglie greche, che Adriano rappresentano sotto la forma di Er-
cole «ornano.
(3) Sparxiano soggiegne , che Adriano venuto a Pelusio , la tomba
di Pompeo con maggiore magnificenxa riedificò. Dubitarono alcuni ,
che quel verso fosse di Adriano, sebbene sotto il di lui nome tro-
visi nell’Antologia.
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34i
Nell 1 Egitto ancora ima città ristorò sotto il nome
di Antinoo (i). Era Antinoo nato in Bitinio , città
della Bitinia , la quale città noi anche Claudiopoli
appelliamo (a). Quell 1 Antinoo essendo stato oggetto
dei piaceri di Adriano , nell 1 Egitto morì , sia che
nel Nilo cadesse , come scrive Adriano , sia che im*
molato fosse , come sembra più vero j perciocché
essendo Adriano sommamente curioso , siccome di
sopra ho detto , allora anche degli indovini servivasi
e delle arti magiche di qualunque genere. Onore sì
grande attribuì egli dunque ad Antinoo, o perchè ama-
to lo aveva , o perchè quello incontrata aveva volonta-
riamente la morte ( giacché Adriano per quelle cose
che disponeva, abbisognava di un’anima, che volon-
tariamente si sacrificasse) (3) , che una città fabbri-
cata in quel luogo , in cui egli era morto , con co-
loni condotti ad abitarla , volle clic da esso traesse
il nome , e statue o piuttosto simulacri in tutto quasi
il mondo gli dedicò (4). Finalmente egli stesso di-
ti) Era questa ana città detta Tebaide, che da Adriano fu soltanto
riedificata , e non solo Anlinopoti fu detta , raa Antico, Aolindja ,
Adrianopoli , e Beianlina, perchè un Nume detto Beza vi si adorava.
(a) Che questa fosse la patria di Antinoo , viene confermato dalie
medaglie. Sognò l 'Arduino , che Antinoo nato fosse da una concu-
bina di Adrianb , e da questi creato prefetto della Biliuia e di tutta
l’Asia minore.
(3) Da molli scrittori viene il vizio della pederastia rinfacciato ad
Adriano. Io ho tradotto liberamente la greca espressione di anima
volontaria, e questo è il senso, nel quale gli scrittori per la mag-
gior parte interpretano il fatto di Antinoo , non già , come credette il
Salmasio , che esplorare si volessero le viscere di quel giovine.
(4) La differenza introdotta in questo luogo tra le statue e i simulacri.
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ccva di vedere una certa stella , che quella era di
Antinoo ; e i suoi familiari che la stessa favola fìn-
gevano , con compiacenza ascoltava , come se vera-
mente dall' anima di Antinoo nata fosse quella stella,
ed allora per la prima volta veduta si fosse. [ Per
queste cose adunque era Adriano deriso , e perchè
ancora a Paolina , di lui sorella defunta , alcun ono-
re venduto non aveva (i)].
XU. Siccome però invece di Gerosolima distrutta,
una colonia fondata aveva sotto il nome di Elia Ca-
pitolina fa) , e dove sorgeva il tempio di Dio , altro
ne aveva fatto edificare a Giove (3); grande e lunga
consisteva nell’essere questi a distinzione di quelle vestiti alla foggia
di qualche grande divinità; quindi Antinoo fu rappresentato coi-
1’ abito di Mercurio , ed in un Ginnasio della Bitinia con quello di
Bacco , altrove colla veste e la lira d’Apollo , portato al cielo da
un grifone. A quel nume posticcio si attribuirono sacerdoti, e si
applicò anche un oracolo, e di queste pazzie conservasi altresi me-
moria nelle medaglie. In alcune si vede anche la stella di Antinoo.
(t) Paolina quella era forse, che sposa divenuta era di Serviano,
nominata in alcune iscrizioni.
(a) Gerosolima non era stata da Trajano distrutta , ma bensì da
Tito, nò quella città fu deua Elia Capitolina dopo la guerra. Elia
l’aveva Adriano appellata dal nome di Elio, Capitolina dal tempio
di Giove Capitolino.
(3) Il Grozio pretende, che quel tempio non fosse edificalo nel
luogo detto Moria, ove era 1’ antico, ma bensì in Sion. Scioccamente
Sulpizio Severo Io disse edilìcato sul Golgota. - I Giudei abilavauo
presso che soli in quella città , e soltanto dopo questa guerra fu ad
essi vietato lo entrarvi se nou pagando un annuo gravoso tributo. Il
Vaillant, su l’appoggio di una medaglie, pretende che collocati vi fossero
dagli imperatori i soldati veterani. - Spumano adduce altra cagione
della guerra suscitala sotto Adriano , perchè die* egli , si vietava ai
Giudei il mutilare i genitali, cioè il praticare la circoncisione. Ma
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guerra si suscitò ; perchè i Giudei mal soffrivano che
straniere nazioni venissero ad abitare nella loro cit-
tà , e che in essa stranieri culti si stabilissero. Men-
tre tuttavia Adriano nell’ £gitto e di nuovo nella
Siria trattenevasi , giudicarono opportuno di rimanere
tranquilli. Intanto le armi che i Romani comandato
avevano loro di fabbricare , a bella posta meno atte
all’ uso disposero , affinchè , riprovate essendo dai
Romani, essi servire se ne potessero. Poscia , allorché
loro sembrò che Adriano lontano fosse, palesemente
rubellaronsi , e siccome in guerra aperta non osava-
no coi Romani avventurarsi , così munivano di fosse
e di mura i luoghi più opportuni della loro regione,
affinchè in essi rifuggire potes sero , qualora la ne-
cessità lo richiedesse , e così a vicenda potessero nei
loro ricettacoli sotto la terra riunirsi per mezzo di
vie sotterranee forate al disopra , nelle quali aria $
luce ricevessero (i).
XIII. Questi da prima erano dai Romani sprezza-
ti , ma poiché i Romani intesero che tutta la Giu-
dea era sollevata ; che tutti i Giudei , in qualunque
luogo si trovassero , tumultuavano e segrete adunan-
ze tenevano , e che molti danni , parte occultamente,
parte in palese ai Romani inferivano , e ad essi pre-
stavano ajuto altri stranieri , indotti dalla cupidigia
del guadagno , cosicché tutta quasi per quella cagio-
fjuesta non fu mai da alcuno vietata , e quindi sembrano più plau-
sibili i molivi addotti da Dione. Quella guerra cominciò probabil-
mente nell’ anno di Roma 886.
( t) Si osserva , che anche nelle precedenti guerre i Giudei ave-
vano fatto uso di cunicoli o di vie sotterranee.
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ne commossa ed agitata era la terra; allora final-
mente Adriano tutti i migliori duci contra di essi
spedì , de’ quali il primo fu Giulio Severo , che
dalla Britannia , alla quale presedeva , mandato fu
contra i Giudei. Questi da alcuna parte non osò
apertamente assalire i nemici , conosciuto avendo il
loro numero e la loro disperazione ; ma intercetti
avendoli a parte a parte con gran numero di soldati
e di legati circondati avendoli e tolta ( i ), così ad es-
si qualunque comunicazione , più lentamente invece ,
ma con minore pericdlo, li disordinò , gli indebolì ,
li disperse (a). , , ,
XIV. Per la qual cosa assai pochi salvaronsi , e
cinquanta delle loro principali fortezze , e novecento
nttantacinque dei loro villaggi più cospicui furono
rovesciati dalle fondamenta. Uccisi furono nelle scor-
rerie e nei combattimenti cinquecentottantamila Giu-
dei (3) ; non potè però discoprirsi il numero di co-
loro , che per fame , per malattia o negl’ incendj mo-
rirono; cosicché quasi tutta la Giudea rimase deserta.
(t) Cosi porta l'originale: dee però intendersi - di ufficiali o duci
subalterni , delti talvolta legali dai Romani perchè una missione
ricevevano. ,
(a) Insorti erano gli Ebrei anche nella Libia, nell’Egitto e spe-
cialmente in Alessandria. Eusebio narra, che Cocheha o Barcocheba,
capo de’ Giudei, i Cristiani forzava a prestargli ajuto contro i Ro-
mani con ogni sorta di tormenti. Questo non prova conira Dione ,
come opina il Reimaro , che molti non fossero condotti ad assistere
i Giudei dalla speranza di lucro. - Il Severo nominato in questo
luogo, è Catilio Severo , già prefetto della Siria sotto lo stesso Adriano.
(3) Un errore di stampa è corso nella storia del J'illemont, ove
si legge il numero 58ooo. Eusebio pure male a proposito disse ri-
masta deserta la città di Gcrosolima , invece della Giudea.
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Questa sciagura era stala ai Giudei annunziata da
prima , perciocché il monumento di Salomone , che
essi con grande venerazione riguardavano , disciolto
da sé stesso , era caduto in ruina (i) ; e perchè
molti lupi e molte jene entrate erano urlando nella
loro città (a). Perirono ancora in quella guerra molti
tra i Romani. Per la qual cosa Adriano scrivendo al
Senato , non si servì di quello esordio , del quale
costumavano di far uso gli imperatori : « Se voi coi
figliuoli vostri godete buona salute , ne godo ; io
certamente e l’esercito stiamo bene *>. Dopo di que-
sto , Severo mandò nella Bitinia , la quale non di
armi abbisognava , ma di un preside giusto , pru-
dente e di dignità ornato } cose tutte che in Se-
vero si riunivano. Questi di certo così fattamente
comporlossi , e in tal modo amministrò le cose tanto
private , quanto pubbliche di quella provincia , che
noi fino ai giorni nostri la di lui memoria con fre-
quenti ragionamenti ricordiamo. [ Del rimanente al
Senato ed alla vicenda della sorte la Panfilia fu
data invece dèlia Bitinia ] (3).
(i) S. Girolamo credette quel sepolcro sussistente al tempo del-
l’apostolo S. Pietro. Beniamino di 'l'udela amplificò scioccamente le
ricchezze in quel sepolcro ritrovate ; si mostravano però anche nel
passato secolo alcune camere scavale nella rupe , le quali iudica-
vausi ai forestieri sotto il nome del sepolcro di Salomone.
(a) Non sembra probabile, che quelle regioni frequentate fossero
dalle jene ; io bo seguito nella mia traduzione il Reimaro; ma io os-
servo , che nell’originale sta scritto A »*et «turar, o lupi- jene,
il che mi muove a dubitare , che con queste addieltivo si volesse
indicare qualche specie particolare di lupi feroci.
(3) Tutte le provincie dell' imperio Romano , come è noto , di-
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346
XV. Finita in questo modo la guerra giudaica ,
altra ne mosse Farasmane degli Albani, { sono questi
Massageti ), e la Media violentemente devastò , l’ Ar-
menia poi e la Cappadocia toccò in qualche parte 5
ma desistette da quell’ attacco , essendo stati gli Al-
bani in parte guadagnati con donativi da Yologeso ,
in parte trattenuti dal timore di Flavio Amano pre-
side della Cappadocia (1). [Del rimanente Adriano
introdusse nel -Senato i legati spediti tanto da Vo-
logeso , quanto dai Giazigi , dei quali i primi Fara-
smane per alcun titolo accusavano , i secondi chie-
devano di stabilire la pace , ed avendo il Senato ad
-Adriano medesimo commessa la cura di dare loro
risposta , questi e la risposta scrisse , e ad essi egli
medesimo la recitò}.
[ A Farasmane Ibero poi , che venuto era in Ro-
ma colla moglie , l’ impero accrebbe , e uei Campi-
doglio gli permise di sacrificare , ed una statua eque-
stre nel tempio di Bellona gli collocò ; e spettatore
videyansi in Cesaree e Senatorie , e in queste spedivansi ogn’ anno
senatori tratti a sorte. Egli è perciò che invece di tradurre al Senato
ed alla sorte , come fece il Reimaro , ho rischiarata 1* idea , giacché
nelle provincia Cesaree i prefetti o propretori si sceglievano.
( 1 ) Dione nomina altrove gli Albani, e li confonde cogli Iberi e cogli
Armeni, il che fanno pressoché tatti gli altri storici, sebhene alcuni cogli
Albani confondano gli Alani assai piò remoti, il Farasmane però qui
nominato, da alcuni eruditi viene distinto dal Farasmane Ibero, del
quale si parla in appresso ; la cosa tuttavia non è ben chiara, e sem-
bra che quello venuto in Roma , fosse lo stesso che accusalo era
dai legati di Vologeso II figliuolo di Osroe. Flavio Arriano preside
della Cappadocia , è lo stesso di cui tuttora abbiamo la Tattica , il
Periplo ed altre opere.
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si fece dell 1 esercizio delle armi , tanto di esso ,
quanto del di lui figliuolo , e delle altre principali
persone tra gli Iberi ].
XVI. Adriano ridusse a compimento in Atene il
tempio di Giove Olimpio , nel quale fu pure posta
la di lui statua (i); e comandò che colà fosse col-
locato un dragone portato dall 1 India (a) , e vestito
(i) Aveva egli, secondo Spantano , cominciate alcune opere presso
gli Ateniesi, che allora dedicò ; tra queste il tempio di Giove Olim-
pio ed un’ ara a s è stesso , e molti templi , per l’Asia viaggiando ,
al proprio nome consacrò. Quel grande edifìcio era del circuito di
quattro sladj . Ma giusta I’ espressione di Dione , non fu già edifi-
cato di nuovo, ma siccome era stalo distrutto , si cominciò a rifab-
bricarlo, e compiuto fu quel ristauro sotto Adriano. Eusebio soggi ugne
che dopo aver egli eretti diversi templi in Alene, visitò Eleusina ,
spettacoli espose, e una biblioteca di maraviglioso lavoro fece co-
struire. - Non una, ma molte statue poste furono , secondo Pausania,
in quel tempio ad Adriano, e queste presso al Nume stesso jcosi i re-
gnanti ambiziosi credevano di accostarsi ancor vivi agli Dei. Olimpio,
o Dio Olimpio fu quindi nominato Adriano nelle medaglie e nelle
iscrizioni, ed i giuochi da esso istituiti, detti furono Adrianei Olimpii.
(a) Il Reimaro nelle sue note ha creduto questo un serpente co-
mune ; egli ha supposto che vivo fosse , e d’ ordine d’Adriano si
nutrisse nel tempio , e si è studiato di riferire questa istituzione al
culto degli Egizj , che un’ aspide salvatore o simbolo di salute,
nutrivano ne’ loro templi , o al serpente custode di Minerva Urbana
e della Rocca di Alene. Ma perchè mai questo non viene nominato
aspide o serpente, a'tpit , ma bensì dragone ? Perchè mai questo
dragone era stato portato fino dall’ India ? Come mai per si lungo
viaggio , e da un paese quasi incognito , si sarebbe portato vivo
quell’ animalaccio in Atene? Chi disse mai che vivo fosse, e che
nutrire si dovesse ne) tempio? Chi mai disse che oggetto fosse di
venerazione , o dedicato alla custodia del luogo ?. . . Nè si creda
eh’ io qui rinnovare voglia le favole de* draghi alati , della di cui
origine mitologica traitai a lungo in una scritto da me pubblicato in
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343
all’ ateniese , siccome quello die la magistratura di
arconte presso quei cittadini primaria sosteneva ,
le feste Dionisiache con somma magnificenza cele-
brò (i). Ai Greci permise che il tempio suo , detto
Panellenio ? edificassero (a), e per questo giuochi
gioventù ; io intendo solo di proporre modestamente il mio dubbio,,
che quello fosse per avventura un serpeDtaccio mostruoso portato dal—
l' India , non un aspide o una vipera , o il serpente d’Esculapio , il
coluber Aisculapii , non già di Linneo, ma degli antichi, che non
sarebbe stato necessario 1’ andare a cercare lontano dalla Grecia ;
che a quel mostruoso animale , forse per qualche conformazione che
strana sembrava ai Greci , il nome si desse di dragone ; che la sola
spaglia di quell’animale portata fosse dall’India e collocata nel tem-
pio o come simbolo di qualche divinità , o come oggetto di rarità ,
alcuno de’ quali vedeai talvolta nei santnarj deposto, affinchè meglio
fosse conservato alla memoria de’ posteri. Così panni che interpre-
tare si possa letteralmente il testo di Dione. Anche figure simboliche
.di serpenti ne’ primi secoli cristiani collocavansi ne’ templi de’ Gen-
tili , ed a queste forse appartiene il serpente di bronzo che vedesi
in Milano su di una colonna nella basilica di S. Ambrogio ; non è
dunque strano che la pelle di un serpente indiano si collocasse nel
tempio di Giove Olimpio per comando di Adriano. Vivo non era
certamente il dragone che per più secoli rendette gli oracoli in Abo-
melico città della Paflagonia. *
(■) Nove erano gli arconti, dei quali conviene supporre che Adriano
fosse il primo. Egli era di già stalo rivestito di quella carica avanti
eh’ egli giugnesse all’ imperio , il che ha dato motivo agli eruditi di
disputare , forse inutilmente , se Arconte egli foase allorché i giuochi
celebrò, o pure Exarconte , allribuendoglisi in qualche modo la di-
gnità che sostenuta aveva. Dal raccoulo di Dione, eh’ egli vestilo
aveva l’abito degli Ateniesi, sembra potersi raccogliere , ch’egli ri-
pigliala avesse allora realmente la carica di primo magistrato.
(a) Questo passo letteralmente tradotto, potrebbe indurre in errore.
Pausania dichiara che il tempio non era già di- Adriano, ma di Giove
Panellenio , e soggiugne che fabbricato non fu dai Greci , ma da
Adriano medesimo. O dunque s’ ingannò Dione , o più probahil-
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instituì , e agli Ateniesi accordò grandissima somma
di danaro, e frumento annuo e l’intera Gefalonia (i).
Molte leggi sancì , e quella principalmente che al-
cun senatore nè da sè,'nè col mezzo d’altri, i tri-
buti pigliasse in appalto (a). Venuto essendo egli da
poi in Roma , ed avendo il popolo , forse in mezzo
allo spettacolo , chiesto da esso con altissime grida
che certo auriga manomettesse ; e ricusò di farlo , e
nelle tabelle scrisse « indegno essere del popolo ro-
mano il domandargli che la libertà donasse al servo
altrui , o il coslrignere a far questo il padrone. »
XVII. Cominciato avendo però ad infermarsi, per-
chè il sangue che ùscire solevagli dalle narici per
10 addietro , con maggiore veemenza scorreva , si
disperò della di lui vita ; per la qual cosa Lucio
Commodo ai Romani Cesare designò , sebbene questi
mente Sifilino fece un guazzabuglio, e con quell’ addiellivo suo guastò
11 vero senso del testo. Affatto graLuita è la supposizione del Reimaro,
che quel tempio perfezionato da Adriano, dedicato fosse al di lui genio.
(t) Questo dee intendersi, salvi i diritti e le leggi degli isolani:
il che viene provato da una iscrizione trovala sulla base della statua
di Adriauo in Atene , e pubblicata dal Reinesio , dalla quale rica-
vasi pure che quattro tr ibis vi avevano de’ Cefateui, il che spiega
la frase di Dione dell’ intera Cefalouia.
(a) Dubitano cou ragione i critici che in questo luogo siasi gran-
demente mutilato il testo origiuale di Dione ; perchè , dicono essi ,
moli’ altri benetizj comparti Adtiano agli Ateniesi; perchè a que’
cittadini che leggi chiedevano , un codice diede compilalo sui libri di
Dracone , di Solone e di altri loro legislatori; perchè leggi diede a
tutta la Grecia, come prova una iscrizione pubblicala dal Muratori.
]| decreto di Adriano citalo in questo luogo , nou concerne la Gre-
cia , ma la sola Roma, dove i seualori appaltatori facevausi de’ tri-
buti. Il Brissonio, uou ben si vede su quale fondamento, vu!!e esten-
dere quel divieto a tulli i decurioni dei municipi .
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35o
il sangue vomitasse (i). Serviano poi ed il di lui ne-
potè Fosco (a) , mandò a morte , quello in età di
novant’ anni , questo in età di diciotto , perchè mal
soffrivano quella elevazione. Serviano , pria che scan-
nato fosse , chiesto avendo del fuoco ed abbruciato
quindi l’ incenso , disse : « Voi , Numi immortali ,
che testimonj siete della mia innocenza , di questo
solo io prego ; che Adriano , qualora la morte egli
brami , morire non possa. *> [ E di fatto Adriano ,
lungamente lottando colla malattia , spesso bramò
di morire , spesso colle proprie mani volle uccider-
ti) L. Cejonio Commodo Vero dopo 1 ' adozione fu nominalo L.
Clio Vero Cesare. Genero egli era di Migrino cospiratore conira
Adriano, ma forse perchè bellissimo della persona, fu da Adriano
stesso creato pretore , preside della Pannonia , e due Tolte designato
consale , come dai fasti e dalle medaglie si raccoglie. Adottato fu
nell' anno 888 , mentre console era per la seconda volta , cd ancora
forse trovavasi nella Pannonia.
(a) Serviano, ( malamente in alconi codici ed in alcune edizioni
nominato Severiano ) , era già stato console per la terza volta per
favore di Adriano, del quale sposala aveva la sorella Paolina. Spento
lo volle Adriano come aspirante all’ imperio , secondo Sparziano 5
notano però altri storici che nell’ ultima sua malattia , la mente ben
ferma non aveva , e Lampridio aggiugne eh' egli era pazzo e furioso.
C i Romani col nome di repubblica sempre in bocca , per difetto di
costituzione si lasciavano trucidare da un despota forsennato ! Di
Fosco, nato da una figliuola di Serviano sposa di Claudio Fosco Sa-
linature console nell’ anno 871 , narrasi che illuso da presagi e da
prodigi , sperava di conseguire l’ imperio , ed era per questo da Adria-
no detestato. - Credesi che SerTiauo libazione facesse a Giove Con-
servatore , come fallo avevano Trasea e Seneca , il che è assai pro-
babile ; il Valesio pretende altresì che le esecrazioni o le imprecazioni,
come forse lutti i voli, si pronunziassero sopra il suffumigio del-
l' iueeuso.
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35 r
si (i),* e ancora esiste una di lui lettera, nella quale si
mostra quanto misero sia lo stato di colui che la morte
bramando , non può morire. Adriano (a) stesso giudi-
cato aveva quel Serviano degno del principato. Per-
ciocché in un convito, richiesti avendo gli amici che
dieci persone degne del principato gli nominassero ,
ripensando quindi un istante tra sé medesimo, « no-
ve soli , disse , bramo da voi di. udirne , giacché io
ne ho uno , cioè Serviano ».
XVIII. Fiorivano pure in quel periodo ottimi per-
sonaggi 5 dei più celebri erano Turbone e Simile , i
quali altresì di statue furono onorati. Turbone, uomo
peritissimo delle cose militari, fu prefetto del preto-
rio ; nè alcuna cosa in quella carica sembrò operare
con debolezza , nè con insolenza. Perciocché egli vi-
veva come uno de’ privati , benché tutto il giorno col
principe si trattenesse , e sovente andasse dal medesi-
mo avanti mezzanotte, mentre gli altri tutti comincia-
vano a riposare (3). Per la qual cosa anche Corne-
( 1 ) Opinano alcuni che Adriano consumato fosse da una lenta
tabe polmonare ; cosi il Salmasio, lo Scaligero ecc.
(a) Nei codici di Sifilino scritto è d’ ordinario Trajano invece di
Adriano , il che è grandissimo errore , notato opportunamente dal
Reimaro , giacché Trajano non mai Serviano , ma bensì Neraiio
Prisco destinato aveva suo successore. Era però facile l’avvedersi
di quell’ errore , non solo per quello , che dice Zonara , ma per altri
passi altresì di Dione medesimo.
(3) Marzio Liciano Turbone era già stato familiare di Adriano
a’ tempi del medesimo, prefetto quindi della Mauritania, della Pan-
uonia e della Dacia , e intitolalo ancora prefetto dell’Egitto. Nella
prefettura del pretorio fu sostituito ad Attiano.
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35a
Ito Frontone (i), che primeggiava tra i Romani del-
T età sua nel trattare le càuse , tornando una volta
di sera assai tardi da cena alla sua casa , e udendo
da alcuno, a cui promesso aveva 'il suo patrocinio,
che Adriano rendeva la. giustizia , coll’abito stesso
della cena che allora portava , accostossi al di lui
tribunale e salutollo , non servendosi della frase del
mattino : « Salvo tu sia, » ma di quella della sera:
« Sta bene ». Turbone però non mai fu veduto di
giorno nella sua casa , nè pure infermo. Perciocché
ad Adriano , che lo consigliava di prendere riposo ,
rispose persino che ii prefetto del pretorio morire
doveva in piedi.
XIX. Simile poi , siccome questo per età e per
onorificenza precedeva , così ad alcun primario cit-
tadino (come io reputo) per costumi e per virtù non
rimaneva inferiore , e questo può arguirsi da una
cosa per sè stessa picciolissima. Perciocché centurio-
ne essendo , e chiamato venendo entro la sua ca-
mera da Trajano avanti i prefetti : « indegna cosa
(i) Cretlesi da alcuno quello stesso, del quale abbiamo l'opuscolo
delle differenze dei vocaboli. Questo passo di Dione allude al de-
creto di Adriano medesimo , in fona del quale i senatori e i cava-
lieri romani obbligati erano ad essere sempre togati in pubblico ,
qualora da cena non tornassero. Quindi la vesLe cenatorja , che
altro non era se non una specie di camicia di lino molto ampia ,
nella quale i Romani spogli delle altre vesti si involgevano. - Assai
minuta sembra la distinzione introdotta da Frontone , ( in questo
luogo, non saprei per quale cagione, dal Reimaro detto Frontino ), tra
il saluto matutiao e il vespertino , differenza che forse più sensibile
riusciva nel linguaggio c nell’uso de’ Romani, mentre tra it salve ed
il vale assai diffìcilmente essa può esprimersi in una versione italiana.
i
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353
è, elisa’ egli, o Cesare, che tu parli con un centu-
rione , mentre al di fuori stanno i prefetti ». Lo>
stesso la prefettura dei pretoriani sotto Adriano di
mala voglia accettò, ed accettata avendola la dimise
e alla fine a stento congedato , gli altri sette anni
di vita che gli rimanevano , passò alla campagna , e
al suo sepolcro, morendo, comandò che questa iscri-
zione posta fosse : « Qui giace Simile , la di cui
vita ( tanti ) anni durò , ma egli soli sette anni
visse » (i). '
XX. Adriano però per gravi perdite di sangue co-
minciò a languire , e per quella cagione fu affetto
anche da idropisia. Avvenuto essendo adunque che
anche Lucio Commodo per uno sgorgo copioso e
repentino di sangue rimase all’ improvviso estinto ,
nella sua casa convocò i personaggi principali e più
ragguardevoli dell’ ordine senatorio , e ad essi , gia-
cendo egli nel letto , disse : « A me non diede in vero,
o miei carissimi , là natura un figliuolo ; voi però lo
deste in forza della legge. In questo tuttavia 1’ uno
dall’ altro differisce , che il figliuolo generato nasce
quale piace a Dio; quello che si adotta, alcuno per
(t) Non è ben chiaro, te prefetto del pretorio crealo fosse Simile
sotto Adriano o sotto Trajano ; più verisimile sembrò al Reimaro ,
che intendere si dovesse quel racconto dei tempi di Adriano. Da
alcune parole però di Sparziano , sembra potersi dedurre che non
chiedesse Simile la sua dimissione , ma che Adriano gli desse per
successore Settimio Clare ; e quindi , vergognandosi forse di avere
maltrattato Taziano , o piuttosto Alliano e Simile , ai quali debitore
andava dell’ imperio, te n’andasse nella Campania.
Viotti, tomo IP, I. r ni Si ri uno. - » • • 1 1 «J
■
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354
propria scelta se lo aggiugne. Dal che viene che
dalla natura sovente si dia ad alcuno ira figlinolo
difettoso ed insensato ; dal giudizio scelto viene , e
perfetto nelle sue membra, e del tutto sano di men-
te. Per la qual cosa io da prima scelto aveva tra
tutti Lucio Gommodo , a cui nè pure eguale avrei
potuto bramare un figliuolo. Ma avendocelo tolto
Iddio , altro imperatore io vi ho trovato invece di
quello , e a voi lo dò , nobile , dolce , mansue to ,
prudente , che nulla fare può temerariamente per la
gioventù , nulla negligentemente per la vecchiezza, che
istituito è secondo il prescritto delle leggi , e magi-
strature sostenne secondo il costume de’ nostri an-
tenati. Cosicché nè ignorare può le cose che all’im-
perio appartengono , e di tutte le medesime può ret-
tamente far uso. Dico poi che questo è Aurelio
Antonino, il quale, sebbene io abbia udito essere as-
sai repugnante ad assumere le pubbliche cure , e
lontanissimo tenersi da qualunque cupidigia d’ im-
perio , io non diffido tuttavia , che cura avrà di me
e di voi , e il principato , anche contra sua voglia ,
accetterà. » (i)
XXI. In questo modo fu creato imperatore Anto-
- ' l> «
(l) Trovasi Antonino noraiaato da alcuni T. Aurelio Fulvo, e
questo èra pure il nome del di lui padre ; dalla madre però o dal-
1* avo materno o dall’ava materna, tratti aveva i cognomi di Arrio,
di Bojonio e di Antonino. Nato era Aurelio it giorno 19 di settem-
bre dell’ anno 83^ in una villa presso Lanuvio ; seduto aveva con-
solo nell’ anno 883 , ed era stato da Adriano eletto tra i quattro
consolari, che reggere dovevano l* Italia , poi proconsolo dell’Asia.
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355
nino , il quale prole mascolina non avendo (i), Com-
modo figliuolo di Commodo (a) , ed inoltre Marco
Annio Vero adottare fece da Adriano , oome se vo-
lesse per più lungo tempo designare i futuri princi-
pi. Era però questo M. Annio , che Catilio dicevasi
da prima , nepote di Annio Vero , il quale per la
terza volta era stato consolo e prefetto di Roma ; e
Adriano veramente comandò che Antonino l’ uno e
l’altro adottasse; ma tuttavia Vero preferì all’altro,
tanto perchè congiunto era con esso di sangue ,
quanto per 1’ età , e perché già mostrava indole del-
1’ anima robustissima , laonde alludendo facetamente
al significato della parola romana , anche Verissimo
lo nominava (3). * • .
XXII. Intanto Adriano dall’ acqua intercutanea li-
!.. . »
» . • !.. » •» « • . . i t ; • i»j
(i) Antonino per diritto di adozione l’impero conseguì il giorno
•j 5 di fehbrajo dell’ anno 891 , e , come scrive Capitolino , fu di-
chiarato collega del padre nell’ imperio e nella tribunizia potestà. -
Da Annia Faustina figliuola di Annio Vero, di costumi assai ripro-
vevoli , ottenuti aveva quattro figliuoli , e tra questi due maschi, di
tino dei quali si conserva memoria nelle medaglie greche. Delle due
figliuole I’ una fu moglie di Lamia Silano, l’altra di M. Antonino.
(a) Il Commodo , di cui ora si parla , era figliuolo di quello ,
che già era stato adottato da Adriano % egli portava { nomi di L.
Cejonio Elio Commodo Vero Antonino ; nelle medaglie però non tro-
vasi nominalo se non L. Aurelio Vero Cesare.
(3) Non ben chiara si vede la consanguineità di Vero con Adria-
no ; solo si scorge , che doppiamente riconosceva per avo Trajano ,
perché da questi erano stati adottali tanto il di lui padre Elio Vero,
quanto Antonino, che allora lo adottava. Il nome di Catilio tratto
aveva da un avo materno , console due volte e prefetto di Roma.
Verissimo fu detto non soio facetamente da Adriano , ma anche in
alcune medaglie greche ed in altri monumenti.
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356
berossi veramente con magiche arti e con prestigi (i);
ma ben presto quella tornò di nuovo ad opprimer-
lo. E siccome sempre più peggiorava lo stato di sua
salute , ed egli stesso sembrava ogni giorno morire*
ardentemente bramava di abbandonare questa vit&r*
e spesso chiedeva il veleno o la spada , che da elr
cuno tuttavia non impetrava. Poiché dunque alcuno,
abbencliè danaro ed impunità promettesse , non gli
ubbidiva , chiamare fece Mastare , che un barbaro
era della nazione dei Giazigi , del quale preso in
guerra , per la di lui robustezza ed il di lui ardire ,
servito erasi nelle caccie , e questo parte colle mi-
nacce, parte colle offerte costrinse a promettergli che
ucciso lo avrebbe. Il luogo gli indicò quindi , circo-
scritto con qualche colore sotto una mammella ,
siccome mostrato erasi dal medico Ermogene (a), nel
quale ferito mortalmente con minore doglia morisse.
Non essendo però nè pure questo riuscito, (giacché
Mastare atterrito per timore di quell’ atto fuggì ) *
allora molto cominciò a dolersi , non solo per ca-
gione della malattia , ma ancora perchè darsi non
(i) Mala a proposilo credettero alcuni, che Dione alludesse in
questo luogo alle cure prestate ad Adriano da una donna e da un cieco,
ammoniti dall’ oracolo , in forza delle quali libero fu per alcun tempo
dalle febbri ; ben ai vede, che credulo era Adriano, forse più dell'usato
nell' ultima sua malattia , e che Dione parla dell' idrope, che il Rei-
maro appella sempre acqua intercutanea , e che poteva lasciarlo li-
bero per qualche intervallo , e quindi ricomparire.
(a) Girolamo Mercuriale lesse in questo luogo Archigene invece
di Ermogene, inutilmente però, giacché molli Ermogcni medici no-
minati veggonsi dagli antidii.
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35 7
poteva la morte , che tuttora arrecare agli altri po-
teva (ir); Finalmente trascurò l’ osservanza diligente
della dieta , e facendo uso di cibi e bevande non
al di Ini stato convenienti , finì di vivere , e mo-
rendo esclamò con quelle parole sparse nel volgo l
« Una , turba di medici il re estinse (a)
XXIII. Visse sessantadue anni , cinque mesi , di-
ciannove giorni, regnò ventanni, undici mesi (3))
...... , > .
(i) Molti difatto ordinò allora, che uccisi fossero. Ira gli altri
varj senatori , che Antonino salvò dalla morte , per la qual cosa
credevi -, che il Dome di Pio ottenesse.
(a) Anche Plinio cita un monumento, la di cui iscrittone portava
che la persona in esso giacente , era perita per cagione di una turba
di medici. - !Non dice Dione , ove Adriano morisse: Spantano però
con Capitolino , Vittóre, Eusebio ed altri, narrano che mori a Baja
alla preseosa di Antonino , che chiamalo aveva , mentre da prima
partendo , lasciato avevaio in Roma al reggimento dell’ imperio. Il
solo Eutropio dice in termini più generali, che morì nella Campania.
(3) Anche Aurelio Vittore dice, che morì di sessantadue anni ,
ed Eutropio ed Eusebio scrissero più largamente io età maggiore di
sessantanni. 11 solo Spantano dice, che visse settantadue anni,
cinque mesi, diciassette giorni, ma l’errore dei codici è manifesto,
perchè quello scrittore nato asserisce Adriano il a4 di gennajo del-
P anno 839 e morto il H> di luglio dell’anno 891 , il che presenta
il periodo di sessantadue anni ed alcuni mesi. Secondo Dione, vis-
suto avrebbe due giorni di più, e morto sarebbe nel di 13 di luglio.
Riguardo alla durata del regno , la cronaca Pasquale ed Eusebio la
fanno di anni vent’ nno. Vittore la suppone di ventidue anni, meno
un mese, Eutropio e Spartisco di vent’ uno e undici mesi incirca.
Il Noris preferiva il computo di Eutropio , che porta ventuno anni,
dieci mesi e ventinove giorni di regno , nel qual caso morto sarebbe
Adriano non nell’anno 891 , ma nel seguente, computandosi già as-
sunto I’ imperio da Antonino un anno avanti la di lui morte. Il
Reimaro tuttavia si studia di giustificare il computo di Dione.
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358
seppellito fu presso il fiume medesimo , al ponte
Elio ove un monumento aveva disposto. Perciocché
pieno era il mausoleo di Augusto , nel quale più
non fu seppellito alcuno. Adriano venuto era vera*
mente in odio al popolo, [ che altronde egli aveva otti-
mamente governato ] per le nefande ed indegne uc-
eisioni da esso comandate sul principio ed alla fine
del suo regno. Non era egli per altro inclinato a
questi atti di crudeltà , cosicché avendolo alcuni tal-
volta offeso , contento mostrossi che alla patria loro si
scrivesse, che quelle persone ad esso non piaceva-
no ; e qualunque volta colpevoli trovavansi coloro ,
che figliuoli avevano , la pena loro diminuiva in pro-
porzione del numero de’ figliuoli. [ Tuttavia il Se-
nato per lunghissimo tempo ricusò di attribuirgli
con decreto i divini onori , lagnandosi di alcuni die
sotto il di lui imperio comportati si erano con in-
solenza , e per questo onori conseguiti avevano , i
quali però egli designava di mandare al supplizio ].
* * *
[ Giulio Fabio, sopportare nou potendo la mollezza
del figliuolo , tentò con isforzo di precipitarsi in un
fiume (i)J.
(i) Questo è uno di quei frammenti, che si sono rigettali alla
tino del libro, perobò non sapeva*» come altrimenti collocarli. Di
alcun danno però riuscita non sarebbe la perdita di alcuni di que’
frammenti, come indifferente riesce il trovare questo affatto mutilo,
«die non si saprebbe a quale periodo della istoria riferire. ,
Digiteed bj-GoOgle-
DELLA
35q
ISTORIA ROMANA
D I
DIONE CASSIO
RELIQUIE DEL LIBRO LXX
COI- SUPPLEMENTO
• ' (
DI G IO FAN NI SIFILINO
SOMMARIO
Antonino Pio , succedendo in vigore della adozione,
compie la consacrazione di Adriano : cap. 1 . — •
Ad Antonino si attribuisce dal Senato il cognome
di Pio ( fin qui Dione ) : 1 . — ( ora Sifllino ). Non
f». Antonino molesto ai Cristiani; fu diligente nelle
minime cose ; vecchio placidamente cessa di vive-
re : 3. — Tremuoto che affligge la Bitinia, V El-
lesponto e principalmente Cizico : 4- ~ ( ora Svi-
da) Antonino paragonato a Numa , mite e beni-
gno : 5. — Studioso della giustizia non cerca di
amplificare l’ imperio ; laonde i barbari ad esso
portano a decidere le loro contese : 6 . 7 .
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36o
Anni
PERIODO DELLA ISTORIA.
. ; • 1 >
Anni
Anni
deW Era
di
di
volgare .
Roma.
Antonino.
> 38 .
891. Consoli. - Camerino, e Negro.
1. f io lug.
« 3 g.
892. Antonino Pio Aug. per la seconda
▼olla , e Brntlio Presente. •
li.
i4o.
893. Antonino Pio Aog. per la terza, e
M. Aurelio Cesare per la seconda.
III.
■ 4 * •
894. M. Peduceo Siloga Priscino, eT.
Enio Severo.
IV.
> 4 ».
895. L. Cuspio Aupino , e L. Stazio
Quadrato.
V.
i 43 .
896. C. Bellicio Torquato, e Tib. Clan*
dio Attico Erode.
VI.
* 44 *
897. Avito , e Alassimo.
VII.
» 45 .
898. Antonino Pio Aug. per la IV. , e
M. Aurelio Cesare per la li.
Vili.
. * 4 6 -
899. Ses. Erucio Claro per la li., e Gn.
Claudio Severo.
IX.
* 47 -
900. Largo, e Messalino.
X.
> 48 .
901. L. Torquato per la III., e C. Giu-
*-
liano Vetere.
XI.
> 49 *
902. Sergio Scipione Ofito, e Qu. Nonio
Prisco.
XII.
i 5 o.
9°3- Gallicano, e Vetere.
XIII.
i 5 i.
904. Quintili» Coodiano, e Quintilio Mas-
•
i 5 a.
simo.
XIV.
9 ° 5 - M. Acilio Glabrione, e Jf. Valerio
Omullo.
XV.
i 53 .
906. C. Bruttio Presente, e A. Giunio
i 54 >
Bufino.
XVI.
907. L. Elio Aurelio Commodo, e T. Se-
. _•
> 35 .
stio Laterano.
XVII.
9 ° 8 . C. Giulio Severo e M. Bufino Sa-
■
bimano.. : XVIII.
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36 1
i56.
9°9-
M. Cejonio Silvano , c C. Serio
Augurino. .. . ..
■ • * • • . e
XIX.
el
157 .
910 .
Barbaro, e Regolo.
XX.
i58.
gtt.
Tertnllo, e Sacerdote.
XXI.
*59.
9»*.
Plausio Quiotillo, eStasio Prisco.
XXII.
/ .
160 .
9*3.
T. Clodio Vibio Varo, e App. An-
nio Atilio Bradua .
XXIII.
161 .
9*4*
M. Elio Aurelio Vero Cesare per la
li., e L. Elio Aurelio Commodo
per là II.
1 7 manto
è
I. Dee sapersi che l’ istoria di Antonino Pio non
trovasi negli esemplari di Dione , cosicché è verisi-
mile che una parte di essi sia perita (i). Si ignorano
adunque presso che tutti i fatti della istoria di An-
tonino (a) ; solo si trova che Lucio Commodo , già
da prima da Adriano adottato , morto essendo avanti
Adriano, dallo stesso Adriano fu Antonino adottato e
fatto imperatore (3) , e che non consentendo il se-
nato ad attribuire ad Adriano defunto gli onori eroici
per cagione di alcune uccisioni di uomini illustri, che
comandate aveva ( 4 ) 5 di molte cose, piangendo e la-
• - * » V
(i) Non trovasi cosa alcuna di Dione intorno ad Antonino Pio,
ni negli Estratti dell' Orsino e del Peirescio , ni presso Zonara.
Forse non i ni pure di Dione il frammento di Sfida inserito dal
Leunclavio , del quale si parlerà sotto il capo V. Perita è pure
l'Antoniadc di Gordiano, contenente in 3o libri le istorie di Anto-
nino Pio e di Marco, come ti raccoglie da alcuni passi di Capitolino.
(a) Da questo vederi che SiBlino altre istorie non conosceva se
non quelle di Dione.
, (3) Questo crasi già esposto ampiamente nel libro precedente.
(4) Anche di questo aveva già parlato Dione. Spantano dice aper-
tamente die il senato annullare voleva tutti i di lai alti, uà il nome
0
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36a
mentendosi, nel Senato ragionò, e alfine così disse:
« Adunque nò pure io sarò principe vostro , -se
quello fu ingiusto , a voi avverso , e nimico vostro j
perciocché tutti ;i di lui atti rescinderete, ne’ quali
f adozione mia coutiensi ' » il che udito avendo il
Senato , per reverenza verso Antonino , e in qualche
modo anche per timore de’ soldati , i richiesti onori
rendette ad Adriano (i).
II. Queste cose soltanto intorno ad Antonino presso
Dione rimangono , e così pure eh’ egli Augusto e
Pio dal Senato fu nominato , perciocché al principiò
del sno reggimento , molti essendo rei costituiti , ed
alcuni nominativamente chiesti al supplizio , alcuno
non punì. « Conciossiachè non conviene, diss v egli ,
eh 1 io con questi atti dia principio al mio gover-
no (*) ». Ai cominciamento altresì della istoria di
r • »
aggiudicargli voleva di Divo , se Antonino ottenuto non Io avesse
colie sue preghiere. Capitolino soggiugne che Antonino tra gli Dei
collocò Adriano, tutti ripugnando i senatori.
(r) Adriano era stato da prima seppellito nella villa Ciceroniana
di Pozzuoli, e Antonino un tempio gli aveva già eretto presso quella
città , e giuochi quinquennali e saccrdozj istituiti , ed altre cose
aggiunte a cotto divino appartenenti. Della consacrazione o apoteosi
di Adriano fanno prova alcune medaglie. In Roma pure, al dire di
Capitolino, Antonino gli dedicò uno scudo lavorato con non ordi-
naria magnificenza, ed altri sacerdozj istituì; a questi farse debbono
riferirsi i Piali.
(a) Narrano alenai che Antonino il cognome acquistò di Pio per
avere sorretto nel Senato il suocero cadente per la vecchiezza , il
che non si accorda colla opinione di Dione. Pii delti erano sovente
presso gli autiebi coloro che data avevano qualche prova pubblica
di amore verso i genitori o i congiunti $ quindi il piò Enea eoe. -
I! Senato stesso tratti- voleva al supplizio molti di quelli cbedelpo-
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363
Marco Vero , che dopo Antonino fu imperatore ,
mancano le cose eh’ egli fece a riguardo di Lucio
figliuolo di Commodo (i) , che Marco eletto aveva
per suo genero , e quelle fatte già da Lucio, spe-
dito dal suocero alla guerra che contro Vologeso
facevasi. Per la qual cosa poco io dirò di tutti quei
fatti , raccolto avendolo da libri di altri scrittori ,
poscia passerò alle cose che seguono in Dione.
III. Tutti adunque convengono nel dire che An-
tonino fu uomo giusto e dabbene (a) ; perciocché
nè gli altri sudditi aggravò , nè i Cristiani , ai quali
grande rispetto e venerazione usò , e l'onore accreb-
be col quale erano stati trattati da Adriano (3). Per-
tere abusalo avevano sotto Adriano, e questi Antonino salvò dalla
morte; onde alcuni Pio lo reputarono, perché pietoso verso gli amici
del padre.
(t) Da questo passo si raccoglie non essere già di Dione, ma bensì
di Sifilino , quello che al principio dol libro LXXI leggesi intorno
a Lucio Vero , chiamato alla famiglia ed alla società del regno, e
spedilo alla guerra contro Vologeso. Da questo capitolo si vede ,
quale infelice islorico sia Sifilino , che altri non vide se non Eusebio
e Quadrato, e quindi sterilissima lasciò questa parte della narrazione.
(a) Vittore afferma , che non fu mai macchiato d’ alcun vizio , e
con questo accordasi anche Capitolino.
(3) Checchessia delle lettere , le quali da Eusebio o da Melitone
Sardiano o da S. Giustino martire, si allegano come scritte da Adriano
• da Antonino in favore de’ Cristiani , sembra che Antonino certa-
mente a molle città , specialmente a Larissa , a Tessalouica, ad
Atene ed in generale a tulli i Greci scrivesse, affinchè tumulti con-
tro i Cristiani non si suscitassero. La lettera però di Antonino, che
leggesi presso S. Giustino, in moke cose è diversa da quella riferita
da Eusebio , e probabilmente nè 1’ una , nè l’altra è genuina , ve-
dendosi scambiali persino i titoli degli impelatoti , cosicché non bene
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364
ciocché da Eusebio Panfìlio nella istoria ecclesiastica
si riferisce corta epistola di Adriano , nella quale
gravemente sdegnato si mostra con coloro che i Cri-
stiani molestavano o denunziavano , e per il dio Er-
cole giura di volere contra di . essi procedere. Dicesi
ancora: che Antonino fosse, diligentissimo scrutatore
delle cose , e che nè pure si trattenesse dalla esatta
investigazione delle più minute e volgari,, laonde
coloro che deridere lo volevano , settore del cimino
lo appellavano (i). Quadrato (a) scrive eh’ egli morì
vecchio e che dolcissima gli riuscì la morte , simile
ad un sonno placidissimo (3).
• ' • • Iti
• » t - - » i • *
si saprebbe, se attribuire si dovessero ad Antonino Pio o a Marco.
Alcuni eruditi, e tra gli altri il Fabricio, mostrarono che nò all’uno,
ni alt’ altro possono convenire. Sospetta è ancora grandemente la
genuinità di quella di Adriano, e forse Sili lino bebbe all' ingrosso,
giacchi Adriano stesso in una lettera al consolo Serviatm, conservala
a noi da Vopisco, mostrava di avere cattiva idea de’ Cristiani soggior-
nanti nell’ Egitto. Nè può credersi a Lampridio, il quale suppose che
Adriano ordiuata avesse la costruzione di nn tempio cristiano in tutte
le città; perchè Adriano ordinò solo , forse- per motivo di risparmio,
die i templi nelle città si erigessero senza simulacri.
(i) Xvfiittirf ini» porta il testo letteralmente tradotto, che alcuni
interpretarono per avaro e sordido. Non regge certamente l’opinione
di coloro, i quali appoggiali ad una frase de* Cesari di Giuliano ,
lo credettero micrologo o scarso parlatore. 11 taglio o la divisione
del cimino era modo proverbiale presso gli antichi , indicante la
volontà o la smania di dividere le minime cose , il che direbhono
i Lombardi di spezzare il quattrino. Il grano del cimino vedesi net
senso medesimo nominato come tipo di cosa minima nell’ Evangelo
di s. Matteo. • •
(a) Questi è Asinio Quadralo, che una istoria romana scrisse in
dialetto jonico, comprendente quindici libri . Svida lo nomina Codralo.
(3) Secondo Capitolino, mori d’ anni settanta , secondo Eutropio di
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3(55
1 Y. Narrasi ancora che sotto Antonino nella Bili*
nia e nell' Ellesponto avvenisse orribile tremuoto , c
che per questo molte altre città fossero gravemente
danneggiate e quasi distrutte , e principalmente Ci-
zico ; e che il tempio di quella città , il più grande,
il più bello di tutti quelli che esistono, cadesse (i)
Erano le colonne di quel tempio della grossezza di
quattro cubiti , dell’ altezza di cinquanta , e ciascu-
na di una sola pietra; le altre cose che in quel
tempio vedevansi , ammirare potevausi da chiunque ,
anziché lodare. Narrano -altresì che in mezzo alla
terra ferma , dalla cima aperta di un monte tra-
t #
setlantacinque , secondo Aurelio Vittore di seltaolasetle. Opinano
alcuni , che quest* ultima cifra debba coreggefsi in 6 j , perché lo
stesso numero vedesi esposto nella Cronaca Pasquale; Ina per dir
vero , uon saprei quale fede meritare possa quella Cronaca , nella
quale falsamente si dice Antonino ucciso nel Preconcso, mentre
mori tranquillamente presso Lorio nell’anno di Roma yi 4 - Se nato
egli era il giorno 19 settembre dell’ anuo 839, e mori il giorno 7 di
marzo deli’ anno 914» egli visse settanlaqualtro anni , cinque mesi
e diciassette giorni , il che prova l’ inganno dell’ aulpre della Cro-
naca Pasquale.
(1) Di quel tremuoto, fatale a molte città dell’Asia e di. Rodi,
parlano Capitolino e Zonara ; e Pausania aggiugne le città della
Licia e della Cada , e cosi pure Coo e Rodi. Antonino a queste e
ad altre città accordò liberalmente grandi sussidj. Ma per quello
che riguarda Civico , debb’ essersi stranamente ingannalo il buon
Sifilino , riferendo al tempo di Antonino Pio il tremuoto che av-
venne sotto Marco , e che gravissimi danni arrecò a Smirne e ad al-
tre città Asiatiche. - Là dove io ho tradotto col Reimaro in mezzo
alla terra ferma , potrebbe leggersi invece in una città montana, per-
chè la città trpvavasi sul pendio di un moute detto degli Orsi , al
qtfiale altro moute sovrastava, detto piudimo, e questo probabil-
mente era spaccato in due, o due cime aveva. , / J ; .
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366
boccassc .< l’acqua del mare, c che la spuma del
mare puro e limpido , assai di loutaao gettata fosso
sulla terra. E queste sono le cose , che al presente
raccolte avendo , trovai di poter dire intorno ad An-
tonino. Regnò egli ventiquattro anni (i).
! . s ■ i . ; . . > • ■ i - . ■ ; i • : »
Frammento , di Dione ( o piuttosto di Eu-
tropio, o di Giovanni Antiocheno J, trat-
to da Svida.
' \ . » . » . i . * .* *’ . . ^ ... > < • # * • t
V. Questo imperatore Antonino uomo ottimo era,
e quale per la somiglianza dell’imperio meritamente
può a Numa paragonarsi , come Trajano si parago-
na a Romolo (3). Visse Antonino con grande one-
stà da privato ; nell' imperio mostrassi ancora mi-
gliore e piò modesto } non acerbo , nè molesto con
alcuno , con tutti benigno e mite.
‘I il t . , " . .'*•'* 1
(t) Vittore, ad Antonino assegna venti anni di regno, altri gti danno
veotidue anni e tre mesi , altri ventitré, altri ventiquattro. Com-
putandosi il comiociamento di quel regno dalla morte di Adriano av-
venuta il 10 luglio deiP antro 891, lino al giorno 7 di mano dei pt 4 ,
risulta che Antonino regnò venlidue anni , sette mesi, ventisei giorni ;
e se ancora si volesse cominciare il computo del giorno della adotio-
ne , non mai si arriverebbe at termine di ventiquattro anni assegnato
da Siiti ino.
{3) Queste parole sono tolte da Giovanni Antiocheno, il quale
esattamente le tradusse dalle latine di Eutropio. Non si saprebbe
poi ben decidere col Leunclavio, se Eutropio stesso in origine queste
cose tolte non abbia da Dione . 11 paragone tra Antoniuo e Piuma
trovasi anebe presso Capitolino cd Aurelio Vittore. Opinano alcuni,
che appunto Delle medaglie di Antonino si vegga la vergine Vestale ,
perché le Vestali istituite furono da Ninna.
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367
VI. Nelle Cose militari , la gloria cercando piutto-
sto colla giustbia die col guadagno' (1) , studioso di
difendere le provincie anziché di ingrandirle ; sce-
gliendo , per quanto gli era possibile , uomini giustis-
simi , a’ quali 1 ’ amministrazione della repubblica si
confidasse ; onorò i buoni presidi , gli iniqui scorta
alcuna asprezza dalle pubbliche cure rimòsse.
VII. Adunque non solo ai suoi , ma ancora agli
stranieri oggetto era di ammirazione per modo che
molte nazioni de’ barbari confinanti , deposte le ar-
mi , a questo imperatore portavano le loro contro-
versie e le loro liti , ed attenevansi alla di lui sen-
tenza (2). Ricchissimo egli avanti di assumere lo im-
(t) Osserva Capitolino, che il solo Antonino dal canto suo visse
senta spargere sangue nelle guerre civili o nelle straniere. Quello
scrittore ammette però , che forzato fu a far guerra per mezzo dei
suoi legati a molti popoli , cioè ai Britanni, che vinti furono da Lol-
ita Urbicio , ai Mauritani, che poi la pace domandarono , ai Ger-
mani , ai Daci ed ai Giudei ribelli , oltre le sollevazioni compresse
nell 1 Acaja e nell’Egitto, e i tenutivi spesso frenali degli Alani.
Alcune medaglie rammentano i re dati ai Quadi ed agli Armeni ,
la Brilannia pacificata, il titolo di imperatore ad esso dato per la
seconda volta. Nelle Transazioni filosofiche si espone una inscrizione
scoperta nell’ Inghilterra , nella quale si nomina la legione VI vin-
citrice sotto Antonino.
(a) Anche Vittore dice, che i re, le nazioni, i popoli, temendolo
ed auandolo , come padre 0 patrono , piuttosto che come signore o
imperatore, lo riguardavano. Soggiugne , che conoscendo la di lui
giustizia, legati spedirono gli Indiani , i Battriani e gli Ircani. Secondo
Capitolino, tornò Farasmane in Roma, e portò ad Antonino maggiori
donativi, che recati non aveva ad Adriano. Nola pure, che Anto-
nino ai Ladi diede re Pacoro ; che il re dei Parli col solo scriver-
gli , trattenne dalla guerra cootra gli Armeni ; che il re Abgaro colla
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368
perio , le sue ricchezze tutte veramente diminuì cogli
stipcndj accordati a’ soldati , e colle sue liberalità
verso gli amici ; 1’ erario pubblico però lasciò opu-
lento (i).
sola autorità allontanò dalle parti dell’ Oriente ; che le canse di varj
re terminò, c specialmente quella di Rimelalce, che ristabilì nel
regno Bosporano.
( 1 ) Capitolino parla a lungo della di lui liberalità coi soldati ,
col popolo , coi fanciulli , coi poveri , cogli infelici , coi retori e coi
filosofi ; Pausania di quella usata verso i popoli e le città.
-d 'OflWrtlioq WitJWtqgtì cdtyip «; . u.i
-ili-, ini il> ni. f. inni /siuiiip. ,ba, . jjù* tnol ni o aiu
-ai. i.l •s-iicnot'i. ib»iiriKi« i'-u oinijeiilwifl ,.<cl csna)
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-U>A i.ft -f*f»oii»l »♦ > «ili* in io: « « iloqo<i uloai Jt
FINE DEL TOMO IV. DI DIONE , I I. DI SIFIUNO.
..'de il.-’* 1 .* ij. i; J i } , oiiÌtì.t ■* ■>.
, ì>jb •»-. iV»ity I» net» p t . uc.lcMvnv jucalA.
«I r.q o;ei> >>«? Lt tiTrt-taqnu itr,,^L>iu li .*;e- nuij.t U si
anutiiioaitv san ai'-x;* - . is-oilvf jAJ.T'iàjoii'.'Oiui'l.' -.Ilo/I .citar nI.tio.i4
• ai- li auott,i! si «tutina u. *ii q* ULu -, ei.vlUiuul ’lWt*. e»--.qo >«
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sthin- aieaft^Ajs ^»:- uisrsi;., tir, «imo .S**3"3 r'Jeb #euj.*i*ii %
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36 9
SPIEGAZIONE
delle Tavole che ornano il presente tomo.
TAVOLA PRIMA
Numero i.
\
Nerone.
Medaglia di bronzo rappresentante la testa laureata di Ne-
rone colla leggenda : sero. Chi fd. cassar. a re. ce r. p. ai.
TR. P. IMF.
Numero 2.
Nerone Citaredo.
\
Egli è questo il rovescio di una medaglia di Nerone esposta
dal Pitisco nelle sue note a Svetonio ed anche da altri , nella
quale si vede quell’ imperatore con lunga tunica variegata , che
scende fino ai piedi , con cingolo alla maniera de’ Greci , e
una clamide che vela le braccia fino al gomito, e con la cetra
sospesa ad un balteo 0 ad una fascia , come viene descritto
quelf abito da Apule jo , da Temistio , da Filostrato ed anche
nelle note a Siflino. La leggenda porla: poxtif. max. tr.
FOT. JMP. P- P.
Numero 3.
Altro rovescio di Nerone Apollo.
Questo è il rovescio di una medaglia greca , nella quale si
VioKE t tomo IV, Z.° di Sin lino. ai
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3^0
vede Nerone colf abito stesso di citaredo , forse più dignitoso,
e con maniche più corte alla clamide. La leggenda greca è la
seguente , se pure è stala fedelmente riferita dal Pitisco : NE-
PQNI AIT0.AA0NI .• A Nerone Apollo.
Nomerò 4 *
Nerone ed Ottavia.
Veggonsi in questa medaglia le due teste riunite; quella di
Nerone ha una stella su la fronte i quella di Ottavia il segno
della luna crescente. Legenda: vero. clavd. cjes. avg. imp.
octakia. Are.
Numero 5 .
Galba.
Testa di Sergio Sulpizio Galba in medaglia di bronzo. Leg-
genda: IMP. SER. GALBA . AEG.
Numero G.
Rovescio di Roma rinascente.
Vedasi la fgura di Roma con toga militare ed elmo , un"
aquila legionaria nella sinistra , ed m simulacro della Vittoria
nella destra. Intorno leggonsi le parole: Roma rrnasc. Visi
veggono pure le lettere s. c. Senatus Consulto.
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TAVOLA SECONDA
Numero i.
Ottone.
Medaglia dell ‘ imperatore Ottone in bronzo portante la di lui
testa, e la leggenda : imp. m. otbo. cms. Are .
Numero 2 .
Poppca Sabina.
Medaglia greca portante la testa di questa donna , dal Pi -
tisco riferita sotto la vita di Ottone , perchè fu da prima sposa
di questi , poi di Nerone. La leggenda greca , se pure è esal-
ta , è la seguente-. noniIAIA NEPQNOZ 2EBAZT0T : Pop-
pea di Nerone imperatore. ,
Numero 3.
Vitallio.
Testa di Vilellio laureata. Leggenda: a. vitelli rs cerm.
imp. Are. p. m.
Numero 4-
Figliooli di Vitellio.
Teste dei medesimi, poste luna di contro all’ altra in una me-
daglia iT oro pubblicata dallo Spanemio e dal Pitisco. A sinistra
nella stampa vedasi il maschio , alla destra la femmina. Leg-
genda : liberi Are. germav., malamente nelle note del Pi-
tisco esposta : liberi imp. germ. avg.
Numero 5.
Vespasiano.
Vedasi in questa medaglia rappresentato l'imperatore Ve-
spasiano con ma parte del busto , ed a canto il figliuolo Tito.
La testa di Vespasiano è laureata. Leggenda : tespas.cms. Are.
Numero 6 .
Domi lilla.
Testa velata di Domitilla moglie dell’ imperatore Vespasiano,
morta però avanti che egli giugnesse all imperio. Leggonsi al-
V intorno le parole ; Dir A. domitilla. a rGfSTA.
372
TAVOLA TERZA
Numero 1 .
Tito.
Testa di Tito laureala in medaglia di bronzo , colla leg-
genda : T. CMS. IMP. rESP. POST. TX. POT.
Numero 2 .
Gioii» di Tito.
Testa della medesima riccamente ornata , e quale conveniva
a donna che lodata non fu per la sua pudicizia. Figliuola era
questa di Marcia Furnilla , seconda moglie di Tito. Medaglia
di bronzo colla leggenda: irti a. jmp. t. Aro. r. ArorSTA,
cioè : Titi Augusti Fili» Augusta.
Numero 3 .
Domiziano.
Testa laureata in una medaglia di bronzo colla leggenda :
IMP. CMS. DOMIT. Are. GERM. COS. XI. CESS. PER. P. P.
Numero 4 .
La Giudea sollevata dal tributo.
Vedesi una palma eccelsa con frutti pendenti in mezzo alle
lettere s. c. , simbolo della Giudea anche nei rovesci di Ve-
spasiano , ove leggonsi le parole: ir dm a capta - ir dm a
nxriCTA. In questo rovescio invece , riferito dal Pitisco e da
altri, leggonsi le parole: fisci irnAici calrmsia stblata.
Numero 5 .
Nerva.
Medaglia in bronzo rappresentante la testa di Nervo lau-
reata , colla leggenda: imp. serra, cms. Aro. cerm. p. m.
tx. p. p. p.
Numero 6.
Trajano.
Testa parimenti laureala di Trajano , colla leggenda : imp.
CMS. SERRA. TRAI A S. ArG. GERM. P. M.
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3 7 3
TAVOLA QUARTA
NuMIBO I.
Adriano. ' •
4
JHe daglione in bronzo con testa laureala di Adriano. Intorno
le parola n abbia ir rs Arorsrrs. Si presenta pure il rovescio
bellissimo di questa medaglia collo stesso Adriano portante il
globo nelle mani in carro tirato da quattro lioni , e sotto le
parole: cos. il. p. p.
Nummo 2 .
Antonino Fio.
Medaglione di Antonino Pio riferito dal Buonarroti , con
testa laureata e la leggenda : astoiunps a re. Pirs. P. P.
ts. p. cos. III. •
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■
374
TAVOLA QUINTA
Antinoo.
Superbo medaglione in bronzo di Antinoo , favorito di Adriano,
colla leggenda : ANTJNOOC HPQc . Il medaglione è coniato
in Nicomedia , e nel rovescio unito si vede il toro colle parole
alf intorno: H. MHTrOIIOAlS NEIKOMEAEIA.
Questo è uno dei numerosi monumenti, dalla più vile adu-
lazione consacrati all'infamia perpetua di Adriano ; e tra le
medaglie e una delle più belle e più degne di osservazione.
Non è strano che il medaglione più vistoso battuto fosse in
Nicomedia , cioè , come il Buonarroti ha notato , in Nicomedia
della Bitinia , giacché in quella provincia nato era f oggetto
delle moslrimse libidini di Adriano.
TAVOLA SESTA
375
Naumachia.
Più volte si è parlato nelle istorie di Dione e nelle note
aggiunte a Sfilino, delle Naumachie, 0 sia de’ combattimenti
navali esposti nell? anfiteatro 0 nel bosco di Augusto , cioè nello
stagno vicino , 0 in altri luoghi da diversi imperatori , special-
mente da Nerone e da Domiziano. Ci è sembrato adunque opportu-
no lo esporre una Jigura di questo singolare spettacolo, del quale
a stento potrebbono i lettori al di d’ oggi formarsi un idea.
Una diligente delineazione della Naumachia , tratta da al-
cuni bassi rilievi e da altri antichi monumenti , è stata dal
Pitisco esposta nelle sue note a Svetonio , e chiude appunto la
vita di Domiziano ; e questa è quella stessa che si è da noi
riprodotta. Vedesi in essa tutta la Romana magnificenza svilup-
pata nel grandioso anfiteatro , ed è d' uopo notare in questo
luogo , che anche intorno allo stagno , detto di Augusto, e lontano
dal? anfiteatro e dal circo, eransi costrutte all'intorno opere
maravigliose , benché fossero di legno, e portici, e loggie , e
gradi , e porle d' ingresso e di uscita , onde nulla mancasse
stila decenza dello spettacolo ed al comodo degli spettatori.
Veggonsi negli spazj frapposti tra gli archi 0 le volle , che
in altra occasione servilo avrebbono di carcere , veggonsi dissi,
le bocche per le quali sgorgano le acque del Tevere ad in-
nondare l'arena. In questa scorgonsi non meno di diciotto navi,
alcune già azzuffale tra di esse , altre che stanno per entrare
in battaglia. Agitate da remi numerosi, veggonsi alcune correre
velocemente al loro destino , mentre laddove già attaccala è la
mischia, alcune sembrano rovesciate su i fianchi e pericolanti,
ed alcuni pure si ravvisano dei soldati caduti , che a nuoto
cercano di salvarsi. La prora e la poppa di quelle navi vedesi
riccamente ornata, e su tutte sventolano le diverse insegne.
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376
colle quali indicavansì diversi partiti, distinti sovente coi no-
mi di diverse nazioni , come , per esempio , degli Ateniesi o
dei Persiani. In alcune veggonsi i soldati coperti interamente
dai loro scudi , e pronti in questo modo a respignere qua-
lunque assalto ; in altre si ravvisano tibicini 0 suonatori di
trombe , o di altri strumenti guerrieri da fiato. 'Tutte poi le
forme di quelle navi pigliate sono dai bassi rilievi, dalle me-
daglie , dalle pietre incise 0 da altri antichi monumenti , nei
quali biremi , 0 triremi, 0 quadriremi vengono rappresentati.
Sul podio e sui gradini vedesi una turba grandissima di spet-
tatori , e nelle loggie più distinte possono credersi distribuiti
i senatori ed i cavalieri romani, come T edifi zio posto in fac-
ciata alT. ingresso , può credersi destinato agli imperatori ed al
loro corteo. Altrove non potrebbe forse acquistarsi una idea più
compiuta di un genere di spettacolo , che ai tempi nostri invano
si cercherebbe di rinnovare 0 almeno non si potrebbe esporre,
se non in modo assai lontano dalla grandiosità e magnificenza
degli antichi Romani.
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3 77
INDICE
• . • • •.: i * —
fc i ,
DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO TOMO
Notiiie di Giovanni Sifilino e delle diverse edizioni c Versioni
della atta Epitome ’
■r P°S-
DELLA ISTORIA. ROMANA DI DIONR CASSIO COMPENDIATA
. . DA GIOVANNI SIFILINO.
LIBRO LXI.
Cip.
I. Nerose assume lo imperio . . •
—
II. Prodigi che lo avevano annunzialo.
. » l5
—
III. Da principio seconda i consiglj della madre , la
quale però 8cneca e Burro allontanano dalla ~
1 4 1 *t
cura de’ pubblici affari. ....
—
IV. Libidine e prodigalità di Nerone . .
• • "
— f *
V. Conliuuaaione ........
— VI. Morte di Sitano . . ....... n 43
— VII. Amori di Nerone con Atte; uccisione di Bri-
tannico . . . . ’ ’ . . . » aS
— ’ Vili. Discordie di Nerone con Agrippina. . : . n 37
— IX. Come Nerone cominciasse a dare segni di pania. » a8
— - X. Dei vizj e delle libidini di Seneca il filosofo. » 3o
— XI. Amori di Nerone con Sabina » 33
— XII. Sabina consiglia a Nerone di far perire Agrip-
pina . » 35
Jìioiie, tomo IV, Pi StFluKO. al
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3 7 B
Co.
XIII. Uccisione di Agrippina ...>... pag.
33
—
XIV. Cose avvenute dopo la di lei morte ...»
il
—
XV. Effetti prodotti da quella morte in Roma. Co-
stanza di Trasea Peto »
33
—
XVI. Ritorno di Nerone in Roma. Prodigi. . . »
3 9
_
XVII. Uccisione di Domizia. Spettacoli ... . »
4 i
_ _
XVIII. Continuazione de 1 disordini di Nerone. . » »
43
45
46
XIX. Feste Gioveaali »
XX. Nerone suonatore di cetra. Soldati Angustali. »
—
XXI. Altri spettacoli »
48
LIBRO LXII.
Co*
I. Prodigi che annunziarono la sconfitta dei Ro-
mani nella Briiannia »
5x
_
11. Condotta tenuta dai magistrati romani nella Bri-
tanuia. Insurrezione di Bunduica. . . . »
5a
III. Discorso di Bunduica ai Britanni. ...»
54
55
•—
IV. Continuazione di quel discorso .... »
V . Continuazione »
il
mmam
VI. Conseguenze di quel discorso , e nuova invo-
castone di Bunduica agli iddìi »
59
_
VII. VÌLlorie di Bunduica. Crudeltà dei Britanni* »
Gì
—
Vili. Paolino tornato dopo la conquista dell’isola
S
Mona, si dispone a resistere »
IX. Allocuzione del medesimo ai snidati ...»
64
m
X. Allocuzione ad altro corpo dell’armata. . »
—
XI. Allocuzione del medesimo al terzo corpo del-
l’armata »
65
—
XII. Battaglia e vittoria riportata oontra i Britanni.»
66
—
XIII. Nerone fa uccidere Ottavia e Burro. Di Burro
e di Tigellino . »
68
—
XIV . Uccisione di Plauto e di Pattante ordinata da
Nerone »
.7°
—
XV. Convito sordidissimo apprestalo da Tigellino in
occasione de’ giuochi solenni. .... »
7*
—
XVI. Come Nerone la città incendiasse. ...»
73
—
XVII. Circostanze dell’ incendio »
74
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3 79
C/L».
XVIII . Condotta tennis da Nerone durante l’incendio, pag. ?5
XIX. Valore di Corbulone. Condona da esso tenuta
_ nell'Armenia i»
77
XX. Guerra da caso sostenuta contri Vologeso e Te-
ridate »
79
—
XXI. Continuazione delle guerre de' Romani ncll’Ar-
■nenia . • . • • n
8 i
—
XXII. Trattative di Corbolona con Vologeso . . »
83
XXIII. Patti stabiliti »
84
—
XXIV. Congiura ordita contra Nerone . . . . »
86
—
XXV. Seneca viene tratto a morte »
«7
—
XXVI. Uccisione di Sorano e di Trasea. . . . n
89
—
XXVII. Altre Decisioni. Morte di Rufo Musonio e di
Sabina »
9»
amm
XXVIII. Mollezza di Sabina. I.ihidinn sfrenata Hi Ne-
rone • •
9*
—
XXIX. Relegazione di Cornuto * »
94
LIBRO LXIII.
Ci».
I. Nerone gareggia tra i Citaredi. Arrivo di Te-
ridate in Roma ......... n
97
—
II a Accoglienze fatte a Teridate n
9»
—
HI. Giuochi celebrati in Pozzuoli ..... n
99
—
IV. Teridate in Roma riceve da Nerone il dia-
dema »
ivi
—
V. Continuazione. Circostanze di quella cerimonia »
100
—
VI. Falli consecutivi. Giuochi e spettacoli pub-
—
blici ............ n
ini
—
VII. Ritorno di Teridate nell’Armenia. Vologeso
ricusa di recarsi da Nerone n
io3
—
Vili. Viaggio di Nerone nella Grecia , intrapreso ad
oggetto di diventare vincitore Periodonico . »
104
—
TV- Condotta da esso tenuta nella Grecia . . »
io5
—
X. Acclamazioni fatte a Nerone citaredo . . »
107
—
XI. Nerone unitamente a Tigellino devasta la Gre-
eia » io3
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3So
Cxr.
XII. Roma intanto è devastata da Elio. Roberie di
Policleto e di Crispinilla .... y . pag. 109
XIII. Mone da Nero 0 e contratte con Sporo e Pita-
gora ; tue oscenità . . . *. . . . . » 1 1 1
XIV. ' Corone ottenute da Nerone ; suo sdegno con-
tro Apollo . : . . *. . . . 1 . : . ' . » ira
XV. Odio che Nerone portava al Senato , . . » ni
•XVI. Scavamento dell* istmo del Peloponneso. . »> ir5
XVII. Eccidio degli Scribonii e di Corbulone . . n 116
XVIII. Di Paride e de^Sulpizii . . . ' . . » 117
XIX. Elio sollecita NèrOne a tornàre in Roma . n IlS
XX. Ritorno di Nerone. Corone portate nel suo in-
gresso , cd applausi del popolo . . . . n 119
XXI. Giuocbi Circensi. Nerone canta nel teatro, e
• gareggia nel corso de* cocchi ..... n no
XXII. Cospirazione di Vindice contra Nerone. Di lui
allocuzione ai soldati . . . . . . . a iai
XXIII. Galba viene dall’ esercito proclamato impera -
tore . » ia4
XXIV. Rufo si muove contra Vindice. Conferenza tra
que’ due duci. Morte di Vindice . . . » (Vi
XXV.- Rofo, Cesare ed Augusto appellato, ricusa lo
imperio » T a5
— XXVI. Dissolutézza di Nerone in Capua. Prodigi . n ti 6
*— XX Vii. Spavento conceputo da Nerone all’udire la ele -
■ zione di Galba. Egli fugge dalla città . . » 128
— ■ XXVIII. Tremuoto in Roma. Disperazione di Nerone » i3o
— * XXIX. Situazione del popolo romano. Morte di Ne -
rone . i .... n i 3 i
LIBRO LXIV. 1 '
' 1 *" ■ ” -p.— / r> . * ! f •
C kv. I. Auguri fatti a Galba. i. ‘. T . » i35
**— lì. Di lui avarizia, insolenza dei liberti, di Nin -
fidio , di Capitone » i3fi
~* III. Di lui ingresso truculento nella città; suppli -
zio de* Neroniani. . ■ • « i38
*~* IV ■ Della sedizione di Vitellio contra Galba . . n i3g
1
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3 7 3
Cai,
V. L. Pisene Cerne «dottato da Galba . O ttone
VI.
Morte di Galba e di Pisone . ... . . »
—a
• VII.
Ottone assume l’ imperio con infelici auspicj,''
Vili.
Condotta da esso tenuta, di lui costumi. . »
IX.
Insolenza dei soldati. Pseuiìo Nerone . «»
—
X.
Combattimenti di Ottone e Vitellio presso Cre-
mmmm 1
XI.
mona • • • * • • • • . • . * . . . »
Annunzio della battaglia perduta recato ad Ot-
XII.
Ottone risolve di morire a
XIII.
Di lui allocuzione ai soldati »
_
XIV.
Come Ottone da sé stesso si uccidesse . . »>
XV,
Rapacità di Valente .........
-
. . . 'i . - .
LIBRO LXV.
Cap.
1
I.
Vitellio viene proclamalo imperatore ; gli se-
chi pasce dello spettacolo de’ gladiatori e dei
soldati trucidati ; gli aslrologi caccia dalla
Italia • »
* _
II.
Lusso di Vitellio nella casa . ne* banchetti ,
nelle suppellettili , nella pompa quasi ridi-
cola »
III.
Continuazione. Di lui prodigalità .... »
IV.
V.
Altre di lui ridicolaggini . . . . . . n
«A
VI.
Cose io esso reputate lodevoli. . ■ . . . n
—
VII.
Continuazione. Condotta da esso tenuta nel Se-
. nato ■>
** A
Vili.
IX.
Prodigi di sinistro augurio. I soldati dichiarano
imperatore .Vespasiano ....... . . . »
Muciano viene da Vespasiano mandato contra
Vitellio. Primo si muove spontaneamente con*
«Ai
l À?
iJS
xJ6
tra Vitellio colla sue truppe »
X. Allieno viene da Vitellio eletto comandante in
quella guerra , e fallosi autore della disersione
i63
■ 65
Dio* e, tomo IV, I.° m Si piu* q .
•a5
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3 7 4
Cap.
delle troppe, tiene Arrestato dai soldati me-
desimi che se ne pentono pan. tCS ,
XI. Prodigi. Battaglia tra i Romani dell* uno e
dell 1 altro partito 168
XII. Continuatione. Accanimento dei combattenti » 169
XIII. Continuazione. Avvenimenti singolari di quel
conflitto ........... n 170
XIV. Sconfitta dei Vitelliani. Quegli si ritirano in
Cremona e si arrendono 173
XV. Calamità dalle quali sono oppressi i Cremo-
1 nesi l ?3
XVI. Agitazione ed incostansa di Vitellio . . . t> i ?4
XVII. 11 Campidoglio tiene abbrucialo , .mentre si
vuole assalire Sabino 176
XVIII. Sciagure della città di Roma, occupata dai
duci di Vespasiano 178
XIX. Continuazione. Pugna attenuta nella città me»
desima. 0^179
XX. Vitellio tiene preso. Insulti fatti alla di lui
persona n 180
XXI. Come Vitellio perisse . «5 181
XXII. Come perissero il fratello ed il figliuolo di Vi-
tellio i8a
LIBRO LXVI.
Cap. I. Vespasiano fatto imperatore, era stato indicato
anche per messo dei prodigi » • «
• Il
186
—
II. Insolenza di Muoiano e di Domisiano •
• »
187
—
111 . Rubeliione dei Germani
• M
189
—
IV. Di Gerosolima presa da Tito. Disposizioni
fatte
per 1’ assedio
>9'
—
V . Avvenimenti di quell’ assedio ....
—
VI. Continuazione. Assalirneulo del tempio .
*94
—
Vile Distruzione della città. Disposizioni cousecu—
live ...........
ij 5
—
Vili. Vespasiano in Egitto raccoglie quantità di da-
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Cap.
turo. Odio conceputo con tra di t»W dagli
Alessandrini pag. icfì
IX. Vespasiano ghigne in Roma. Tratta i Romani
cortesemente. Gli astrologa caccia dalla città „ 199
X. Opere pubbliche da esso incominciate. Ordine
di vita da esso stabilito 200
XI. Condotta da esso tenuta in privato e in pub-
blico » non
XII. Licema di Elvidio Prisco ao 3
XIII. Vespasiano fa partire da Roma tutti i filosofi,
e comprime la licenza di alcuni stoici . . „ ao 5
XIV. Per messo della concubina Cenide. e anche da
sfe stesso. Vespasiano accumula danaro. . „ ao6
XV. Si erigono il tempio detta Pace etl il Colosso.
Berenice viene congedata; i Cinici sono pu-
niti » ao8
XVI. Supplixio di Giulio Sabino. Allieno e Marcello
congiurali sono tratti pure a morte . . . „ aio
XVII. Come Vespasiano morisse aia
XVIII. Della dementa di Tito Cesare Augusto . . „ aij
XIX. Condotta da esso tenuta nel principato . . „ ai6
XX. Guerra insorta nella Britannia , che allora sol-
tanto si scorge essere un* isola . ... M 317
XXI. Come il monte Vesuvio ardesse. Descrittone di
quel monte aig
XXII. Circostante di quell’ incendio aao
XXIII. Continuatione. . . ,, aai
XXIV. Incendio di Roma . . . . • . • • „ aa 3
XXV. Spettacoli esposti da Tito . . . . . . „aa 5
XXVI. Morte di Tito •», 337
LIBRO LXVII.
Cap. 1. Indole crudele di Dominano. Condotta da esso
tenuta avanti di ascendere all’ imperio . . „ a 3 t
— II. Continuazione ; odio suo conira il padre ed il
fratello . . . „ a 3 a
— III. Egli repudia Domizia , amoreggia Giulia, man-
da a morte le Vestali . . » a 34
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Cìp-
385
IV Patria di Trajano e di lai elogia. Morte di
Nerv. . pag. W
V. Come Trajano cominciasse l’imperio . . » *74
VI. Trajano intraprende la guerra conira Dece-
. . baio, a questi terribile, caro ai suoi „ ^5
VII. Di lai opere pubbliche. Di lui cortesia ed affa-
bilità. Di lui vizj . • • • v • *» 577
Vili- Trajano pince i Daci e giugno alla loro reg-
gia. Umanità di Trajano . • L - • • •» ^9
IX Di lai trattati-re con Decebalo. Di lui ritorno
in Italia , * * \ ’’ a8 °
X. Trionfo di Trajano. Spettacoli. 'Altre atiom
di quella imperatore. Decebalo è di nuovo
dichiarato nemico di Roma . • ... >>
XI. Nuova guerra contra i Daci. Tradimento di
Decebalo ‘1 ,...•••••• *• a8 +
XII. Continuazione. Atto eroico di Longino. Con-
■ dotta tenuta da Trajano • ’ a85
XIII. Come Trajano un ponte di pietra gettasse su
_ , . . . e e a* 2oG
Danubio »•••**
XIV. Morto Decebalo, i Daci sono ridotti in pro-
vincia, l’Arabia viene occupata. Ritrova-
mento dei tesori di Decebalo . • • ” 3
XV. Legazioni diverse. Via aperta nelle paludi Pon-
tine. Condotta tenuta da Trajano con Li-
. . c ,,39<>
cimo oura ..*•••
XVI. Statue erette ad uomini benemeriti. Colonna
Trojana • * ^
XVII. Spedizione intrapresa contro 1 Parti per il
scacciamento di Esodare dall’ Armenia , e la
intrusione di Partamasiri • • • • • »» 19 *
XVIII. Trattative con Augaro. Avanzamenti di Tra-
jano. . 29
XIX. L’ Armenia viene tolta a Partamasiri. Questi
si porta al campo di Trajano • • • • »> a ® 7
XX. Continuazione. Partamasiri viene spoglialo e
congedato
XXI. Come Augaro Osroeno da Trajano perdono
impetrasse .
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386
Cu.
XXII. Di Mani e Man itati spediti ambasciatori «
Trajano
XXIII. Trajano dichiarato ottimo, presa avendo Ni-
sibe ed Ecbaiana , Panico viene nominato „
XXIV. Di un grande terremoto che ebbe luogo ad
Antiochia .
XXV. Continuatone. Circostame di quell* avveni-
mento. Calamità orribili di que’ cittadini ,,
XXVI. Trajano , raggiunto avendo il Tigri, s'impa-
dronisce della Adiabene , della Mesopotamia
e di Babilonia ■ . , , ■ . ,,
XXVII. Lago di bitume. Mefite, o antro mefitico.
Altri antri simili
XXVIII, Tentata immissione dell’ Eufrate nel Tigri.
Vanità di quel tentativo. Trajano entra in
Ctesifonte. Di nuovo fc detto Panico. Vuole
scendere nel mar fiosso .......
XXIX. Trajaoo medita la conquista dell’ India. Molle
regioni perde e ricupera. Arco trionfale a
Trajano eretto «
XXX. Massimo e Desio spediti sono contra i ribelli.
Morte del primo , vittorie del secondo. Tra -
jano dà ai Pani un re
XXXI. Combatte invano contra gli Atreni. Ostacoli
da Trajano incontrati. Egli parte e si in -
ferma
XXXII. I Giudei rubellati nella Cirene, nell'Egitto,
in Cipro, da Lutio principalmente sono do-
mati. Kotisie di Lusio . ......
XXXIII. I Parti cacciano il re che loia era, stato. dato
da Trajano. Questi muore in Selinunte. „
3ui
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LIBRO LXIX.
Cu. I. Adriano non adottato da Trajano, per favore di
Plotina, succede nello imperio . . . ■ ,, 3aa
«— li. Prodigi che la di lui elevatone annunciarono.
Cominciamento del di lui imperio. Uccisione -
di personaggi illustri 3?4
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38 7
III. Studj ed erudizione di Adriano. Di lai invidia
ed avversione ai sofisti pag.
IV. Continuazione. L’ architetto Apollodoro viene
messo a morte d'ordine di Adriano. Opinioni
di questo
intorno alcuni scrittori greci più
antichi .
V. Di Ini visj e virtù. Di Ini curiosità. Dolcexsa
« liberalità del medesimo. Favori da esso a
varie città compartiti «■
VI. Condotta da esso tenuta a fronte del popolo ro-
mano. Umanità da esso mostrata con alcuni ,»
VII. Del modo in cui la giustizia amministrava. Con*
dotta da esso tenuta nella società ed anche
coi suoi cortigiani
Vili. Condono di alcune gravezze fatto al popolo ro-
mano. Generosità di Adriano negli spettacoli ,,
IX. Cominciamento dei viaggi di Adriano. Cura che
egli si prende della militare disciplina ■ „
X. Continuazione. Di lui amore perla caccia. Onori
da esso rendati a Plotina defunta ■ ■ . „
XI. Sepolcro di Pompeo ristabilito da Adriano. Onori
da esso renduti alla memoria di Antinoo . „
XII.. Cominciamento della guerra giudaica. Cagioni
della medesima. Preparativi degli Ebrei alla
guerra , . . . . . . . . .
XIII. Continuasione. Imprese di Severo contra i Giu-
dei „
XIV. Conseguenze di quella guerra. Prodigj che an-
nunziale avevano ai Giudei le loro sventure.
Severo viene mandato nella Bitinia ■ .
XV. Guerra degli Albani. Venula di diversi legali
e di Farasmane in Roma. Onori accordali a
Farasmane
XVI. Opere pubbliche erette in Atene. Favori da
Adriano compartiti agli Ateniesi. Sue leggi.
Suo ritorno in Roma . „
XVII. Infermità di Adriano. Uccisione di persone il -
lustri. Tristo augurio fatto da una di esse ad
Adriano . ; . . . , . , , . . „
3*7
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33i
333
334
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336
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340
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344
340
347
349
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388 .
Co. XVIII. Elogio di Turbone . . . . . . pag. 35 1
— XIX. Elogio di Simile . . „ 35a
— XX. Continuazione delia malattia 'di Adriano. Egli
adotta Aurelio Antonino . . . . . „ 353
— , XXI. Adozione di Commodo e di Anuio Vero . „ 354
— - XXII. Agitazione di Adriano ansioso di morire. Ten -
tarivi da Ini fatti per farsi uccidere. Di lui
merle « . ■ . . . . ». . 355
«— XXIII. Durata del di lui regno. Di lui seppellimento.
— • Osservazioni sul di lui carattere. Frammento
' . aggiunto al libro ... . . ■ . „ 357
• - > . ■ , i . * f
RELIQUIE DEL LIBRO LXX COL SUPPLEMENTO
i . • DI GIOVANNI SIFILINO.
•'» *r . ti- .. .. . .1 ,Jl*7 —
Cu. I. Antonino Pio, 1 succedendo in vigore della ado-
. , < zione , compie la consecraziooe di Adriano „ 3Gi
— . li. Ad Antenino si attribuisce dal Senato il cognome
di Pio ..... . . . . ... „ 36»
— HI. Nou fu Antonino molesto ai Cristiani ; fu dili—
gente nelle minime cose ; vecchio , placida -
, u mente cesta di vivere . ... ■ ■ „ 363 :
— IV. Tremuoto che affligge la Bitinta, l’ Ellesponto e
■ principalmente Cizico . . . . . . „ 365
—• V._ Antonino paragonato a Numa , mite e benigno ,, 366
— VI. Studioso della giustizia , nou cerca di ampliti -
.. care lo imperio •. . . ■ ■ , ■ ■ „ 367
— VII. I barbari lo ammirano e ad esso portano a de-
cidere le loro contese ivi
— .. . Spiegazione delle tavole del presente volume „ 36g
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